L’economia globale continua a dimostrare resilienza nonostante i significativi cambiamenti nelle politiche commerciali e di investimento degli Stati Uniti e le incertezze che ne derivano. Mentre l’impatto dell’aumento dei dazi e dei cambiamenti nei flussi commerciali comincia a manifestarsi nei dati relativi ai prezzi e alla produzione, la spesa dei consumatori, i mercati del lavoro e le performance delle imprese rimangono per lo più solidi, costituendo un importante ammortizzatore. Di conseguenza, lo scenario di base per le principali economie rimane quello di una crescita moderata e di un’inflazione contenuta, anche in un contesto di maggiore incertezza politica. È quanto emerge dall’analisi a cura di Magdalena Polan, head of EM macroeconomic research di PGIM.
L’equilibrio dei rischi è cambiato
È più probabile – rileva il report – che l’economia statunitense reagisca in modo più brusco allo shock dei dazi, alla politica fiscale espansiva e all’ulteriore allentamento monetario della Fed, il tutto complicato dallo shutdown parziale del governo federale. La traiettoria rimane incerta: l’economia potrebbe inizialmente surriscaldarsi, con una crescita reale più forte e un aumento dell’inflazione. Tuttavia, se i dazi avranno un peso maggiore del previsto e i vincoli dell’offerta di manodopera limiteranno la capacità produttiva, potrebbe seguire un rallentamento più prof ondo, che alla fine tempererà le pressioni inflazionistiche. “Il rischio di un simile aumento dell’inflazione nell’Eurozona appare minore, rafforzando la fiducia nel nostro scenario centrale in cui – sottolinea Polan – ‘si tira avanti cavandosela’. Vediamo invece rischi di inflazione divergenti: al ribasso in area euro (e in Giappone) e al rialzo negli Stati Uniti e nel Regno Unito nel breve termine”. In tale scenario la Cina deve affrontare un cambiamento paragonabile nei rischi. La crescita sta rallentando verso la fine dell’anno, mentre l’inflazione rimane contenuta nonostante il sostegno delle politiche. Sia per l’Eurozona che per la Cina, PGIM continua a vedere “rischi limitati di una recessione vera e propria o di un forte rallentamento, e possibilità ancora più scarse di una spinta guidata dalla produttività nei prossimi 12 mesi”.
La risposta della Fed: la bussola del mercato
Sebbene lo scenario di base rimanga quello in cui “si tira avanti cavandosela”, il rischio principale risiede in un surriscaldamento dell’economia statunitense alimentato da una Fed più accomodante, insieme a una politica fiscale più espansiva. Lo scenario di base di PGIM ipotizza che la Fed riduca il tasso di riferimento al 3,25%, rimanendo “sul polo più elevato dell’intervallo di neutralità”, in linea con le indicazioni del presidente Powell. “È necessaria cautela, – avverte Polan – soprattutto per quanto riguarda l’inflazione. Gli effetti dei dazi potrebbero rivelarsi persistenti, poiché le scorte pre-dazi si esauriscono e i costi dei fattori produttivi più elevati, come l’acciaio, si ripercuotono sulle catene di approvvigionamento”. La contrazione della forza lavoro aggiunge ulteriore pressione, mentre la forte domanda dei consumatori con redditi più elevati consente alle aziende di trasferire i costi senza erodere i margini. L’espansione fiscale rafforzerà la domanda e le entrate derivanti dai dazi mitigheranno i rischi fiscali a breve termine. Una probabile distensione nelle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina sosterrebbe ulteriormente il sentiment. Di conseguenza, i mercati attualmente scontano un moderato allentamento e un aumento dell’inflazione nel breve termine, seguito da un’inflazione stabile nel medio termine. Tuttavia, se la Fed minimizzasse l’inflazione indotta dai dazi oltre gli effetti iniziali e desse priorità ai rischi al ribasso, in particolare nei mercati del lavoro, potrebbe tagliare i tassi in modo più aggressivo del previsto. Ciò fornirebbe un ulteriore stimolo, dando ai mercati e all’economia globale una breve “scarica di energia”. Tuttavia, le preoccupazioni sull’inflazione a medio termine potrebbero spingere al rialzo i rendimenti a lungo termine. “Anche se non riteniamo che questo sia un rischio immediato nel quarto trimestre, – prosegue Polan – la reazione della Fed dominerà le narrazioni di mercato”.
Dinamiche valutarie: persiste la debolezza del dollaro
Riteniamo che la divergenza delle politiche monetarie, combinata con la convergenza della crescita tra le principali economie, porti a un indebolimento sostenuto del dollaro. Detto questo, gran parte di questo aggiustamento è già avvenuto e la direzione futura dipenderà dalle scelte politiche degli Stati Uniti. Un dollaro più debole continua a sostenere le valute dei mercati emergenti e potrebbe allentare le tensioni legate alle valute nei negoziati commerciali tra Stati Uniti e Cina. Le valute più forti dei mercati emergenti e i prezzi contenuti delle materie prime limiteranno le pressioni al rialzo sui prezzi, consentendo alle banche centrali dei mercati emergenti di tagliare ulteriormente i tassi (anche se il quadro rimane eterogeneo). Un dollaro più debole è positivo anche per le opzioni di finanziamento esterno di molti mercati emergenti con rating più basso.
Area euro: prospettive positive
L’area euro entra nella fine del 2025 con prospettive contrastanti, ma nel complesso positive. La risoluzione anticipata dei negoziati commerciali tra Stati Uniti e Unione Europea e le deroghe favorevoli per le automobili, i prodotti farmaceutici e i semiconduttori hanno fornito una spinta a breve termine. Tuttavia, l’aumento dei dazi statunitensi (15% contro il 10% previsto) compenserà l’impatto dello stimolo fiscale tedesco, più consistente e concentrato nella fase iniziale. Nel frattempo, le esportazioni si stanno normalizzando dopo un aumento pre-dazi, raffreddando l’attività. “Manteniamo la nostra previsione di crescita trimestrale e – sottolinea Polan – vediamo ridotte le probabilità di una sorpresa al rialzo”. Anche i modelli di crescita stanno cambiando. Le economie precedentemente colpite dalla crisi, come l’Italia e la Spagna, continuano a sovraperformare, sostenendo l’attività complessiva, grazie ai f ondi UE e alla maggiore flessibilità nel loro utilizzo, a vantaggio anche della regione CEE (al di fuori dell’area euro). Sul fronte dei rischi, gli spread sovrani della Francia si stanno ampliando, raggiungendo i livelli più alti dall’inizio dell’anno rispetto ai bund dopo le dimissioni dell’ex primo ministro Lecornu, mentre i rating periferici stanno convergendo verso quelli dei paesi centrali. Questi paesi con performance superiori sono meno esposti agli shock energetici o geopolitici, aggiungendo resilienza alla crescita dell’area euro anche se le economie centrali sono sotto pressione. L’inflazione rimane contenuta e riteniamo che la BCE abbia sostanzialmente concluso il suo ciclo di allentamento, con un solo taglio previsto nel 2026 come assicurazione contro i rischi al ribasso. Questa posizione dovrebbe rafforzare la tesi sulla debolezza del dollaro discussa in precedenza. I rischi, tuttavia, rimangono orientati al ribasso se i dazi e l’incertezza pesano maggiormente sull’attività mentre l’inflazione rimane bassa.