Petrolio, taglio della produzione e “debutto” nel sistema Brent: l’Arabia Saudita rivoluziona il mercato

Riad punta su strategie tutte nuove per influenzare il prezzo del greggio e i futures. Anche rinunciando ad aumentare la produzione di barili sulla quale aveva già investito miliardi

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

L’Arabia Saudita vuole dare uno scossone al mercato globale del petrolio, applicando una nuova strategia economico-energetica. Un piano che era apparso chiaro già nel 2023, con le tensioni in sede Opec e la riduzione della produzione di greggio.

Tendenza che ora Riad rafforza e rilancia, che passa anche dalla rinuncia ad aumentare la produzione di petrolio e dal “debutto” nel sistema in cui si forma il principale parametro di riferimento del petrolio, il Brent Dated, capace di influenzare anche i futures.

Gli effetti della nuova strategia saudita sul petrolio

Tutti i punti del programma saudita sono tese a influenzare il mercato del petrolio, stimolando rincari e tornando a rivestire così un ruolo di primo piano nel settore che Riad sembrava aver perso. Anche perché, con la decisione di ridurre l’estrazione e la lavorazione del greggio, era stata superata nella capacità produttiva dai “rivali” Usa e Russia. La semplice “chiusura dei rubinetti” non basta più all’Arabia, che ora elabora una nuova complessa strategia per incidere anche sui meccanismi che stabiliscono il prezzo al barile.

La nuova politica energetica di Riad ha infatti moltiplicato i dubbi degli analisti sul futuro della crescita della domanda globale di petrolio, il cui picco potrebbe arrivare prima della fine di questo decennio. L’Agenzia Internazionale per l’Energia sostiene che l’economia globale in difficoltà rallenterà la crescente domanda mondiale di petrolio già a partire da quest’anno, prima della capillare diffusione dei veicoli elettrici nella seconda metà del decennio.

Stando alle proiezioni, nel 2024 si registrerà infatti un surplus di greggio invenduto a livello globale proprio a causa del rallentamento della domanda. E soprattutto per effetto della produzione aggiuntiva di Paesi che non appartengono all’Opec e che, dunque, non hanno aderito ai tagli dell’Arabia Saudita e dei suoi alleati dell’Opec+. Come, ad esempio, il Brasile, il Canada, la Guyana e gli Stati Uniti.

L’Arabia Saudita rinuncia ad aumentare la produzione di petrolio

Per cominciare l’Arabia Saudita ha rinunciato al programma di aumentare la produzione di petrolio e ha dato mandato ad Aramco Trading – l’operatore commerciale del colosso statale Saudi Aramco, che opera anche per conto terzi – di mantenere la sua capacità a 12 milioni di barili al giorno. Senza cioè portarla ai 13 milioni inizialmente previsti, nonostante i 40 miliardi dollari stanziati e in parte già investiti. Si tratta di un grande cambiamento nella politica energetica del più grande esportatore di greggio del mondo, che ha di fatto abbandonato i piani per espandere la sua capacità di produzione massima di un altro milione di barili al giorno entro il 2027.

Il prezzo di riferimento del petrolio viaggia intorno agli 80 dollari al barile, appena al di sotto del costo medio registrato nel 2023, nonostante il conflitto tra Israele e Hamas e gli attacchi degli Houthi dallo Yemen alle navi in transito nel Mar Rosso. Per contribuire a tenere alti i prezzi del greggio, l’Arabia Saudita e i suoi alleati dell’Opec hanno quindi accettato di trattenere più di un milione di barili di produzione di petrolio al giorno. La mossa saudita non rivela dunque difficoltà tecniche né tantomeno una maggiore attenzione alle questioni ambientali e climatiche. Le motivazioni di Riad sono strettamente economiche.

Secondo gli esperti, la decisione saudita di abbandonare i programmi di espansione di Aramco “provocherà effetti su tutto il complesso energetico” e ha già “scatenato molte speculazioni sulle potenziali implicazioni sulla domanda globale di petrolio nel medio e lungo termine”. Nell’ultimo anno e mezzo l’Arabia Saudita ha ridotto gradualmente la propria produzione petrolifera, passando da circa 10,2 a 9 milioni di barili al giorno. Questo vuol dire che, in caso di emergenza energetica, la domanda di petrolio non resterebbe comunque disattesa: la monarchia araba potrebbe infatti estrarre senza problemi e in qualunque momento almeno 3 milioni di barili in più al giorno, con cui rifornire il mondo. Dal punto di vista squisitamente economico, dunque, a Riad non conviene investire miliardi di dollari per incrementare una capacità produttiva che al momento non verrebbe probabilmente sfruttata.

L’anno scorso l’Arabia Saudita ha prodotto circa 9 milioni di barili di petrolio al giorno, sufficienti a soddisfare quasi il 10% della domanda mondiale, ma ha la capacità concreta di produrne fino a 12 milioni. Lo stesso principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, ha affermato che il suo Paese potrebbe aumentare la propria capacità produttiva fino a 20 milioni di barili al giorno.

L’intervento nel sistema Brent

Il piano dell’Arabia Saudita è però fatto anche di altre tappe. Come riferisce Reuters, la compagnia petrolifera nazionale Aramco ha iniziato a negoziare una qualità di greggio statunitense che sostiene il benchmark globale Brent, nell’ambito di un processo gestito dall’agenzia di rating S&P Global Commodity Insights (divisione di S&P Global). Di recente Aramco ha venduto diversi carichi di greggio proveniente dagli Usa e a dicembre ha invece acquistato un carico dai produttori del Mare del Nord. Aramco Trading ha insomma intensificato la sua attività sui mercati fisici, in cui è diventata uno dei maggiori protagonisti al mondo. Il volume degli scambi ha raggiunto la ragguardevole quota di 6 milioni di barili al giorno tra greggio e prodotti raffinati.

Aramco ha però anche tagliato il prezzo del suo greggio per i clienti asiatici, evidenziando quanto sia difficile per il più grande esportatore di petrolio del mondo barcamenarsi tra il mantenimento della quota di mercato e il contenimento della produzione sufficiente a sostenere i prezzi.

Come sarà il mercato del petrolio nei prossimi mesi

Come abbiamo già anticipato, la fase di rallentamento dell’economia globale, soprattutto in Cina, e l’effetto dei cambiamenti climatici stanno pesando più delle prospettive di un ridimensionamento dell’offerta dagli Stati dell’Opec+, il cui insieme include anche la Russia. Nel frattempo, come abbiamo accennato, gli Usa hanno raggiunto il record estrattivo di 13,2 milioni di barili al giorno, insuperato per quanto riguarda i singoli Paesi. La mossa americana e degli altri Stati sopracitati hanno di fatto reso vano il progetto con cui l’Arabia Saudita intendeva far salire i prezzi oltre i 100 dollari al barile e finanziare così gli ambiziosi progetti nazionali, che vanno da resort estesi quanto il Belgio e infrastrutture.

Nonostante le sanzioni occidentali, poi, grandi produttori come Iran e Russia hanno inondato di petrolio il mercato riuscendo anche a vendere un barile a più dei 60 dollari stabiliti. Il tutto con la complicità di operatori terzi, tra cui armatori e compagnie di assicurazione occidentali. Alla luce di tutto questo, l’Agenzia Internazionale dell’Energia stima una crescita della domanda di 880mila barili nel 2024, in calo rispetto al milione preventivato in precedenza. Con uno sguardo privilegiato a ciò che sta succedendo in Cina. Nonostante abbia importato petrolio e carburante in dosi massicce, Pechino ha tuttavia aumentato le proprie scorte e i propri livelli di stoccaggio, il che potrebbe portare a un calo delle importazioni di greggio nei prossimi mesi.