“Here’s the Beatles making history again”. E’ uno dei tanti modi in cui l’opinione pubblica britannica ha celebrato ‘Now And Then’, il nuovo singolo dei Beatles, uscito il 2 di novembre. Un lavoro inatteso e parecchio sperimentale, e di conseguenza divisivo sia tra le frange dei bealtesiani ortodossi, sia tra i semplici appassionati. Eppure quel riferimento alla Storia – piaccia o non piaccia il pezzo in sé – appare parecchio sensato. Perché ‘Now And Then’ ha le caratteristiche dei grandi successi beatlesiani, e magari finirà per avere pure quelle del grande classico. E il motivo è che dentro c’è tanto della storia della band, da qualunque prospettiva la si guardi, di cui fa paradossalmente parte anche l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. E c’è soprattutto, intatta, un’eleganza senza tempo che è l’essenza dei Fab Four.
La genesi della canzone
‘Now And Then’ nasce da un ‘demo’ casalingo del 1977 di John Lennon (potete ascoltarlo qui), e mai più sviluppato prima dell’assassinio del musicista, avvenuto tre anni dopo. Yoko Ono lo mise a disposizione di Paul, George e Ringo nel 1995, il periodo in cui i Beatles ripescarono con le medesime modalità “Free As A Bird” per l’Anthology. Ma se quest’ultima fu infine utilizzabile, la traccia di ‘Now And Then’ necessitava di operazioni troppo complesse per gli anni ’90. Ora invece, con un salto temporale e tecnologico di quasi trent’anni, ha trovato il modo di diventare l’ultimo singolo della storia dei Beatles. Con una genesi elaborata, parecchio digital e tenuta il più possibile segreta. Tanto che in UK qualcuno maligna che McCartney abbia voluto giocare l’ennesimo scherzaccio agli amici/rivali Rolling Stones, usciti a settembre con il loro 29esimo album ‘Hackney Diamonds’, un condensato del più classico rock’n’roll in salsa seventies della band londinese.
I Beatles e l’AI? C’entrano eccome
I Beatles alzano una volta di più l’asticella. Perché il lavoro fatto su ‘Now And Then’ conferisce al pezzo quell’aura, e nello stesso tempo quello slancio, che hanno a che fare con una diversa dimensione artistica. E non è un ossimoro accostare la band più ‘vecchia’ dell’era contemporanea alla tecnologia dell’intelligenza artificiale. Giacché i Beatles, nella seconda metà degli anni ’60, innovarono il panorama musicale anche e soprattutto sotto questo punto di vista, coi limiti che la tecnologia piuttosto naif dell’epoca imponeva. Nel 1966 crearono ‘Tomorrow Never Knows’ (‘Revolver’) dal nulla, con effetti impensabili, dati da artigianalissimi tape loops e saturazione dei nastri, che finirono per creare “suoni provenienti da altri mondi” (New Musical Express). Oggi Paul può divertirsi con l’AI, e lo fa con magistrale perizia. Dando a ‘Now And Then’ una profondità sonora che “Free As A Bird” non poteva avere e non ha.
Originale Lennon-McCartney
Giustamente fiaccati da anni di raschiamento del barile di Abbey Road, molti osservanti hanno espresso perplessità sulla genuinità beatlesiana di un pezzo così concepito. In realtà non si vede perché no: la traccia è di Lennon (e decisamente lennoniana), l’arrangiamento, le aggiunte e il sontuoso bridge sono di McCartney, il basso sempre di Paul. Stesso schema di tanti pezzi originali composti insieme nella cameretta di John a Mendips, sessant’anni fa. Le parti di batteria sono di Ringo in carne e ossa, gli archi sono registrati da un’orchestra in studio (senza che i musicisti sapessero di stare suonando per i Beatles, per inciso), come già per ‘Eleanor Rigby’, o ‘A Day In The Life’. Nulla di blasfemo. Mentre l’utilizzo dell’intelligenza artificiale – oltre che per pulire la traccia vocale originale e separarla dal piano gracchiante – ha riguardato un ambito desisamente più evocativo: i perfetti cori a tre ripresi probabilmente da ‘Because’ (Abbey Road), il suono del mellotron di ‘Strawberry Fields’, il suono di chitarra ‘liquido’ in stile George. Soffi di storia sublimata digitalmente qua e là, in una cornice vagamente rarefatta e sognante che lascia il segno. Artificiosa? Pomposa e a tratti demodè? Sì, eppure funziona.
L’ultimo classico dei Beatles
Una canzone dunque non nata dall’intelligenza artificiale, o grazie all’intelligenza artificiale, bensì un’originale Lennon-McCartney riaggregata, riarrangiata, meravigliosamente restaurata grazie all’AI e al genio di Paul McCartney. E’ dunque l’ultimo grande classico dei Beatles? Certo è legittimo qualche dubbio sul fatto che John Lennon avrebbe dato il via libera, visto il testo appena abbozzato e il sostanziale abbandono della canzone dopo il demo. Ma va dato atto a McCartney che l’operazione ha un senso, perché rispetta in pieno la storia dei Fab Four proiettandola nel futuro. Forse nessuno aveva più dei Beatles il diritto, o il dovere, di sperimentare. Aprendo ancora una volta prospettive. Paul la considera ‘in tutto e per tutto una canzone dei Beatles’, chi può dargli torto?