L’Italia ha fatto segnare un nuovo record negativo della natalità. Nel 2023 sono nati soltanto 379mila bambini nel nostro Paese. Le ragioni sono diverse, da quelle demografiche a quelle economiche, fino a quelle culturali, ma gli effetti sono sempre gli stessi a prescindere dalle origini del problema.
La crisi demografica ha un effetto molto serio e di lungo periodo sulla salute dell’economia e dei conti dello Stato del nostro Paese. Il declino della popolazione è largamente considerato dagli esperti come un segnale di problemi più profondi, spesso proprio di carattere economico. Invertire la tendenza in Italia sarà molto complesso.
Le ragioni della crisi demografica italiana
Il 2023 è stato il peggiore anno per numero di bambini nati in Italia da quando questa statistica viene misurata, quindi dal 1861. I nuovi nati sono stati soltanto 379mila, cifra inferiore a ogni altra registrata. Lo scorso anno non è il peggiore però in natalità: quel primato spetta ancora al 1995, anche se di poco. Nel 2023 il rapporto tra nuovi nati e donne fertili era di 1,20, a metà degli anni ’80 era sceso a 1,19.
Si può partire proprio da questo dato per spiegare perché l’Italia sta vivendo un periodo di così bassa natalità. Questi anni sono considerati in demografia un’eco della metà degli anni ’90. Questo effetto si ha quando un calo della popolazione improvviso e repentino fa sentire i suoi effetti a circa una generazione di distanza. Il concetto alla base è semplice: se in un anno nascono 100.000 bambini in meno, circa una generazione dopo quelle persone non potranno, in quanto non nate, riprodursi, e questo causerà a sua volta un calo nelle nascite.
Oggi le persone nate alla metà degli anni ’90 si stanno avvicinando ai 30 anni, l’età in cui si inizia a pensare di fare figli in Italia. Il fatto che in quegli anni siano nate così poche persone influenza anche il dato odierno. Questo però non esclude altri motivi. Al contrario, l’Italia è in crisi demografica ormai da decenni, con un andamento anche peggiore di quello di molti Paesi sviluppati, tanto che dal 2017 la popolazione è in quasi costante calo.
Uno dei problemi principali a cui molti esperti puntano ha a che fare con un’altra anomalia italiana: l’occupazione femminile, tra le più basse d’Europa. La poca indipendenza economica porta a un minor benessere della famiglia e quindi a una minor propensione a fare figli: “C’è molta retorica sul ruolo della madre, ma se non guadagni non puoi essere mamma. Bisogna aiutare me donne a trovare lavoro in modo che possano decidere di fare figli” dice Azzurra Rinaldi, direttrice della school of gender economics dell’Unitelma-Sapienza.
Gli effetti sull’economia del calo della natalità
L’effetto più semplice da vedere della denatalità in Italia è quello sul funzionamento del sistema di welfare. Meno figli significa, tra i 20 e i 30 anni dopo, meno persone in grado di lavorare. Ne conseguono minori entrate fiscali e contributive per lo Stato, mentre la popolazione che invecchia fa aumentare le spese per sanità e pensioni.
Per questa ragione il Governo sta tentando di supportare le madri con investimenti in strutture che possano agevolare la natalità. Uno dei tagli alle riforme del Pnrr però è stato proprio ai nuovi posti negli asili nido, passati dagli oltre 260mila del piano originale a 160mila. La situazione continua a essere grave e a ogni crisi demografica il numero di donne in età riproduttiva diminuisce. Ad oggi sono soltanto 11,4 milioni.
La fine dell’eco degli anni ’90 dovrebbe agevolare una lieve ripresa nei prossimi anni. Durante i primi anni del terzo millennio il tasso di natalità era molto migliorato, arrivando a toccare 1,46 nel 2010, per poi intraprendere la discesa che ha portato alla situazione odierna. Significa che le prossime coorti avranno più persone in grado di fare figli, ma sarà comunque necessario assistere quest’ondata con soluzioni più strutturali.