Scoperto il “virus vampiro”: cos’è e quanto può essere pericoloso

I ricercatori dell'Università del Maryland hanno osservato per la prima volta un "virus vampiro", che si riproduce attaccandosi al "collo" di un batterio

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Claudio Carollo

Giornalista politico-economico

Classe ’88, è giornalista professionista dal 2017. Scrive di attualità economico-politica, cronaca e sport.

Un virus capace di replicarsi attaccandosi al “collo” dei batteri, cioè tra il corpo e la coda dei patogeni. I ricercatori dell’Università del Maryland, Baltimora County, hanno scoperto un virus della specie dei batteriofagi che si diffonde avventandosi sull’ospite e lasciando delle tracce come “segni di morsi”, secondo quanto sostengono gli scienziati, che per questo l’hanno battezzato “vampiro“.

La scoperta

Gli studiosi statunitensi hanno osservato per la prima volta il “virus vampiro” in maniera del tutto casuale durante l’analisi di un campione di terreno di Poolesville (Maryland), mentre erano alla ricerca di un virus parassitato chiamato MindFlayer.

Il vetrino inviato da uno studente al laboratorio di sequenziamento dell’Università di Pittsburgh mostrava una presenza sconosciuta, che è stata identificata soltanto grazie al microscopio elettronico a trasmissione utilizzato da Tagide De Carvalho, ricercatore dell’Università del Maryland e principale autore dello studio, pubblicato sulla rivista scientifica ‘Microbial Ecology’.

“Quando l’ho visto, ho pensato: non posso crederci. Nessuno ha mai visto un batteriofago, o qualsiasi virus, agganciarsi a un altro” ha affermato lo scienziato.

La particolarità della scoperta è che, differentemente dalla relazione nota tra due virus nella quale uno dei due dipende dall’altro per portare a termine il proprio ciclo vitale, in questo caso il “vampiro” attacca fisicamente un patogeno per riprodursi ed entrare negli organismi attraverso le cellule, scatenando delle potenziali infezioni.

“La maggior parte dei virus satelliti possiede un gene speciale che consente loro di integrarsi con il Dna delle cellule ospiti in cui entrano, ad esempio le cellule batteriche – si legge nello studio – . Hanno ancora bisogno di un virus helper, ma è sufficiente che si trovi in un altro punto della stessa cellula. Invece il virus scoperto manca di questo gene. Non potendo quindi integrarsi nel Dna della cellula ospite, per sopravvivere deve trovarsi vicino al suo aiutante quando entra in essa“.

Secondo i ricercatori, inoltre, l’80% dei virus aiutanti “aveva virus satelliti legati al collo” e quelli che non presentavano questa situazione spesso mostravano “prove di precedenti attacchi sotto forma di viticci residui”, che ricorderebbero “segni di morsi“, come descritto da Ivan Erill, professore di scienze biologiche alla Umbcha e coautore della ricerca.

Il parere

Interpellato da ‘Repubblica, il direttore sanitario dell’Ospedale Galeazzi di Milano, Fabrizio Pregliasco, non esclude che la caratteristica del “virus vampiro” possa essere propria anche del Sars-CoV-2, il patogeno responsabile del Covid-19.

“Il virus non è intelligente, ma in questo caso furbo” ha detto il professore sspiegando che “quando parliamo di ‘virus vampiro’, ci riferiamo alla circostanza in cui due virus si danno una mano: uno entra nella cellula e l’altro, grazie alla copresenza dell’aiutante, si integra con il genoma del Dna” (qui abbiamo spiegato cos’è il virus sicinziale e come capire quando andare in ospedale).

“Sapevamo che i virus batteriofagi entrano nel Dna dei batteri – ha aggiunto Pregliasco – ma in questo caso si è riscontrato un comportamento anomalo: il ‘virus vampiro’ ha bisogno dell’altro per completare il proprio percorso”.

Per il professore associato di Igiene Generale e Applicata, questo meccanismo implica che “i due virus si sono evoluti insieme e ci fanno immaginare che ci siano altre situazioni simili da scoprire”.

Pregliasco ha spiegato che, se nel caso del virus dell’epatite Delta serve una prima infezione da epatite B per scatenare la malattia “per il ‘virus vampiro’, invece, è sufficiente la copresenza per infettare due volte“.

“Di certo si tratta di una scoperta importante, perché apre a nuove opportunità e stimola l’interesse a valutare altre situazioni” ha concluso l’esperto (qui abbiamo parlato dei casi di polmonite tra bambini che stanno interessando la Cina).