Reddito fisso, mercato parte con slancio: quali prospettive?

L'analisi a cura di Gene Tannuzzo, Global Head of Fixed Income di Columbia Threadneedle Investment

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Redazione

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Pubblicato: 26 Febbraio 2025 17:30

Per il mercato obbligazionario il 2025 è cominciato con qualche variazione repentina, dettate dagli sviluppi nell’andamento dell’inflazione e delle condizioni del mercato del lavoro.

Lo sottolinea Gene Tannuzzo, Global Head of Fixed Income di Columbia Threadneedle Investment spiegando che fino a dicembre dello scorso anno, l’attenzione della Federal Reserve si è concentrata su una serie di indicatori che suggerivano che l’inflazione stava diventando appiccicosa. Nel primo trimestre del 2024 il mercato ha reagito con nervosismo al rallentamento del ritmo di riduzione dell’inflazione; alla fine l’inflazione ha continuato a scendere, consentendo alla Fed di tagliare per la prima volta i tassi a settembre. In sostanza, i mercati possono essere eccessivamente ottimisti in un dato momento e non esserlo abbastanza subito dopo.

Quali indicatori suggeriscono che l’inflazione continuerà a diminuire?

Un indicatore chiave è la crescita dei salari. Storicamente, i salari sono stati un meccanismo duraturo di trasmissione dell’inflazione: quando i datori di lavoro pagano salari più alti per attrarre manodopera, trasferiscono questi costi ai consumatori, creando un ciclo di aumento dei prezzi. La crescita dei salari è in costante calo da oltre due anni (Fig.1) e la Fed ha riconosciuto che attualmente i salari non stanno alimentando l’inflazione.

Altro indicatore importante è la media troncata del PCE, che esclude i valori più alti e più bassi della spesa per consumi personali (PCE) per concentrarsi sull’andamento dell’inflazione core. Sia il tasso di variazione annualizzato a un mese che quello a sei mesi indicano che la situazione è quasi tornata ai livelli pre-Covid

È importante sottolineare – spiega ancora l’esperto – che i dati continuano a mostrare un lento ma costante rallentamento del mercato del lavoro. Il tasso di dimissioni, che misura la disponibilità dei lavoratori a lasciare il posto di lavoro per perseguire migliori opportunità altrove, è inferiore ai livelli del 2019, indicando un minore dinamismo del mercato del lavoro. Inoltre, la variazione media mensile delle buste paga non agricole è diminuita ogni anno, senza alcun segnale di inversione imminente.

Quali prospettive?

Alla luce di queste osservazioni, “riteniamo che negli Stati Uniti l’inflazione continuerà a diminuire per effetto del continuo indebolimento del mercato del lavoro. Questo, a sua volta, potrebbe spingere la Fed a ridurre i tassi più di quanto previsto attualmente per il 2025. Tuttavia, l’impatto dell’agenda economica del Presidente Trump rimane un’incognita, così come restano incerti gli effetti che avrà sull’inflazione”.

A nostro avviso, “l’approccio che assumerà la Fed quest’anno sarà dettato da due rischi. Il primo è il surriscaldamento dell’economia alimentato da uno shock negativo dell’offerta, a sua volta derivante dai dazi e dalla politica sull’immigrazione, cui si aggiunge uno shock positivo della domanda derivante dai tagli delle tasse e dall’aumento della spesa fiscale. Questa combinazione di fattori potrebbe impedire ulteriori riduzioni dell’inflazione e portare ad una brusca interruzione del ciclo di allentamento della Fed”.

Il secondo rischio è che le tendenze in atto nel mercato del lavoro proseguano e che i salari continuino a rappresentare un meccanismo debole di trasmissione dell’inflazione. Con l’inflazione sotto controllo, la Fed può concentrarsi sull’adeguamento della politica monetaria in modo da sostenere al meglio il lento ma costante declino del mercato del lavoro.

Pazienza parola chiave

Questo è stato lo scenario ad aver dominato il sentiment del mercato nei primi giorni del 2025, con i rendimenti dei Treasury a media e lunga scadenza che hanno quasi raggiunto i massimi ciclici. Pur avendo una view sull’evoluzione dell’inflazione e del mercato del lavoro, “riteniamo che i rendimenti del reddito fisso dipenderanno più dalle valutazioni di partenza che da uno specifico scenario macroeconomico. Ad esempio, oggi i rendimenti obbligazionari sono elevati perché il tasso risk-free è aumentato, non perché gli spread creditizi siano ampi. L’aumento di questi tassi – ed in particolare dei rendimenti reali – suggerisce che gli investitori vengono compensati in maniera più appropriata a fronte di un rischio di una crescita più solida, di una maggiore incertezza sull’inflazione e/o di un aumento dei deficit pubblici. Per contro, gli spread creditizi rimangono vicini ai minimi dalla crisi finanziaria globale del 2008, creando un rischio asimmetrico di aumento degli spread, che a sua volta eroderebbe i rendimenti rispetto ai Treasury, neutrali in termini di duration. Pertanto, riteniamo preferibile il rischio di duration, non perché stiamo scommettendo sulla Fed ma perché si viene compensati in maniera più appropriata per il rischio”.

Pazienza è dunque la parola chiave del 2025. Non sappiamo esattamente quando ci sarà il punto di svolta, ma siamo posizionati in modo da sfruttare al meglio i rendimenti elevati e mitigando, al contempo, il potenziale ribasso derivante dall’allargamento degli spread, e concentrandoci su opportunità di qualità superiore nelle scadenze più brevi, dove i prezzi storicamente dimostrano minore volatilità.