Dieselgate, accordo tra Volkswagen e manager annullato: la sentenza

La Corte Federale di Giustizia tedesca riapre il caso Dieselgate: bocciato l’accordo con Winterkorn e Stadler, giudicato opaco e con risarcimenti simbolici

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Giorgio Pirani

Giornalista economico-culturale

Giornalista professionista esperto di tematiche di attualità, cultura ed economia. Collabora con diverse testate giornalistiche a livello nazionale.

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Una sentenza della Corte Federale di Giustizia tedesca rischia di riaprire per Volkswagen il capitolo più buio della sua storia: il Dieselgate. I giudici di Karlsruhe hanno infatti annullato l’approvazione dell’accordo transattivo siglato nel 2021 con l’ex amministratore delegato Martin Winterkorn e l’ex numero uno di Audi, Rupert Stadler.

L’accordo “opaco” e i risarcimenti “simbolici”

Quell’intesa, votata dall’assemblea con oltre il 99% dei sì, prevedeva che i due ex manager versassero contributi personali – 11,2 milioni di euro per l’ex presidente del gruppo tedesco Martin Winterkorn e 4,1 per l’ex membro del board Rupert Stadler – in cambio della copertura di una polizza assicurativa D&O da 270 milioni. Per Volkswagen, era il modo per chiudere le azioni di responsabilità e voltare pagina, dopo uno scandalo che è costato al gruppo di Wolfsburg oltre 33 miliardi.

Ma secondo la Suprema Corte, quell’approvazione è viziata. I giudici hanno stabilito che gli azionisti non furono messi in condizione di deliberare con piena consapevolezza. Volkswagen, si legge nelle motivazioni, non chiarì adeguatamente il patrimonio degli ex manager né che l’accordo avrebbe di fatto scagionato da ulteriori responsabilità anche altri dirigenti. Un “difetto di trasparenza” che ha invalidato il voto.

Lo scoppio del Dieselgate

Esattamente un decennio fa, il 18 settembre 2015, l’EPA americana scopriva lo scandalo che avrebbe travolto Volkswagen e l’intera industria dell’auto: il Dieselgate.

L’inganno era tecnologicamente semplice ma di una portata enorme: un software “truccatore” (defeat device) installato sui veicoli diesel riconosceva i test di laboratorio e abbassava le emissioni solo per il tempo del collaudo. Nella guida reale, i livelli di ossido di azoto (NOx) schizzavano fino a 40 volte oltre i limiti di legge.

I numeri di uno scandalo epocale sono i seguenti:

  • i veicoli coinvolti furono 11 milioni in tutto il mondo;
  • i richiami in Europa sono stati circa 8,5 milioni di auto;
  • altissimo il costo finanziario per la casa tedesca, di oltre 33 miliardi di euro (tra multe e cause).

L’intesa riguardò i consumatori che tra il 2009 e il 2015 hanno acquistato uno dei modelli coinvolti nello scandalo Dieselgate — ovvero veicoli Volkswagen, Audi, Škoda e Seat dotati di motore diesel EA 189. Gli importi variano:

Le conseguenze portarono ad arresti e condanne per i manager e annientarono la reputazione del colosso tedesco. Fu una truffa non solo alle norme, ma alla salute dei consumatori e all’ambiente, il cui costo—in denaro e in fiducia—continua a essere pagato.

Cosa succede ora

Il caso torna ora ai tribunali di grado inferiori, che dovranno riesaminare i ricorsi presentati dalle associazioni di azionisti. Queste hanno sempre contestato la sproporzione tra i danni subiti dalla compagnia e i risarcimenti, giudicati “simbolici”, concordati con gli ex vertici.

In una nota, Volkswagen ha difeso l’accordo, affermando di voler raggiungere “lo stesso risultato” con una nuova cornice giuridica. L’annullamento, tuttavia, apre uno scenario complesso: il gruppo potrebbe essere costretto a rinegoziare non solo con gli ex manager, ma anche con le compagnie assicurative in un mercato D&O già in affanno per l’aumento di contenziosi legati a scandali societari.