Terremoto Juve: perché Agnelli e tutto il Cda si sono dimessi

Azzerato l'intero Consiglio di Amministrazione del club bianconero dopo settimane di tensione a causa dell'esito delle indagini della Consob

Foto di Federico Casanova

Federico Casanova

Giornalista politico-economico

Giornalista professionista specializzato in tematiche politiche, economiche e di cronaca giudiziaria. Organizza eventi, presentazioni e rassegne di incontri in tutta Italia.

Un vero e proprio terremoto ha sconvolto l’ambiente Juventus in una delle settimane più complicate della storia della Vecchia Signora dopo lo scandalo Calciopoli del 2006. Nel corso di un Consiglio di Amministrazione straordinario tenutosi lunedì, infatti, tutta la dirigenza bianconera ha deciso di rassegnare le proprie dimissioni, con l’era della presidenza targata Andrea Agnelli che si è conclusa nella maniera più burrascosa possibile dopo 12 anni di successi.

Ma perché il presidente bianconero e l’intero CdA si sono dimessi e cosa c’è dietro a questa rinuncia clamorosa? Per capire l’atto conclusivo arrivato lunedì sera bisogna fare un passo indietro di qualche mese, ovvero a quando la Consob, l’organo di garanzia del Borsa italiana, ha reso noti gli esiti della sua indagine sui bilanci della Juventus.

Terremoto Juve, cosa c’è dietro le dimissioni

Nelle indagini portate avanti sui bilanci del club bianconero, infatti, la Consob aveva riscontrato delle violazioni con particolare riferimento all’utilizzo delle plusvalenze e alla cosiddetta manovra stipendi. In poche parole la lente d’ingrandimento sulla società piemontese, la più vincente a livello nazionale in Serie A, è stata messa per alcuni movimenti sospetti di mercato e, soprattutto, per quel blocco dell’erogazione degli stipendi nel 2020 durante la sosta del campionato per il Covid. Ricevuti i riscontri, però, la Juventus ha deciso di non accettarli e ha ribadito la propria convinzione di aver agito secondo le regole.

Di tutta riposta la Consob ha chiesto alla società di riscrivere alcune parti dei bilanci incriminati, facendo dunque ammettere di fatto ai bianconeri di aver compiuto quelle irregolarità. Dopo aver fatto ciò, però, la tensione è salita alle stelle all’interno del Consiglio di Amministrazione del club, con una parte dei sindaci che ha da sempre ritenuto che non fosse il caso di andare allo scontro con le istituzioni e, piuttosto, che sarebbe stato meglio accogliere le osservazioni della Consob.

La crepa all’interno del CdA si è dunque fatta, settimana dopo settimana, sempre più insanabile fino a quando lunedì, nel Consiglio che avrebbe dovuto approvare il bilancio, una delle consigliere indipendenti, Daniela Marilungo, ha deciso di annunciare le dimissioni “sostenendo l’impossibilità di esercitare il proprio mandato con la dovuta serenità e indipendenza”. Il CdA, spaccato e quasi impossibile da ricomporre, ha quindi deciso per le dimissioni di massa, con il conseguente azzeramento dei vertici societari per dare al club un Consiglio in grado di affrontare le vicende giudiziarie con maggiore competenza ed esperienza.

I rischi per la Juventus

Le dimissioni di Agnelli, seguite da quelle del vicepresidente Pavel Nedved e dell’amministratore delegato Maurizio Arrivabene, suonano un po’ come l’ammissione di una colpa in seno al club torinese che però continua a sostenere con forza la propria posizione. La scelta del passo indietro, secondo quanto riferito da Il Fatto Quotidiano, sarebbe maturata anche per il rischio che la Juventus venisse commissariata.

“Le dimissioni del Cda sono state un atto di prudenza, una scelta estremamente meditata. Posso dire che è stato un atto dovuto, non c’è troppo da stupirsi dal punto di vista tecnico giuridico” ha detto l’ex presidente Agnelli che però conosce bene i rischi legati all’indagine che ha coinvolto il club bianconero. Cosa rischia la Juventus? Gli scenari sono diversi e ognuno prende in considerazione l’aggravamento della colpa.

Lo scenario peggiore, che però in tanti reputano quasi impossibile, è l’esclusione del campionato di Serie A nel caso in cui si provasse che le carte siano state truccate in modo per passare i controlli della Commissione di Vigilanza e ottenere la licenza nazionale per l’iscrizione al campionato. Quelle più percorribili, invece, sarebbero quelle relative all’ammenda o a una penalizzazione in classifica. Nel primo caso una società che viola le norme per l’erogazione di premi, compensi e indennità ai calciatori è condannata a pagare da uno a tre volte l’ammontare della cifra corrisposta al tesserato, alla quale può aggiungersi la penalizzazione di uno o più punti in classifica.