Ex Ilva, MEF: 680mln ad Invitalia: i nodi da sciogliere

La somma sarà trasferita "senza indugi" ad Acciaierie d'Italia ma si allunga la lista dei creditori

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Redazione

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Pubblicato: 31 Gennaio 2023 17:54

Ieri, nel giorno della riapertura del dialogo fra azienda e sindacati sulla vertenza dell’Ex Ilva, il ministero dell’Economia e delle Finanze ha annunciato di aver predisposto l’erogazione della dotazione finanziaria pari a 680 milioni di euro per Invitalia affinché possa trasferire “senza indugi” la somma ad Acciaierie d’Italia, la società in mano ad Arcelor Mittal nella quale lo Stato, tramite la sua controllata Invitalia, ha una partecipazione di minoranza del 38%.

La posizione dei sindacati

L’ annuncio fa seguito all’incontro in Confindustria, a Roma, tra i sindacati e Acciaierie d’Italia sul nuovo piano industriale e di investimenti a fronte delle risorse economiche messe a disposizione dal governo. Dall’incontro sono stati esclusi i rappresentanti di Usb, un sindacato molto presente fra i lavoratori dell’ex Ilva. “Tra dipendenti di Acciaierie d’Italia, lavoratori ex Ilva in Amministrazione Straordinaria e appalto, Usb conta circa 1.800 iscritti”, fanno sapere gli esclusi, che incassano la solidarietà del Movimento 5 Stelle e del Partito Democratico. La vertenza ex Ilva si trascina da oltre dieci anni. Al centro del dibattito la situazione drammatica degli impianti di Taranto, del futuro dei lavoratori, compresi quelli dell’indotto, e dell’utilizzo dei 750 milioni di euro (680 milioni messi dallo Stato e i restanti da Arcelor Mittal) per rafforzare il patrimonio. “Abbiamo avviato un percorso e riaperto il dialogo con l’azienda”, è il primo commento dei sindacati dopo l’incontro.

Nelle due ore di confronto l’amministratore delegato di Acciaierie d’Italia Lucia Morselli ha aperto a una discussione comune sul rilancio e sulla gestione dei 750 milioni in arrivo. “Speriamo non vengano usati solo per pagare le bollette” ha detto Rocco Palombella, segretario generale Uilmal termine dell’incontro. Infatti i debiti di Accieirie d’Italia verso Snam ed Eni ammontano a una cifra vicina all’assegno appena staccato dal Mef. Preoccupati per questo anche Gianni Venturi, responsabile siderurgia della Fiom: “La dotazione di 680 milioni di euro non può essere utilizzata solo per fronteggiare la situazione debitoria”. Mentre Roberto Benaglia segretario generale Fim Cisl considera insufficiente un aumento di produzione di solo il 15% nel 2023. Nella sua relazione Morselli ha comunicato ai sindacati che nel 2023 punta a raggiungere 4 milioni di tonnellate di produzione con l’obiettivo di arrivare a 5 milioni di tonnellate nel 2024. Nella seconda metà del 2023 sarà finalmente avviato il rifacimento dell’Afo 5 (il rifacimento dell’Afo 5 era previsto nel piano industriale presentato da Arcelor Mittal nel 2018, ndr) e la costruzione di un frono elettrico, sempre nella seconda metà del 2023 dovrebbero marciare anche l’Afo 1, l’Afo 2 e l’Afo 4. “Apprezziamo volontà e disponibilità al confronto, restando cauti su varie problematiche” afferma la Ugl Metalmeccanici commentando l’incontro di ieri in Confindustria nazionale tra Acciaierie d’Italia e organizzazioni sindacali. “È stato illustrato sommariamente – dichiarano in una nota congiunta il vice segretario nazionale con delega alla siderurgia, Daniele Francescangeli, il segretario provinciale metalmeccanici, Domenico Gigante e la coordinatrice territoriale UglM dell’industria Taranto, Concetta Di Ponzio – quanto fatto sino ad oggi dall’azienda circa gli investimenti industriali ed ambientali dettati dalle prescrizioni Aia”. Inoltre, sono stati resi noti “i nuovi progetti per la sostenibilità e produttività del sito ex Ilva a livello nazionale. Come Ugl metalmeccanici – aggiungono – siamo stati chiari su come porre le basi per un futuro dialogo con l’azienda per il proseguimento degli obiettivi esposti riguardanti la salita della produzione, la definizione degli interventi ambientali futuri e la sicurezza all’interno dello stabilimento di Taranto”.

La lista dei creditori

Si allunga la lista dei creditori di Acciaierie d’Italia. Non solo Snam ed Eni, ma anche Sanac in amministrazione straordinaria è creditrice verso Acciaierie d’Italia. Il credito di Sanac è di 20 milioni di euro con relativi atti giudiziari. È quanto ha evidenziato in audizione in commissione industria al Senato il commissario straordinario Corrado Carrubba. Dall’esposizione del commissario sono emersi i difficili rapporti con Arcelor Mittal e la sua filiale italiana Aminvestco. “Da due anni – ha detto Carrubba – AmInvestco paga solo a seguito di decreti ingiuntivi depositati in tribunale”. I rapporti con la filiale di Arcelor Mittal sono stati difficili sin dall’inizio. “Sanac – ha spiegato Carrubba – era una società con 300 dipendenti, specializzata in refrattari ferrosi ed era una società in housing di Ilva”. In seguito alla cessione degli asset del gruppo Ilva, Sanac è stata messa in vendita con una prima procedura di gara vinta nel 2018 da Arcelor Mittal. “Arcelor Mittal – ha ricordato Carrubba – dopo aver vinto la gara, non si presentò alla firma del notaio e dovemmo persino escutere la garanzia di 1 milione di euro previsto dalla gara”. In seguito, ha proseguito nel suo racconto Carrubba, l’amministratrice delegata di Acciaierie d’Italia Lucia Morselli ha deciso di non approvvigionarsi più da Sanac. “Se si tiene conto che l’Ex Ilva era il cliente storico di Sanac e ne costituiva il 60% del fatturato, si ha la misura del danno causato al quale stiamo facendo fronte. Attualmente – ha ricordato Carrubba – dei 300 lavoratori, 108 sono in cassa integrazione”.

Il piano di investimenti

“Se l’arretrato non verrà saldato, le forniture si interromperanno e l’attività di Taranto sarà irrimediabilmente compromessa”. È quanto ha detto Franco Bernabé, presidente di Acciaierie d’Italia, ex Ilva, in audizione oggi alla commissione Industria del Senato sul decreto legge 2 del 2023 riferendosi all’approvvigionamento del gas che alimenta gli altiforni nel siderurgico di Taranto. Il mercato dell’acciaio, ha aggiunto Bernabé, è stato segnato da “due eventi straordinari, la pandemia e conflitto russo ucraino” e questo ha causato un “effetto shock su produzione e prezzo“. Le stime di investimento fatte per la transizione ecologica e industriale del siderurgico ex Ilva di Taranto in un periodo di dieci anni, dovranno essere riviste a causa del “processo inflattivo”. Per Bernabé, “il piano di decarbonizzazione in dieci anni” ha come primo obiettivo “il taglio delle emissioni climalteranti. Secondo obiettivo – ha detto Bernabé – è la stabilità dell’occupazione nel periodo di transizione”. Viene poi la “sostenibilità economica gestendo le nuove tecnologie”, quindi “la crescita da perseguire con la strategia di transizione senza soluzione di continuità”. Secondo Bernabé, si tratta di rendere “compatibili quattro fattori, ambiente, sviluppo, occupazione e carattere strategico del sito, peraltro ribadito dal Governo”. Bernabé ha indicato il “miglioramento della sostenibilità dell’area a caldo” che avverrà tra il 2023 e il 2025, predisponendo “l’utilizzo del Dri”, il preridotto di ferro, “su cui stiamo lavorando”. Per questo servirà “oltre 1 miliardo ma è destinato ad aumentare a seguito processo inflattivo”.

La fase successiva vede il “primo forno elettrico con preridotto e idrogeno come come vettore energetico e la cattura dell’anidride carbonica”. Questa fase andrà dal 2024 al 2027 ed è calcolata in 2,4 miliardi. A seguire, ha detto Bernabé, vi sarà “l’estensione dell’elettrificazione dell’area a caldo, un secondo forno”, fase che andrà dal 2027 al 2029 con un miliardo e 200 milioni di impegno finanziario. Quindi, l’ultima fase, che per Bernabé è rappresentata dal “completamento dell’elettrificazione dell’area a caldo nel periodo 2029-2032” per marciare produttivamente con i “soli forni elettrici, alimentati prima dal gas naturale, da sostituire poi con idrogeno verde in funzione delle disponibilità che ci saranno”. Questa fase, ha detto Bernabé, costerà un altro miliardo e nel 2032 la fabbrica di Taranto sarà alimentata solo da idrogeno verde. “La società fino adesso – ha proseguito – si è finanziata col giro di cassa autonomo e cosa che per una società di queste dimensioni è quasi impossibile”. Bernabé ha detto che il piano societario “prevede un graduale inserimento di forni elettrici in sostituzione degli altiforni. L’idea di ripristinare il forno 5, uno dei più performanti di Europa, deriva dalla necessità di chiudere progressivamente tutti gli altri forni e quindi di consentire un mantenimento occupazionale ed un livello produttivo tale da garantire la generazione di cassa” ma anche i posti di lavoro a Taranto. Gli altiforni occupano 1000 persone per tonnellata prodotta, i forni elettrici “ne occupano 400. Quindi – ha detto Bernabé – il problema della transizione occupazionale ce lo siamo posti con grande serietà” cercando “soluzioni che minimizzassero l’impatto occupazionale”.