Sanità nelle città italiane, la classifica: quanto spende lo Stato per gli ospedali

Le città italiane presentano differenze significative in tema di sanità mentre la spesa pubblica rallenta

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Matteo Runchi

Editor esperto di economia e attualità

Redattore esperto di tecnologia e esteri, scrive di attualità, cronaca ed economia

Pubblicato: 25 Maggio 2024 19:59

Nelle città metropolitane italiane sono disponibili livelli molto diversi di assistenza sanitaria. Una situazione rispecchiata molto bene da un dato specifico, la mortalità evitabile, che calcola il numero di casi in cui una persona è deceduta nonostante il Sistema sanitario nazionale avrebbe dovuto mettere a disposizione le risorse necessarie per evitarlo.

La spesa sanitaria nel frattempo sta rallentando, dopo gli investimenti dei primi anni successivi alla pandemia da Covid-19. Il rischio di nuovi tagli inoltre si avvicina, data la situazione di bilancio che potrebbe costringere lo Stato a ridurre ulteriormente i fondi destinati al Sistema sanitario nazionale.

La classifica delle città metropolitane per assistenza sanitaria

L’Istat ha diffuso i dati riguardo alla situazione dell’assistenza sanitaria nelle città italiane relativi al 2021. Nel nostro Paese ci sono oltre 230mila posti letto negli ospedali, che sono a loro volta più di 1.000 in totale. Roma è la città con più posti letto per abitante, mentre a Cagliari c’è la maggiore concentrazione di quelli dedicati ai casi acuti, a Torino quella per la riabilitazione e a Bologna per la lungodegenza. Al di là delle eccellenze però, il quadro varia molto a seconda della singola città, soprattutto se si guarda a uno dei principali indicatori per il livello di assistenza sanitaria, la mortalità evitabile.

A Torino questo dato è più alto in centro città che non nei comuni della cosiddetta prima cintura, la fascia appena fuori dal territorio della città vera e propria. Se però si va oltre, verso l’hinterland, la situazione peggiora rapidamente anche rispetto ai dati del centro. Il dato rimane però più alto della media nazionale, attestandosi attorno alle 20 morti evitabili ogni 10mila abitanti contro le 19,2 della media nazionale. Con 6,4 posti letto per 1.000 abitanti, il comune di Torino rimane sopra la media nazionale di 3,6, mentre sia i comuni della prima che della seconda cintura risultano leggermente carenti.

Milano è in una situazione simile. Il comune presenta una mortalità evitabile più alta della prima cintura, ma simile ad quella della seconda. Qui però la media si abbassa a 17, ben al di sotto di quella nazionale. Dati simili anche per quanto riguarda la concentrazione di posti letto, altissima nel comune, oltre 7 per 1.000 abitanti, ma significativamente più bassa della media nazionale nei comuni delle due cinture. Scenario che si ripete anche a Bologna, Venezia e Genvoa dove però i comuni più lontani dal centro non hanno a disposizione nessun posto letto.

Firenze è in assoluto la città con la mortalità evitabile più bassa, sotto i 16 in totale e sotto i 15 nel capoluogo. Ancora bassa però la concentrazione di posti letto nelle cinture esterne, esattamente come accade a Roma, dove però la mortalità evitabile risulta più alta della media nazionale. Una tendenza che si conferma proseguendo verso sud, in tutta la Penisola. Bari, Napoli, Palermo, Messina, Catania e Reggio Calabria presentano tutte una mortalità evitabile più alta della media nazionale in quasi ogni singolo comune parte della città metropolitana. La situazione peggiore è quella del capoluogo campano, con oltre 27 morti ogni 10.000 abitanti.

Cagliari invece riesce a restare in una media più simile a quella delle regioni del nord e del centro. Con 18 morti evitabili ogni 10.000 abitanti, il capoluogo sardo resta sotto la media nazionale, anche grazie a un’alta concentrazione di posti letto disponibili in città, oltre 11 per 1.000 abitanti, il più alto in assoluto. I comuni dell’hinterland pagano però questa concentrazione con livelli bassissimi, attorno a 1 posto letto ogni 1.000 abitanti.

La spesa sanitaria in Italia dopo il 2020

Buona parte di questi dati vanno in rapporto con la spesa sanitaria, la quantità di fondi che lo Stato investe nella cura e nella prevenzione delle malattie che colpiscono i cittadini. Negli ultimi anni l’andamento di questo dato è stato molto particolare, anche a causa della pandemia da Covid-19 e dei lockdown che hanno modificato alcuni parametri. L’anno simbolo di questo effetto è stato ovviamente il 2020, quando la spesa raggiunse il 7,3% del Pil, con oltre 122 miliardi di euro stando ai dati dei Documenti di economia e finanza. Il dato relativo al prodotto interno lordo è però in parte falsato dal crollo della produzione di ricchezza nel Paese in quell’anno, pari al 9,5%.

L’anno successivo, il 2021, fu di transizione. La spesa sanitaria aumentò notevolmente, di oltre 5 miliardi di euro, superando i 127 miliardi totali, con un tasso di variazione del 4%. Si trattava però ancora di un contesto parzialmente pandemico, con un numero di ricoveri molto alti dovuti alla circolazione delle nuove varianti del Coronavirus e un ciclo vaccinale ancora non completato da buona parte della popolazione. Il 2022 fu ancora un anno espansivo. Lo Stato potè approfittare del rilassamento delle regole europee per investire ancora in sanità, anche se l’aumento del Pil portò il peso relativo della spesa sanitaria al 6,7%. Si superarono comunque i 131 miliardi di euro, nuovo record nominale.

Nel 2023 però questa crescita non si è solo fermata, ma ha invertito la rotta. Si è verificato un calo, stando al Def, dello 0,4% pari a circa 500 milioni di euro. Diminuzione confermata anche in relazione al Pil, nonostante la crescita rallentata a sua volta. Ora la spesa sanitaria si attesta attorno al 6,3%. Per i prossimi anni, il governo prevede un’espansione a 138 miliardi nel 2024, fino ad arrivare a 147 miliardi nel 2027, mantenendo poco più del 6% del Pil come obiettivo. Speranze che però potrebbero essere frustrate dalla situazione di bilancio, che potrebbe anche richiedere interventi di riduzione della spesa in diversi ambiti per rientrare dall’eccesso di debito creatosi durante la pandemia.