Madre lavoratrice e congedo parentale negato: un recente caso di discriminazione

Una donna ha vinto un concorso ma si è vista negare l'assunzione per aver richiesto il congedo parentale (facoltativo). La vicenda e la decisione del tribunale

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Quello del concorso pubblico è un percorso che può concludersi con una grande soddisfazione, se il partecipante riesce a superare le prove previste e ad entrare a far parte dell’elenco dei vincitori. Posto fisso e stipendio mensile garantito sono i due fattori che spingono a concorrere, sperando di agguantare un contratto nella pubblica amministrazione.

Talvolta però non tutto va per il verso giusto neanche a chi il concorso lo passa. Ne sa qualcosa una giovane donna, architetto, che dopo essere stata selezionata ha chiesto il congedo parentale (astensione facoltativa). L’iniziativa non è piaciuta però al Comune di Monte Argentario, presso cui la 34enne vincitrice del concorso avrebbe dovuto iniziare a lavorare, e all’annullamento del contratto di assunzione è seguita l’azione legale della ragazza con un esito favorevole in primo grado.

Vediamo insieme più da vicino questa vicenda, in cui il giudice di Grosseto ha condannato l’ente pubblico per comportamento discriminatorio di genere.

La vicenda

Preparazione e requisiti per svolgere il ruolo non sono bastati alla giovane molisana. Come accennato, la donna aveva chiesto un congedo parentale durante il colloquio per formalizzare l’assunzione, subendo però la reazione contrariata del dirigente.

Poco più di un anno fa, come aveva raccontato il sito web Maremma Oggi, la donna si era recata nella sede del municipio per firmare il contratto, dopo aver passato una selezione pubblica per la copertura di due posti di categoria D, profilo professionale istruttore direttivo tecnico (a tempo pieno e determinato per 24 mesi).

Doveva essere una pura formalità prima di entrare in servizio, ma così non è stato. Nell’occasione l’architetto ha rimarcato di essere una neo-madre e che il marito, all’epoca dei fatti, non era nella materiale condizione di accudire il figlio al posto suo perché – a Bologna – prestava assistenza al padre in fin di vita.

Ecco allora la richiesta del congedo per 20 giorni (astensione facoltativa), che la 34enne avrebbe voluto iniziare la settimana successiva.

Forse sperando in un po’ di empatia del dirigente dell’area amministrativa, la 34enne ha invece assistito alla sua reazione stizzita. Questi avrebbe infatti strappato il contratto di assunzione, invitando l’architetto a lasciare gli spazi del Comune. O almeno questa è la versione della donna, che si è poi rivolta ad un legale per tutelare le sue ragioni. Il dirigente, indicano i fatti di causa di cui alla sentenza del giudice del lavoro che qui interessa, aveva invece negato di aver tenuto un comportamento discriminatorio.

Il vano tentativo di conciliazione

Tramite il suo avvocato, la 34enne molisana ha tentato inizialmente la conciliazione presso il garante provinciale di Grosseto per le pari opportunità, ma la carta non ha funzionato. In questa fase era peraltro emerso che il Comune era a conoscenza del fatto che la donna avesse appena partorito, infatti l’ente aveva rinviato di tre mesi l’appuntamento per la sottoscrizione del contratto, per far passare il periodo di astensione obbligatoria dopo il parto.

Pur con l’intervento del garante, non si registrò tuttavia alcun riavvicinamento delle parti o composizione bonaria della disputa. La donna e il dirigente mantennero posizioni divergenti, aggiungendosi anzi la denuncia di quest’ultimo. Alla donna contestava infatti i reati di diffamazione e calunnia.

La causa di lavoro

Si è passati quindi alla vera e propria causa in tribunale, che – almeno in primo grado – si è conclusa positivamente per la professionista. Il Comune che aveva stracciato il contratto di assunzione si era giustificato affermando che non avrebbe proceduto ad assumere donne in stato di maternità in quanto, per effetto dei permessi e dei congedi correlati a questo status, l’ente si sarebbe trovato in una situazione di difficoltà organizzativa.

La difesa però non è stata accolta dal giudice del tribunale di Grosseto: dalla causa ne è scaturita una sentenza con cui, da un lato, sono riconosciuti i diritti della giovane e, dall’altro, è evidenziato il comportamento discriminatorio dell’amministrazione locale.

In particolare, leggendo il testo della sentenza, si può notare che la discriminazione di genere, e la violazione del Codice delle pari opportunità uomo-donna, è parsa evidente al magistrato, per due motivi:

  • la persona da assumere non avrebbe patito lo stesso trattamento, se fosse stata di sesso maschile oppure una ragazza o donna non nella condizione di chiedere un congedo parentale (violazione dell’obbligo di parità di trattamento sul lavoro);
  • il Comune di Monte Argentario ritenne opportuno sostituire la donna, prima rinviando la firma del contratto e poi assegnando il posto ad un’altra persona (tramite graduatoria interna).

Senza dimenticare che la sentenza parla espressamente di diritto soggettivo all’assunzione del vincitore di pubblico concorso, quando invece il Comune ha provveduto ad assumere differente persona sebbene di categoria inferiore.

Il giudice nella sentenza usa queste parole:

Il motivo che ha determinato la decisione del Comune […] è da ravvisarsi nella circostanza che il dirigente, già consapevole dello stato di gravidanza della donna e dopo aver atteso il superamento del periodo di astensione obbligatoria, abbia infine appreso solo durante il giorno della prevista sottoscrizione e presa in servizio della volontà della ricorrente di usufruire, per motivi personali, di periodi di astensione facoltativa.

Ma in gioco ci sono i diritti della donna per la nascita del figlio e tale motivazione, secondo il giudice, è quindi da ritenersi discriminatoria.

La condanna al risarcimento danni

A seguito del rifiuto dell’assunzione, il magistrato ha così disposto la condanna al pagamento del danno patrimoniale (18 mila euro), del danno morale (8 mila euro), con le spese legali pari ad alcune migliaia di euro. Si tratta di una punizione per il trattamento meno favorevole riservato alla donna, rispetto ad un altro lavoratore in situazione analoga.

Concludendo, la contesa però non finisce qui visto che il sindaco del Comune ha annunciato che farà appello. Inoltre c’è il distinto procedimento penale che vede coinvolte le stesse parti, al momento in fase di indagini preliminari.