Il pensiero monetarista di Milton Friedman

Le teorie, osteggiate e osannate, di Milton Friedman: come si realizza l'intervento dello Stato in società

Foto di Luca Incoronato

Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

Nato nel 1912 e deceduto nel 2006, Milton Friedman è stato un celebre economista, insignito del Premio Nobel per l’Economia nel 1976. Nel corso della sua carriera ha raggiunto numerosi traguardi, distinguendosi come uno dei maggiori esponenti della “scuola di Chicago”. Il massimo riconoscimento è giunto grazie ai lavori svolti in merito all’analisi del consumo e della storia monetaria. Il suo pensiero è stato così cruciale da arrivare a influenzare numerose teorie economiche formulate in seguito. Di seguito, però, ci concentriamo sul concetto di pensiero monetarista, del quale Milton Friedman è il fondatore.

Pensiero monetarista: cos’è

La teoria economica del monetarismo ha visto le proprie basi gettate da Milton Friedman. Il suo pensiero era in contrapposizione con la teoria di Keynes, allontanandosi di fatto da quella che era stata la sua posizione in gioventù.

Se Keynes sosteneva che l’intervento del governo dovesse essere ciclico, unicamente in caso di urgenze, per Friedman occorreva intervenire sul lungo termine. Soltanto così si sarebbe potuta ottenere una stabilità economica.

La differenza sostanziale sta nel fatto che Keynes punta l’attenzione del discorso economico sugli interventi dello Stato. Per il monetarismo di Friedman, invece, la chiave di volta è la teoria quantitativa della moneta: il governo deve mettere di più a disposizione, attuando interventi graduali e riconoscendo l’offerta di moneta come unica variabile. In sunto: occorre agire preventivamente, al fine di sventare una crisi, senza doverla risolvere in seguito, a danno già subito.

Le convinzioni di Friedman

Sostenere l’importanza dell’offerta di moneta in economia rese Milton Friedman una voce solitaria in questo mondo accademico. Iniziò a esprimersi in tal senso negli anni ’50, restando a lungo inascoltato o quasi.

Tutto cambiò negli anni ’70, quando si verificò una grave crisi dovuta agli shock petroliferi. Entrando in una fase di recessione e inflazione, ci si scontrò con un muro, in relazione alla teoria keynesiana, incapace di spiegare la situazione.

La scuola monetaria risultò dunque vincente. Risultò essere un valido tentativo di elaborare strumenti teorici in grado di risolvere quella particolare congiuntura fiscale. Secondo il Premio Nobel, l’inflazione è comunque un fenomeno monetario. Può essere prodotto soltanto a causa di un rapido aumento della quantità di moneta, rispetto alla produzione.

La domanda è dunque la seguente: quanta moneta è necessario iniettare nel sistema economico, al fine di evitare l’impatto devastante dell’inflazione? Un Paese può avere molta crescita e poca inflazione, ha spiegato Friedman in La controrivoluzione nella teoria monetaria, con un tasso stabile di crescita monetaria a un moderato livello. Non si arriverà alla perfetta stabilità, certo, ma darà un contributo chiave per una società economica che sarà il più stabile possibile.

La moneta dovrebbe dunque aumentare a un tasso costante, anno dopo anno. Uno schema ben preciso da seguire ripetutamente, evitando oscillazioni eccessive e soprattutto soggettive. Ciò vuol dire che in nessun caso l’offerta di moneta dovrebbe essere discrezionale. La regola da seguire dovrebbe essere la seguente: legare strettamente il quantitativo di moneta da mettere in circolazione all’attività reale e finanziaria. In questo modo, spiega l’economista, sarà possibile determinare in maniera quasi scientifica un preciso obiettivo di inflazione da raggiungere, considerando “sopportabile” da una data società.