Il decreto sugli autovelox è stato messo in pausa. La macchina burocratica si ferma su ordine del Ministero delle Infrastrutture, mentre le carte restano chiuse nei cassetti di Porta Pia. Una nota domenicale, asciutta come un cartello di lavori in corso, ha confermato che il testo non è ancora arrivato a Bruxelles. Matteo Salvini ha invocato nuovi approfondimenti, un giro supplementare di riflessioni prima che il documento superi il confine.
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Dispositivi tra vecchio e nuovo regime
Il cuore del testo era semplice: tutti i rilevatori entrati in servizio dopo il 13 agosto 2017 venivano considerati conformi alle regole. Per quelli più anziani, invece, era previsto un esame di maturità: controlli, certificazioni, prove tecniche. I produttori avrebbero avuto trenta giorni per dimostrare la bontà dei dispositivi già installati. In caso contrario, scattava il blackout: strumenti spenti in attesa di nuove omologazioni.
Auovelox, un decreto nato per fare pulizia
Più che una rivoluzione, il testo mirava a rimettere ordine nella giungla delle sanzioni. Gli enti locali, attratti dalle entrate facili, avevano disseminato le strade di dispositivi non sempre in regola. Gli automobilisti, dal canto loro, avevano risposto con un fiume di ricorsi. Il decreto tentava di chiudere la partita: chi ha i requisiti può restare acceso, gli altri si spengano pure. Ma con la sospensione decisa dal ministero, tutto torna in bilico. I contenziosi proseguono, le sentenze si accumulano, e la certezza del diritto resta parcheggiata.
La linea dei consumatori e della politica
Dal fronte delle associazioni, il Codacons ha adottato un tono prudente. “Non ci sarà un effetto valanga sui ricorsi fino a quando il decreto non sarà attuato”, ha detto Stefano Zerbi. Una frase misurata, che fotografa l’attesa per una normativa definitiva. Intanto gli automobilisti continuano a far ricorso, i comuni a incassare e i giudici a sbrogliare l’ennesimo nodo di una macchina amministrativa che funziona a singhiozzo.
Dal Parlamento è arrivata la stoccata di Francesca Ghirra, deputata di Alleanza Verdi e Sinistra: “Il ministro fleximan-Salvini forse deve fare i conti con la realtà dell’ordinamento europeo”. Una frecciata che non ha bisogno di note a piè di pagina.
Un testo congelato tra multe e Bruxelles
Il decreto autovelox, come anticipato sopra, nasceva con un’ambizione: separare chi può multare da chi no. Le regole, però, devono piacere anche all’Europa. E qui la questione si complica. I dispositivi successivi al 13 giugno 2017 erano salvi. Per gli altri, una procedura complessa, con sei mesi di tempo per rientrare nei parametri. In caso contrario, la disattivazione. Il tutto mentre sullo sfondo si muovono interessi economici mica da poco: i comuni non vogliono rinunciare ai proventi, le aziende produttrici difendono il proprio mercato, i cittadini chiedono trasparenza.
Nel frattempo, i dispositivi restano dove sono. Alcuni operano con certificazioni consolidate, altri attendono verifiche. Non si tratta di una zona grigia generalizzata, ma di una situazione in cui convivono modelli in regola e apparecchi in attesa di regolarizzazione.