Covid: rischio morte 5 volte più alto per 18 mesi dopo l’infezione. Lo studio

Ricerca condotta presso l'Università di Hong Kong: "Chi ha contratto il virus ha una maggiore probabilità di sviluppare numerose patologie cardiovascolari”.

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Redazione

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Pubblicato: 19 Gennaio 2023 10:00

Mentre la pandemia da Covid-19 rallenta la sua corsa, e le nuove varianti sembrano fin qui ‘parenti strette’ di Omicron (ovvero più infettive ma molto meno letali), aumentano gli studi sulle patologie post infezione. Perché se in molti non si fidano dei vaccini e della loro provenienza, ancora meno si sa della provenienza e della natura del virus, che può portare ad eventuali conseguenze a lungo termine del virus.

Lo studio

I pazienti Covid mantengono un alto rischio di morte per almeno 18 mesi dopo l’infezione. E’ quanto suggerisce uno studio condotto su quasi 160mila persone e pubblicato su ‘Cardiovascular Research’, rivista della European Society of Cardiology (Esc). Secondo gli autori, scienziati dell’Università di Hong Kong, Covid-19 è associato a maggiori rischi di malattie cardiovascolari e morte a breve e lungo termine. Rispetto alle persone non infettate, la probabilità che i pazienti Covid muoiano è risultata essere fino a 81 volte superiore nelle prime 3 settimane di infezione ed è rimasta 5 volte superiore fino a 18 mesi dopo.

“I pazienti Covid – spiega Ian C.K. Wong dell’ateneo di Hong Kong, autore del lavoro – avevano maggiori probabilità di sviluppare numerose condizioni cardiovascolari” rispetto ai partecipanti allo studio non colpiti dal virus, “il che potrebbe aver contribuito ai loro maggiori rischi di morte. I risultati – evidenzia l’esperto – indicano dunque che i pazienti con Covid dovrebbero essere monitorati per almeno un anno dopo il recupero dalla malattia acuta per diagnosticare le complicanze cardiovascolari dell’infezione, che fanno parte del Long Covid”.

Metodologia

Lo studio ha confrontato l’insorgenza di patologie cardiovascolari e morte in persone infettate e non, reclutate prima di dicembre 2020, quando non erano disponibili vaccini nel Regno Unito. Più di 7.500 pazienti con infezione diagnosticata dal 16 marzo 2020 al 30 novembre 2020 sono stati identificati dalla Uk Biobank. Ciascuno è stato abbinato a un massimo di 10 persone senza Covid durante il periodo di studio (che è andato da marzo 2020 ad agosto 2021) e a una coorte storica pre-pandemia (marzo-novembre 2018). Ogni gruppo no Covid aveva più di 70mila partecipanti, simili a quello del gruppo Covid per età, sesso, fumo, diabete, ipertensione, malattie cardiovascolari e di altro tipo, indice di massa corporea, etnia e deprivazione economica. In tutti e tre i gruppi l’età media era di 66 anni e il numero di donne e uomini era quasi uguale.

“La coorte di controllo” pre-pandemia, precisano gli scienziati, “è stata inclusa per escludere l’effetto della riduzione o della cancellazione di servizi sanitari di routine” durante la crisi Covid, “che ha portato a un peggioramento della salute e a un aumento della mortalità anche nelle persone non infettate”. Rispetto ai due gruppi di non contagiati, i pazienti Covid avevano circa 4 volte più probabilità di sviluppare malattie cardiovascolari maggiori nella fase acuta e il 40% in più nella fase post-acuta. Rispetto ai non infettati, il rischio di morte nei pazienti Covid era fino a 81 volte più alto nella fase acuta e 5 volte più alto nella fase post-acuta. I pazienti con Covid grave avevano più probabilità di sviluppare malattie cardiovascolari maggiori o di morire, rispetto ai casi non gravi.

In generale i contagiati, rispetto ai non infetti, avevano maggiore probabilità di sviluppare, sia a breve che a lungo termine, patologie come infarto del miocardio, malattia coronarica, insufficienza cardiaca e trombosi venosa profonda. I rischi di alcune condizioni cardiovascolari, ad esempio ictus e fibrillazione atriale, sono stati elevati a breve termine, ma poi sono tornati a livelli normali.

Se questo studio è stato condotto durante la prima ondata pandemica, “la ricerca futura – osserva Wong – dovrebbe valutare i successivi focolai”. E indagare, concludono gli esperti, anche sull‘eventuale efficacia dei vaccini nel ridurre i rischi cardiovascolari  post infezione.