Ex Ilva, nuovo decreto da 108 milioni: chieste le dimissioni del ministro

Il decreto salva-Ilva stanzia nuovi fondi, ma operai e sindacati contestano il governo sulla gestione della crisi. Chieste le dimissioni di Urso

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Giorgia Bonamoneta

Giornalista

Nata ad Anzio, dopo la laurea in Editoria e Scrittura e un periodo in Belgio, ha iniziato a scrivere di attualità, geopolitica, lavoro e giovani.

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Fabbriche occupate, strade bloccate e operai con bandiere e cori agguerriti nelle città per oltre 24 ore. La protesta per l’ex Ilva costringe il Governo a correre ai ripari. Il loro piano, definito di “chiusura”, non è piaciuto e ha scatenato la rabbia di migliaia di lavoratori e dei sindacati. Così il governo ha pubblicato un nuovo decreto salva-Ilva, uno dei tanti che hanno percorso la storia travagliata dell’acciaieria d’Italia. Il decreto non è stato ancora pubblicato per intero, ma le agenzie di stampa ne hanno riportato gli intenti. Così “Misure urgenti per assicurare la prosecuzione delle attività produttive” (titolo del decreto) mette in campo 108 milioni per finanziare il proseguimento delle attività fino a febbraio 2026. Lo Stato si prende poi carico di parte della cassa integrazione con ulteriori 20 milioni di euro.

Il decreto spinge ancora sulla formazione di 1550 operai, ma restano molti dubbi sulle modalità di questa formazione. Sulla carta sembra riguardare poche ore, per pochi operai (con quale modalità dovrebbero essere scelti non è chiaro) e non si conosce neanche chi farà la formazione. Da qui la denuncia di un bluff. I sindacati e gli operai quindi restano sul piede di guerra, soprattutto dopo un altro tentativo di acquietare le proteste senza trovare un reale risultato. Urso aveva infatti convocato per il 28 novembre due tavoli separati, uno per gli impianti del Nord e uno per quelli del Sud, ma i sindacati hanno dichiarato che questo tentativo di separare gli interessi dei lavoratori non verrà accettato. Così Urso fa un passo indietro e ci ripensa. Dalle piazze e dalle fabbriche occupate si alza il grido che chiede a Urso di farsi da parte e di coinvolgere direttamente Giorgia Meloni nelle discussioni sul futuro degli impianti.

Un nuovo decreto salva Ilva

Il consiglio dei Ministri ha varato un nuovo decreto salva-Ilva. La misura permetterà la continuità operativa della fabbrica, autorizzando Acciaierie d’Italia, in amministrazione straordinaria, a utilizzare 108 milioni di euro residui del finanziamento fino a febbraio 2026. Questa è la data in cui dovrebbe venir individuato il compratore. Le poche offerte e le richieste di queste le fanno apparire come ostili alla classe operaia.

Sono stati poi aggiunti 20 milioni di euro per il 2025-2026 che permetteranno l’integrazione statale fino al 75% del trattamento di cassa integrazione straordinaria. Finora questa era sostenuta interamente e direttamente da Acciaierie d’Italia.

Del finanziamento “ponte” di 200 milioni, la cifra sta così utilizzata:

  • 108 milioni per la continuità operativa della fabbrica;
  • 92 milioni per interventi sugli altiforni, manutenzione ordinaria e straordinaria, investimenti ambientali e piano di ripartenza;
  • ulteriori 20 milioni sono stati aggiunti per la cassa integrazione.

Vengono confermati anche i fondi per la formazione di 1550 operai, ma secondo la Fiom di Taranto si tratterebbe di una sorta di beffa del ministro Urso per usare questo dispositivo e nascondere la cassa integrazione che riguarderà alla fine 6000 lavoratori. Le domande sulla formazione restano: come, per esempio, chi sarà a farla e come sarà scelto.

Giornate accese di confronto e proteste

Gli operai dell’ex Ilva, richiamati dai sindacati a organizzarsi, lo hanno fatto davvero: dopo le assemblee, è partita l’occupazione dello stabilimento siderurgico di Taranto, con presidi e blocchi stradali. Stessa protesta anche a Genova, dove negli stabilimenti di Cornigliano e Novi sono proseguiti picchetti a oltranza. Sono state bloccate anche le strade, causando lunghe code sull’Appia, sulla A10 Genova-Savona e tra Genova Prà e l’allacciamento A10-A7.

Le proteste a Genova si sono concluse giovedì 20 novembre in serata, dopo che il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha convocato per il 28 novembre l’incontro sul futuro degli stabilimenti dell’ex Ilva del Nord tra cui Genova, Novi Ligure e Racconigi.

Urso alla fine fa un passo indietro e trova un tavolo unitario a Palazzo Piacentini. Le organizzazioni sindacali però chiedono lo spostamento dell’incontro a Palazzo Chigi e il ritiro del piano presentato dal governo. Nel frattempo il sindaco di Taranto, Piero Bitetti, si è schierato al fianco degli operai e ha chiesto alla presidente del Consiglio di raggiungere Taranto.

Basta Urso: chiesto l’intervento di Giorgia Meloni

Non solo gli operai nelle fabbriche occupate e nelle piazze hanno chiesto al ministro Urso di farsi da parte, anche le voci politiche lo richiedono. Tra queste c’è Elly Schlein che parla di “punto critico” e di “possibile disastro sociale”. Per questo chiede a Urso di farsi da parte e a Giorgia Meloni di assumersi direttamente la responsabilità politica e istituzionale della vicenda.

Il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, ha spiegato: “Il lavoro fatto dal ministro Urso sta portando l’Ilva alla chiusura”. Matteo Renzi parla di fallimento del governo e arriva a invocare le dimissioni del ministro. Persino i più vicini alla maggioranza, come la Cisl, hanno rimproverato il governo chiedendo chiarezza e che non serva aumentare la cassa integrazione. “Quello che stiamo cogliendo è che non c’è una prospettiva concreta”, ha dichiarato la segretaria generale Daniela Fumarola.

Da mesi ormai è opinione condivisa che il ministro Urso non riesca più a gestire la situazione e i sindacati chiedono che Meloni sostituisca il ministro assumendosi la responsabilità della dismissione della siderurgia italiana.

La questione dell’ex Ilva diventa inoltre un caso in vista delle elezioni. Il capogruppo di Fratelli d’Italia della Regione Puglia, Renato Perrini, ex operaio siderurgico, ha dichiarato di stare dalla parte degli operai dell’ex Ilva e dell’indotto e che la sua voce arriverà a Roma.

Ma la voce forte in questa campagna elettorale pugliese (le elezioni regionali si svolgeranno il 23-24 novembre) arriva anche da Matteo Salvini che sconfessa il Governo: “Non faccio il ministro dell’Economia o delle Imprese, ma da ministro delle Infrastrutture ho bisogno di acciaio e preferirei che fosse italiano”, ha dichiarato. Per poi aggiungere: “Quanto proposto finora non ha funzionato, quindi è giusto che lo Stato sia protagonista”.