La Corte europea condanna l’Italia per la Terra dei Fuochi, sentenza storica

La Corte europea condanna l’Italia per la Terra dei Fuochi: due anni per agire, ma il veleno resta. Politica assente, vite spezzate, giustizia tardiva

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Francesca Secci

Giornalista

Giornalista pubblicista con esperienza in redazioni rilevanti, è specializzata in economia, finanza e geopolitica.

Pubblicato: 31 Gennaio 2025 07:20

La Corte europea dei diritti umani ha smascherato quello che per anni è stato negato: lo Stato italiano ha lasciato marcire la Terra dei Fuochi, condannando chi ci vive a un’esistenza tra rifiuti tossici, roghi e malattie. Decine di ricorsi sono arrivati a Strasburgo e ora la sentenza non lascia scampo. Tra Napoli e Caserta l’inquinamento è stato un affare per criminali e aziende senza scrupoli, ma chi doveva fermarlo ha chiuso gli occhi. Due anni di tempo per rimediare, mentre le vittime continuano a contarsi.

L’inquinamento ha reso l’area pericolosa per la salute

I giudici hanno messo nero su bianco quello che chi vive in questa terra sa da sempre: l’inquinamento è mortale. “Sufficientemente grave, reale e accertabile” il rischio di morte, tanto da essere definito “imminente”.

I dati scientifici non mentono, i tumori nemmeno. La politica invece sì. Per decenni si è parlato di piani e interventi, ma intanto i rifiuti tossici hanno continuato a finire sotto terra e nei polmoni della gente.

I giudici contestano alle autorità del nostro Paese la mancanza di “una risposta sistematica, coordinata e completa (…) nell’affrontare la situazione della Terra dei Fuochi”.

Documenti nascosti e verità scomode

Non solo la politica non ha fermato il disastro, ma ha anche nascosto le informazioni che avrebbero potuto salvare vite. Per anni il pubblico non ha avuto accesso ai dati sulla contaminazione e sulle malattie collegate.

Le parole di Carmine Schiavone, pentito dei Casalesi, erano già un macigno nel 1997: “Entro vent’anni rischiano tutti di morire”. Ma quelle dichiarazioni sono rimaste coperte dal segreto di Stato fino al 2013. Troppo tardi, perché nel frattempo la gente moriva davvero.

Chi ha lottato per anni ora festeggia, ma con amarezza

Ci sono voluti decenni di battaglie per arrivare a questo verdetto. Don Maurizio Patriciello, che da sempre denuncia lo scempio della Terra dei Fuochi, non dimentica le minacce e le umiliazioni subite: “Quante calunnie abbiamo dovuto subire; quante minacce, derisioni, offese”.

E ancora: “I negazionisti, ignavi, collusi, corrotti, ci infangavano ma siamo andati avanti. Convinti. Vedevamo con i nostri occhi lo scempio delle nostre terre e delle nostre vite”.

Per molti, però, la giustizia arriva quando ormai è troppo tardi. Alessandro Cannavacciuolo, scrive l’Ansa, ha visto morire suo padre e suo zio, tra i primi a denunciare la contaminazione dei terreni mostrando agnelli deformi, nati senza orecchie o con un occhio solo. “Hanno finalmente avuto giustizia, ma quelle vite non ce le restituirà nessuno”.

Due anni di tempo per rimediare, ma i danni restano

La Regione Campania prova a difendersi dicendo che la sentenza riguarda gli anni precedenti al 2013 e che da allora è iniziata la bonifica. Ma la Corte non si fida, e questa volta lo Stato dovrà dimostrare di voler davvero riparare ai danni fatti.

Il prefetto di Napoli, Michele di Bari, ha convocato un tavolo con le istituzioni, mentre si apre la possibilità di richieste di risarcimento per i danni subiti. Ma nessun rimborso potrà mai cancellare decenni di veleno nel sangue.

L’oncologo Antonio Giordano, che da anni studia gli effetti dell’inquinamento sulla popolazione, commenta senza mezzi termini: “È una sentenza storica”. Ma serve altro. Serve che l’Italia decida da che parte stare: con chi avvelena o con chi vuole ancora credere in un futuro per questa terra.