Liliane Murekatete, moglie di Aboubakar Soumahoro, arrestata per le cooperative migranti: la ricostruzione dell’inchiesta

I familiari del deputato sono coinvolti in una inchiesta relativa alla gestione di alcune cooperative che si occupano di migranti

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Giorgio Pirani

Giornalista economico-culturale

Giornalista professionista esperto di tematiche di attualità, cultura ed economia. Collabora con diverse testate giornalistiche a livello nazionale.

Liliane Murekatete, moglie dell’onorevole Aboubakar Soumahoro, è stata arrestata in relazione a una seconda inchiesta riguardante le cooperative gestite da lei e dai suoi familiari per l’accoglienza dei migranti. La Procura di Latina ha avanzato l’accusa di presunti reati tra cui frode nelle forniture pubbliche, bancarotta fraudolenta per distrazione patrimoniale e autoriciclaggio.

Moglie e suocera di Soumahoro agli arresti domiciliari

La Guardia di Finanza ha posto in regime di arresti domiciliari Murekatete, residente nella stessa casa del deputato a Casal Palocco. La suocera di Soumahoro, Marie Therese Mukamitsindo, ha subito una misura analoga e risiede a Latina. Il cognato Michel Rukundo è stato obbligato a restare nel comune di Carpeneto, situato nella provincia di Alessandria.

Inoltre, sono stati sottoposti a sequestro beni del valore di circa due milioni di euro. Questo provvedimento coinvolge i tre indagati menzionati in precedenza e un altro cognato di Soumahoro, Richard Mutangana, attualmente all’estero.

Il caso della cattiva gestione delle cooperative di accoglienza migranti di proprietà della famiglia Soumahoro era scoppiato a novembre dell’anno scorso, poche settimane dopo che l’ex sindacalista dell’Usb era stato eletto alla Camera, dopo anni di lotta contro le disuguaglianze e di impegno civile. A seguito della vicenda, il politico si era autosospeso dal suo partito, Alleanza Verdi e Sinistra, per poi passare al Gruppo misto a gennaio di quest’anno.

“Prendo atto della misura applicata a mia moglie Liliane, null’altro ho da aggiungere o commentare, se non che continuo a confidare nella giustizia. Ribadisco, come è agli atti, la mia totale estraneità a tutto e chiedo nuovamente di rispettare la privacy di mio figlio”, ha dichiarato Aboubakar Soumahoro.

Al centro dell’inchiesta la coop Karibu di Sezze

La famiglia della moglie di Soumahoro ha gestito a lungo servizi di accoglienza per richiedenti asilo e minori non accompagnati, inizialmente in provincia di Latina e successivamente in varie località italiane. Questa attività è stata condotta tramite la cooperativa Karibu e il Consorzio Aid.

Tuttavia, un anno fa, è emerso un presunto scandalo riguardante il mancato pagamento dei lavoratori, le condizioni precarie in cui si sarebbero trovavati gli ospiti delle cooperative e i debiti significativi che sarebbero stati accumulati con il Fisco. A seguito di queste rivelazioni, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha avviato un’ispezione, che ha portato alla chiusura delle due organizzazioni.

In seguito alle prime indagini, che hanno portato a misure interdittive e sequestri relativi a reati fiscali, su ordine del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina, sono scattati ora arresti per i membri del Consiglio di Amministrazione della cooperativa Karibu. È stato anche emesso un provvedimento di sequestro preventivo a fini di confisca, che mira a confiscare i proventi derivati dai reati commessi.

Le condizioni in cui vivevano i migranti

Il nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Latina, incaricato dalla Procura di svolgere le indagini, ha esaminato l’operato di cooperative come Karibu e Aid, così come di Jambo Africa, un’altra cooperativa legata agli indagati.

Gli inquirenti ritengono che queste cooperative abbiano ricevuto ingenti finanziamenti pubblici da varie istituzioni, tra cui Prefetture, Regione e Comuni, per realizzare progetti specifici e fornire assistenza ai richiedenti asilo e ai minori non accompagnati. Tuttavia, secondo il procuratore capo di Latina, Giuseppe De Falco, queste cooperative avrebbero erogato un servizio che era inadeguato e non corrispondeva agli accordi stabiliti.

Nelle strutture gestite da Karibu e Aid sarebbero emersi numerosi problemi, tra cui sovraffollamento, alloggi in pessime condizioni, arredi inadeguati, scarsa igiene, mancanza di interventi per il controllo dei parassiti, mancanza di riscaldamento adeguato, carenza di acqua calda, cibo insufficiente, pessima conservazione degli alimenti, mancanza di pulizia, scarsità di abbigliamento e prodotti per l’igiene.

In pratica, nonostante lo Stato abbia erogato consistenti finanziamenti per l’accoglienza dei migranti, le cooperative legate ai familiari di Soumahoro, stando alle indagini, avrebbero lasciato i migranti provenienti dall’Africa senza cibo, con pochi indumenti e in condizioni di freddo.

Questo quanto emerso già un anno fa, quando la Uiltucs di Latina ha iniziato a raccogliere le denunce da parte di coloro che, disperati e senza stipendo, hanno chiesto aiuto, insieme a chi non era più in grado di sopportare condizioni di vita disumane.

“Soldi del Cas usati per spese personali”

Le Fiamme Gialle avrebbero scoperto situazioni terribili all’interno dei Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) gestiti da Karibu e Aid. In particolare, le condizioni critiche sarebbero state riscontrate presso il CAS di via Lipari ad Aprilia, presso l’Hotel de la Ville Central a Latina, presso il CAS di Casal dei Lupi a Maenza (gestiti da Karibu), e presso i CAS di via Romagnoli e via del Pioppeto, sempre a Latina (gestiti da Aid).

La Procura di Latina ha definito queste situazioni come casi di “gravissime criticità”, che avrebbero costretto i migranti richiedenti protezione internazionale a vivere in condizioni che violavano i loro diritti e la loro dignità, aggravate dalla loro particolare vulnerabilità.

Secondo gli inquirenti, le cooperative coinvolte e gestite dalla moglie e dalla suocera di Aboubakar Soumahoro avrebbero tratto “considerevoli risparmi di spesa” da queste condizioni, generando notevoli profitti. Questi profitti sarebbero poi stati utilizzati per spese personali, tra cui alberghi, ristoranti, abbigliamento di lusso, accessori, gioielli e investimenti che non avevano nulla a che fare con lo scopo sociale delle cooperative o la loro natura di enti no profit. La Procura di Latina ha evidenziato questi aspetti, sottolineando che i membri della famiglia coinvolta hanno giustificato queste spese come un “diritto all’eleganza”.

La Guardia di Finanza ha inoltre scoperto che una parte dei fondi sarebbe stata trasferita all’estero, in particolare in Ruanda, Paese d’origine dei familiari dell’onorevole Soumahoro, dove hanno aperto un resort, così come in Belgio e Portogallo.

La Procura di Latina ha comunicato che le indagini proseguiranno, affrontando ulteriori questioni investigative complesse.

Processo per evasione fiscale, a rischio tutta la famiglia

Il prossimo 3 novembre, il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Latina, Pierpaolo Bortone, dovrà decidere se rinviare a giudizio la moglie, la suocera e due cognati del parlamentare, insieme a due loro collaboratori, per le accuse di evasione fiscale.

Secondo Gianfranco Cartisano, a capo della Uiltucs, Karibu e il Consorzio Aid, avrebbero ricevuto complessivamente 62 milioni di fondi e denaro pubblico destinati a progetti sull’accoglienza e sull’immigrazione. Tuttavia, questi fondi sarebbero stati incassati per scopi diversi da quelli previsti, con l’intenzione – sempre secondo le indagini – di sottrarre denaro e non pagare gli stipendi dei lavoratori impegnati nell’accoglienza e nell’integrazione dei migranti.

Tra coloro che rischiano il processo ci sono la moglie dell’onorevole, Liliane Murekatete, la suocera Marie Therese Mukamitsindo, i cognati Michel Rukundo e Richard Mutangana, oltre ai collaboratori Ghislaine Ada Ndongo e Christine Ndyanabo Koburangyira. Gli imputati sono stati soggetti a misure interdittive, e sono stati confiscati beni per un valore complessivo di oltre 650mila euro.