Fondi sostenibili (o Esg): cosa sono e perché convengono

Identikit dei prodotti finanziari che investono in aziende rispettose dell’ambiente, socialmente responsabili e con una gestione trasparente

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Alessandro Mariani

Giornalista green

Nato a Spoleto, dopo una laurea in Storia e una parentesi in Germania, si è stabilito a Milano. Ha avuto esperienze in radio e in TV locali e Nazionali. Racconta la società, con un focus sulle tematiche ambientali.

Produttori di energie rinnovabili o di auto elettriche ma anche aziende che rispettano i diritti dei lavoratori, delle minoranze o tengono a cuore la parità di genere tra i sessi. Sono alcuni esempi di imprese quotate sui mercati finanziari internazionali, i cui titoli possono entrare nel portafoglio dei fondi d’investimento sostenibili (o Esg), una categoria di prodotti finanziari che oggi in Europa va per la maggiore e che raccoglie almeno 100miliardi di euro ogni trimestre.

Si tratta nello specifico di fondi che, quando costruiscono il loro portafoglio di titoli, non si pongono soltanto obiettivi di tipo finanziario.  Non puntano cioè solo a massimizzare il rendimento, ma tengono conto di altri fattori, indicati con l’acronimo Esg (enviromental, social and governance), che identifica la tutela dell’ambiente, la responsabilità sociale e la trasparenza della governance, la gestione dell’azienda. Secondo la società di ricerca e consulenza Morningstar, specializzata nell’analisi sui prodotti del risparmio, oggi nel Vecchio Continente ci sono più di 3mila fondi di questo tipo, offerti dalle maggiori case d’investimento internazionali.

A renderli così diffusi e appetibili c’è un mix di fattori concomitanti. Innanzitutto, la comunità finanziaria internazionale sembra essersi convertita, un po’ per moda o convenienza e un po’ per reale convinzione, ai temi della sostenibilità. Tutte le maggiori case di gestione dei fondi al mondo, dagli Stati Uniti fino all’Asia passando per l’Europa, hanno infatti aderito a una serie di principi di investimento responsabile (Pri) promossi dall’Onu, che hanno appunto lo scopo di rendere i criteri Esg sempre più diffusi nel mondo finanziario. Il secondo fattore che sta facendo la fortuna dei fondi d’investimento sostenibili è anche il sempre maggiore gradimento che incontrano oggi tra i risparmiatori, soprattutto tra quelli più giovani, i quali sono indubbiamente più sensibili rispetto alle generazioni passate verso problematiche come i cambiamenti climatici, le disuguaglianze sociali o gli squilibri geopolitici e ambientali del Pianeta.

Fondi Esg, perché possono avere rendimenti elevati

Ecco dunque che, con questo scenario di fondo, i fondi sostenibili sembrano avere di fronte a sé la strada spianata per raccogliere una montagna di soldi tra i risparmiatori. Ma conviene investire in questi prodotti finanziari? Fino a non molti anni fa, erano in tanti a pensare di no perché, evitando di investire in certi settori come per esempio il settore petrolifero, i fondi sostenibili di fatto devono muoversi entro paletti un po’ più rigidi rispetto ai fondi più tradizionali, che non tengono conto dei criteri Esg. Oggi, però, ci sono molti dati che sembrano dimostrare il contrario, sostanzialmente per una ragione: nel medio e lungo periodo, cioè nell’arco di qualche decina d’anni, le aziende che sono più attente a determinate problematiche come i cambiamenti climatici, il rispetto dei propri dipendenti o la trasparenza nella condotta dei manager sono anche quelle che hanno la maggiore possibilità di prosperare e di macinare ricavi e profitti.

Le imprese con queste caratteristiche, infatti, hanno meno probabilità di passare guai incappando per esempio in scandali finanziari, in multe per qualche disastro ambientale, in una perdita della reputazione per aver sfruttato manodopera a basso costo in un paese emergente o per aver compiuto abusi ai danni dei dipendenti.  Senza dimenticare, poi, che i governi delle maggiori potenze industriali stanno investendo molto sulla sostenibilità. Basti pensare soltanto al Green Deal europeo, il pacchetto di misure con cui l’Ue ha l’obiettivo di ridurre del 55% le emissioni di gas serra entro il 2050, mobilitando investimenti per un totale di circa mille miliardi di euro.

Fondi sostenibili (o Esg), quanto hanno reso nell’ultimo anno

Le aziende che puntano sulla sostenibilità, insomma, hanno buone chance di beneficiare di questo fiume di risorse mentre le imprese che non si adegueranno ai nuovi standard ambientali e sociali vedranno sempre più faticare il loro business. Ne sa qualcosa chi nel 2020 ha puntato sui fondi specializzati nel settore delle energie pulite che, secondo le rilevazioni di Morningstar, hanno guadagnato in media il 62% in 12 mesi, affermandosi come migliore categoria tra i prodotti del risparmio gestito. Ci sono poi nello specifico alcuni fondi che hanno realizzato rendimenti a tre cifre. E’ il caso del Bnp Paribas Funds Energy TransitionI Capitalisation che investe in aziende coinvolte nel processo di transizione energetica e nell’ultimo anno ha messo a segno una performance positiva di oltre il 230% (dati aggiornati all’11 marzo 2021). Notevoli anche i risultati dei fondi Goldman Sachs Global Environmental Impact Equity Portfolio Class E Shares Acc Eur e Schroder International Selection Fund Global Climate Change Equity C Accumulation (della casa d’investimenti britannica Schroder) che in 12 mesi hanno guadagnato più dell’80%. Il che vuol, dire, tradotto in soldoni, che 10mila euro investiti 12 mesi fa in questi prodotti si sono trasformati dopo un anno in 18mila euro.

Prima di farsi prendere da troppo facili entusiasmi, però, un’avvertenza è d’obbligo: non è detto che i rendimenti realizzati in passato da questi fondi possono ripetersi nella stessa misura anche in futuro. Anzi, dopo una fase di rialzi così consistenti, non è escluso che gli investitori internazionali comincino a riscoprire i titoli che sono stati un po’ trascurati nei mesi scorsi come per esempio quelli del comparto petrolifero o delle energie più “tradizionali”. Nel 2021 i fondi specializzati in questi settori hanno perso infatti mediamente il 26%, complice il rallentamento dell’economia internazionale causato dalla pandemia del Covid-19, che ha fatto colare a picco i consumi energetici. Per questo non pochi analisti e osservatori della comunità finanziaria oggi si attendono un rimbalzo delle azioni petrolifere.

Fondi sostenibili (o Esg): come riconoscerli

Aldilà delle considerazioni di breve termine, però, una cosa sembra certa: i trend di medio e lungo periodo sembrano giocare a favore dei cosiddetti fondi sostenibili o Esg. Fatta questa premessa, sorge spontaneo un interrogativo: come si fa a riconoscere se un determinato fondo investe o meno con criteri di sostenibilità? La domanda è senza dubbio d’attualità poiché oggi si parla molto anche di greenwashing, cioè della tendenza da parte delle case d’investimento a fare una sorta di ecologismo di facciata, utilizzando il marchio Esg soltanto come strumento promozionale e di marketing, senza che corrisponda realmente a una politica d’investimenti sostenibile.

Purtroppo oggi non esistono ancora degli standard internazionali e oggettivi per decidere se un fondo o un altro prodotto del risparmio può fregiarsi a ragion veduta del marchio di sostenibilità. Nei prossimi anni ci saranno probabilmente passi avanti in questa direzione con l’arrivo di un nuovo regolamento europeo, il Sustainable finance disclosure regulation (o Sfdr), che obbliga le case di gestione dei fondi a una maggiore trasparenza, comunicando come integrano i criteri Esg nelle loro politiche d’investimento. Il Regolamento è entrato in vigore il 10 marzo ma dispiegherà i propri effetti in maniera graduale, cioè nell’arco di qualche anno. Nel frattempo, chi è interessato a investire nei fondi sostenibili trova una bussola per orientarsi nei rating Esg assegnati ai prodotti del risparmio da agenzie specializzate o da società di ricerca. Pure la già citata Morningstar ne ha creato uno, analizzando il portafoglio di 34mila fondi in tutto il mondo.

Il Morningstar Sustainability Rating (così si chiama il sistema di valutazione) è stato sviluppato in collaborazione con il fornitore di dati Sustainalytics e consiste nell’assegnazione di un punteggio a ogni fondo, rappresentato graficamente da un numero di piccoli globi terrestri compreso tra uno e cinque. I fondi considerati più sostenibili ricevono cioè un punteggio di 5 globi, a quelli meno virtuosi sul fronte degli investimenti Esg viene invece assegnato un solo globo (o addirittura nessuno).

Fondi sostenibili (o Esg): come investono in azioni e obbligazioni

Secondo la casa d’investimenti olandese NN Investment Partners, che gestisce un patrimonio di oltre 300 miliardi di euro, la pandemia del Covid-19 è stata un fattore determinante per far emergere l’importanza della sostenibilità.   “Gli investitori riconosceranno sempre più la necessità di un’azione urgente per il clima.  Le immagini satellitari”, scrivono in un recente commento gli esperti di NN IP, “hanno mostrato una diminuzione esponenziale delle emissioni di anidride carbonica nella fase iniziale della pandemia di Covid-19. Questo ha evidenziato gli effetti positivi di un minor numero di viaggi (aerei) e ciò che si può ottenere se si agisce”. La prossima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021, in programma nel prossimo mese di novembre, per i gestori di NN IP “aumenterà ulteriormente il senso di urgenza nell’affrontare le questioni climatiche”.

Per tale ragione, le case che gestiscono i fondi d’investimento cercano di fare pressione anche sulle società quotate per sensibilizzarle su questi temi. Oggi, infatti nell’industria finanziaria si sta facendo sempre più strada il concetto di engagement, cioè quell’attività con cui i gestori dei fondi, in qualità di azionisti di minoranza delle società quotate in borsa, chiedono conto ogni anno del lavoro svolto dai manager per rendere il business delle imprese più rispettoso dell’ambiente o dei diritti dei lavoratori o per rendere la governance dell’azienda più trasparente. Questo tipo di attività però non riguarda soltanto le aziende private ma anche i governi che emettono titoli del debito pubblico.

Memorabile per esempio la presa di posizione della casa di gestione americana Pimco, il maggior investitore al mondo in obbligazioni, che nel 2015 mise nel mirino il governo sudafricano guidato da Jacob Zuma, coinvolto in una vicenda di corruzione. Non appena lo scandalo politico prese forma, Pimco declassò i titoli di stato sudafricani, anche se erano al tempo redditizi e appetibili, rivedendo poi le proprie posizioni soltanto dopo un successivo cambio di governo. Per chi investe secondo i criteri Esg, insomma, i principi etici devono venire prima dei rendimenti di breve termine.

Andrea Telara