Che il calcio di oggi si sia allontanato in maniera siderale da quello conosciuto fino alla fine degli anni Novanta (quando i club della Serie A spadroneggiavano in campo europeo a suon di vittorie e piazzamenti in Champions League e in quella che si chiamava Coppa Uefa), ce ne siamo accorti tutti. Le relazioni che sorgono tra lo staff e i calciatori tramite il lavoro quotidiano – ma anche tra i cosiddetti senatori e i ragazzi provenienti dai settori giovanili – per creare il clima giusto all’interno dello spogliatoio hanno lasciato il posto alle interazioni sui social network. Il senso del gruppo che viene soppiantato dalla smania di visibilità pubblica del singolo.
Allo stesso tempo, anche i volti più carismatici delle diverse squadre oggi si lasciano sedurre dalle offerte faraoniche provenienti dal Medio Oriente, mentre personaggi come Javier Zanetti per l’Inter, Francesco Totti per la Roma, Alessandro Del Piero per la Juventus e Paolo Maldini per il Milan sceglievano di rinunciare a compensi record pur di rimanere fedeli ai colori della propria bandiera. In questo cambio di paradigma, un ruolo fondamentale lo hanno avuto (e lo continuano ad avere) i procuratori dei calciatori, agendo con tempi e modi spesso assai discutibili.
Il mondo del calcio in mano ai procuratori? In Italia si apre un filone giudiziario
Volendo identificare i due agenti che hanno letteralmente rivoluzionato il concetto di calcio moderno, non si possono non citare il compianto Mino Raiola (per anni procuratore e stretto confidente di star del calibro di Zlatan Ibrahimovic e Mario Balotelli) e il potentissimo Jorge Mendes, che continua ancora oggi a curare gli interessi di vere e proprie icone come Cristiano Ronaldo – da ormai un anno ambasciatore dello sport in Arabia Saudita – e José Mourinho, attuale allenatore della Roma.
Quasi come fossero dei mentori, sono loro due ad aver spalancato le porte alle logiche di puro interesse economico che oggi guidano le scelte dei loro assistiti. E l’enorme guadagno personale che ne hanno tratto – sempre in termini di denaro – sembra poter giustificare questa loro impostazione divenuta ormai maggioritaria nelle dinamiche che regolano il calciomercato. Ne sa qualcosa Fali Ramadani, altro agente che ha condizionato la storia del calcio nell’ultimo ventennio, ma che da alcuni giorni è finito nel mirino della giustizia italiana per un presunto caso di evasione fiscale.
Fali Ramadani, potentissimo agente del calcio mondiale, ponte tra l’Europa e i Balcani
Nato in Macedonia del Nord da una famiglia di origine albanese nel 1963, Fali Ramadani cresce perlopiù in Germania, dove emigra da adolescente insieme ai genitori e ai fratelli. È lì che inizia a muovere i primi passi nel mondo dei procuratori sportivi, pur mantenendo un legame strettissimo con la sua terra natale. Residente a Berlino, agli inizi degli anni Duemila fonda la LIAN Sport Group, un’agenzia di assistenza per giovani calciatori che sognano una carriera nel calcio che conta. Assieme al suo socio Nicola Damjanac – ex giocatore professionista serbo – introduce nei maggiori campionati europei una flotta di promesse di provenienza balcanica, alcuni dei quali si riveleranno dei veri e propri crack.
In Italia lo conosce bene Pantaleo Corvino, per oltre un decennio plenipotenziario dirigente prima del Lecce e poi della Fiorentina. È con lui che Ramadani importa in Serie A talenti del calibro di Stephan Jovetic (passato poi all’Inter e a lungo corteggiato da tante big del Vecchio Continente), Adem Ljajic (anche lui transitato in viola e in nerazzurro) e Valon Behrami (con un passato anche nel Torino, nella Lazio e nel Napoli). Sono anni d’oro per il procuratore, che accumula milioni di euro di compensi grazie alle clausole che riesce ad inserire nei contratti di compravendita dei suoi assistiti.
Quali sono gli affari di calciomercato tramite cui Ramadani avrebbe frodato il Fisco in Italia
In una società sempre più volatile e smaterializzata come quella della rivoluzione tecnologica, le attività di Fali Ramadani e dei suoi colleghi risultano difficilmente inquadrabili nello spazio e nel tempo. Il rapporto fiduciario con i giocatori non ha una sede, così come le continue interlocuzioni con i presidenti e gli amministratori delegati delle squadre con cui tratta acquisti e vendite di cartellini. Ed è proprio su questo aspetto che da alcune settimane indaga la Procura di Milano, per mano del giudice Giovanni Polizzi e della collega Giovanna Cavalleri.
Secondo i magistrati meneghini, il lavoro portato avanti dal procuratore nel nostro Paese nel periodo compreso tra il 2018 e il 2022 avrebbe dovuto inquadrarsi all’interno di una “stabile organizzazione“, che però Ramadani non ha mai deciso di costituire a livello ufficiale davanti allo Stato. E così, assistendo a distanza calciatori del calibro di Dusan Vlahovic (per cui ha intavolato il passaggio dalla Fiorentina alla Juventus), Federico Chiesa (stesso percorso) e Kalidou Koulibaly (trasferitosi dal Napoli al Chelsea), l’agente avrebbe evaso il Fisco italiano, evitando di pagare le tasse all’erario pubblico.
I numeri del filone d’inchiesta su Fali Ramadani, tra gli agenti più potenti del calcio mondiale
Sotto la lente dei pm sono finiti anche altri due affari che hanno fatto scalpore negli ultimi anni, ossia quello che ha portato Miralem Pjanic dalla Juventus al Barcellona e quello che ha visto protagonista Ante Rebic, giunto al Milan nel 2019 dai tedeschi dell’Eintracht Francoforte. Tutte operazioni che “non hanno una locazione predeterminabile“, come riferiscono gli avvocati di Ramadani, che contestano alla Procura lombarda l’apertura del fascicolo d’indagine. “Sulla base di cosa – si chiedono i legali dell’agente – la società del nostro assistito avrebbe dovuto aprire una sede fisica in Italia, in Germania o in Spagna, mancando i requisiti di continuità, abitualità e programmazione” che caratterizzano la “stabile organizzazione“?
Nonostante queste contestazioni, i giudici sembrano comunque intenzionati a rinviare a giudizio Ramadani per l’ipotesi di evasione fiscale. Nel frattempo, al fine di “garantire lo sviluppo delle indagini” e “non certo perché si ritengono fondate” le tesi dei magistrati, l’agente ha versato ben 6 milioni e mezzo di euro nelle mani della Procura di Milano. Vedremo se la sua si rivelerà una mossa senza alcun secondo fine, oppure se questo sarà solo un anticipo della somma complessiva che Ramadani dovrà pagare al Fisco del nostro Paese.