“Il concetto di Padania libera non è mai tramontato, io ce l’ho nel cuore da quando sono ragazzo e oggi continuo a rivendicarlo con orgoglio. Chiaramente non è più quello per cui sono entrato in politica 30 anni fa, quel sogno chiamato Autonomia differenziata che è stato il nostro motore sin dalle origini. Qualcosa è cambiato, ma questo non significa che l’ideale sia venuto meno. Anzi, oggi includerei in quella regione non solo la Lombardia, il Piemonte, il Veneto, la Liguria e l’Emilia Romagna, ma anche la parte settentrionale delle Marche, a cui accedere tramite la costa adriatica”.
A parlare è niente meno che Roberto Castelli, volto storico della Lega Nord, quella fondata da Umberto Bossi e Gianfranco Miglio, quella che benediva i bambini con l’acqua del Po’, quella che baciava ogni anno il “sacro suolo di Pontida”, quella che vedeva in Alberto da Giussano (leggendario combattente del XII° secolo) la figura mitologica a cui ispirarsi. Due volte ministro della Giustizia nei governi di Silvio Berlusconi, dotato di rigoroso pragmatismo ma anche di sagace ironia, da alcuni anni è uno dei pochi a porsi in aperto contrasto con la leadership di Matteo Salvini, rivendicando quelle battaglie che furono il caposaldo della primissima stagione del Carroccio.
Autonomia differenziata, la scelta della Lega per legare il governo a questa riforma
Tra i punti fermi di quel partito che – sulla scia di Tangentopoli e sulle macerie della Prima Repubblica dilaniata dagli scandali – riuscì ad imporsi a livello nazionale per contrastare l’egemonia soffocante di “Roma ladrona“, c’era senza dubbio la volontà di togliere poteri e prerogative al governo centrale dello Stato per dare ampi margini di manovra agli enti locali. In particolare, la Lega Nord dei primi anni Novanta vedeva nelle regioni il luogo designato dove affrontare i temi più cari ai cittadini, quelli che l’esecutivo romano non avrebbe mai potuto conoscere bene.
Dopo gli scandali dello scorso decennio, negli ultimi anni il Carroccio è ripartito affidandosi alla forza dirompente di Matteo Salvini, oggi vicepremier e ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che dalla crisi all’apparenza irreversibile di consensi in cui era crollato il partito è stato capace di portarlo oltre il 40% (dato delle elezioni europee del 2019) a suon di slogan e felpe.
Oggi però, come la politica contemporanea ci ha abituato, tutto è cambiato nel giro di un batter d’occhio. La propaganda della “Bestia” (la sua squadra di spin doctor e social media manager) ha perso parte della propria efficacia, mentre la trasformazione della Lega da presidio locale a contenitore nazionale gli ha alienato le simpatie dei supporters duri e puri (tra cui appunto lo stesso Castelli, che intervistato su Radio Uno ha sentenziato dicendo che “la stagione di Salvini è finita“).
Autonomia differenziata, le mosse del ministro Roberto Calderoli
E così il segretario leghista, stretto tra lo sgretolamento dei suoi fedelissimi e la cavalcata inarrestabile di Fratelli d’Italia guidati dalla premier Giorgia Meloni, ha capito che forse vale la pena fare un passo indietro, tornando a quella formula che aveva plasmato l’identità del partito nel profondo Nord, nelle aree in cui il lavoro viene prima di tutto, specialmente quello imprenditoriale, fatto di tante partite iva e piccoli artigiani che guardano con eterno rancore ai gangli burocratici di cui è infarcita l’amministrazione centrale dei palazzi della Capitale.
Assieme al fidato Roberto Calderoli, che nell’esecutivo di oggi ricopre proprio l’incarico di ministro degli Affari regionali, ha riaperto la sfida dell’Autonomia differenziata, facendone la riforma irrinunciabile che la Lega chiede a tutti i costi. In coordinamento con l’altro dicastero coinvolto, quello delle Riforme istituzionali guidato da Elisabetta Alberti Casellati, stanno mettendo le basi per un nuovo rapporto tra lo Stato centrale e gli enti locali. Ma il percorso pare davvero molto lungo e assai impervio.
Autonomia differenziata: dal voto in Parlamento ai Livelli essenziali di prestazione
Prendendo in analisi gli ultimi passaggi a noi più vicini nel tempo, tutto parte nella mattina dello scorso 31 gennaio, quando la legge di attuazione dell’Autonomia differenziata entra sul tavolo del Consiglio dei ministri. Nel giro di 3 giorni il testo incassa una prima approvazione di massima, con l’impegno sottoscritto da tutti i titolari dei dicasteri di aggiornarsi periodicamente sui progressi della normativa. Intanto, a dare il proprio benestare ci pensa anche la Conferenza unificata (sede in cui le Regioni, le Provincie, i Comuni e le Comunità montane si riuniscono per deliberare su singoli punti di interesse generale), che il 2 marzo si esprime a favore.
Il punto del tragitto in cui siamo arrivati ora è uno dei più complicati. La legge si sta impantanando in Parlamento, sballottata di continuo tra le diverse commissioni competenti alla Camera e al Senato. Nel frattempo, tra un’accusa di disinteresse avanzata dai vertici leghisti nei confronti degli alleati e l’incertezza che la stessa Giorgia Meloni tradisce proprio su questo tema, si è tornati a parlare anche dei famosi Livelli essenziali di prestazione (Lep), che rappresentano lo standard di qualità minimo che ogni regione deve garantire sugli ambiti che il governo centrale potrebbe cedere. Ne è nata una Cabina di regia, che sta valutando le singole situazioni presenti in tutte le aree del Paese.
Autonomia differenziata, tutti i prossimi passaggi fino all’approvazione
Mentre si attende che l’Aula si esprima in merito alla legge di attuazione, serviranno 6 mesi per la ricognizione della Cabina di regia sulle materie a cui applicare i Lep, che non dovranno essere troppe per non mandare in crisi le regioni più in difficoltà, ma nemmeno troppo pochi per non rendere nullo l’intero impianto della riforma. Una volta definiti i Lep, la palla tornerà nelle mani del governo: il Consiglio dei ministri dovrà emanare un Dpcm per ognuno di essi, per poi sottoporlo ancora una volta alla valutazione dalla Conferenza unificata e del Parlamento.
Superato questo straziante ping pong, inizierà il vero negoziato tra governo e regioni. Ogni singolo governatore (in accordo con il proprio Consiglio regionale) dovrà inviare una proposta a Roma elencando le materie che intende accollarsi. Si arriverà così ad un’intesa preliminare, che diventerà la base su cui discutere gli ultimi passaggi. Anche in questo caso servirà l’ok delle Camere, i tempi si faranno molto più stringenti e il punto di arrivo inizierà a prendere forma.
L’ultimo chilometro di corsa potrebbe però rivelarsi quello più complicato. Ancora una volta tutto si svolgerà in Parlamento ma – a differenza di tutte le precedenti votazioni – il disegno di legge conclusivo con allegate tutte le intese tra governo e regioni dovrà ricevere il benestare degli eletti con maggioranza assoluta: questo significa che ad esprimersi a favore dell’Autonomia differenziata dovrà essere il 50% + 1 degli aventi diritto.