Israele bombarda Beirut mentre Netanyahu parla all’Onu: l’Iran ora giura vera vendetta

L'ennesimo raid israeliano piomba sul quartier generale di Hezbollah nella capitale libanese, con l'obiettivo di colpire il leader Nasrallah. Si temono centinaia di morti. Netanyahu ha approvato l'attacco telefonando da New York

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Come avevamo previsto, Israele non ha mollato la presa sul Libano. L’esercito dello Stato ebraico ha lanciato un raid mirato contro il quartier generale di Hezbollah a Beirut, con l’obiettivo di uccidere il leader del movimento sciita Hassan Nasrallah. Che, però, si dice sia sopravvissuto. Anche se appare improbabile che sia scampato a un attacco così massiccio nel luogo dove era stata confermata la sua presenza.

L’attacco ha ovviamente scatenato l’ira di Teheran, che l’ha definito “un’escalation che cambia le regole del gioco“, promettendo “una punizione adeguata” nei confronti di Tel Aviv. Stavolta potrebbe davvero configurarsi una risposta diretta dell’Iran al grande nemico, detentore però dell’arma nucleare.

Il raid israeliano contro il quartier generale di Hezbollah: obiettivo Nasrallah

Nel tardo pomeriggio la periferia sud di Beirut è stata scossa da fortissime esplosioni, nubi di fumo nero e carosello terribile di ambulanze che provavano a raggiungere l’area facendosi strada fra le persone in fuga. Fonti citate da Sky News Arabia hanno riferito che il bersaglio del raid, Nasrallah, non sarebbe rimasto coinvolto nel raid e sarebbe “in un luogo sicuro”. Mentre da fonti israeliane è emerso che le Idf stanno verificando quali siano le condizioni del numero uno di Hezbollah, il quale si trovava nella capitale libanese per una breve visita quando i caccia hanno lanciato il raid contro il quartier generale del gruppo sciita. Proprio questa è stata la finestra operativa individuata anche dall’intelligence israeliana per lanciare l’attacco, nella convinzione dichiarata che lo Stato ebraico “lancia raid solo quando è sicura di colpire gli obiettivi prefissati”. In ogni caso il premier libanese, Najib Mikati, ha riferito di “molte vittime” a Beirut per il raid e di sei edifici completamente distrutti.

Poco dopo l’esercito libanese ha creato un cordone protettivo attorno all’ambasciata statunitense, che si trova nella zona settentrionale di Beirut. Secondo forze di sicurezza e soccorritori, si temono centinaia di morti. A quattro ore dal raid che minaccia l’escalation definitiva, l’esercito israeliano ha sferrato un’altra offensiva anche su altri obiettivi di Hezbollah nel Libano meridionale. Mentre, negli stessi istanti, le sirene risuonavano nel nord dello Stato ebraico segnalando l’arrivo di decine di razzi. Nell’attacco sono morti la figlia di Hassan Nasrallah, Zainab, e “importanti leader” di Hezbollah. Si tratterebbe del presidente del consiglio esecutivo del gruppo islamista e cugino di Nasrallah, Hashem Safieddime, e del parlamentare del partito libanese Alì Ammar.

Le vittime del massiccio attacco su Beirut vanno ad aggiungersi a quelle dei raid israeliani sul Libano degli ultimi giorni. Secondo un bilancio provvisorio, sono oltre 700 i morti registrati da lunedì, esclusi quelli dell’ultimo maxi attacco. L’opzione di un’operazione di terra nel Paese confinante è stata confermata da un funzionario della sicurezza israeliano il quale, sottolineando che non è ancora stata presa una decisione in merito, ha dichiarato che non durerebbe come quella nella Striscia di Gaza perché gli obiettivi sarebbero molto più limitati. L’esercito israeliano ha fatto sapere in ogni caso di avere mobilitato due brigate di riservisti per missioni operative nel nord di Israele, cioè vicino al confine con il Libano. Intanto gli Houthi yemeniti hanno rivendicato il lancio di un missile balistico contro Tel Aviv e di un drone contro la città costiera di Ashkelon e hanno minacciato di continuare gli attacchi contro Israele finché “la sua aggressione al Libano e a Gaza non cesserà”.

L’accatto di Netanyahu all’Onu

Il raid su Beirut è giunto poco dopo l’atteso discorso di Benjamin Netanyahu all’Assemblea Generale dell’Onu a New York. Dal podio il premier israeliano lo aveva promesso: lo Stato ebraico andrà avanti nella guerra contro Hezbollah in Libano “finché tutti gli obiettivi non saranno raggiunti”. Queste sue dichiarazioni avevano affievolito le già flebili speranze di un cessate il fuoco sostenuto a livello internazionale, per fermare la spirale che rischia di far scivolare il Medio Oriente in una guerra regionale totale. Bibi aveva inoltre minacciato l’Iran: “Se ci colpite vi colpiremo. Non c’è posto in Iran che l’esercito israeliano non possa raggiungere e questo è vero per tutto il Medio Oriente”. Poi la notizia delle esplosioni a Beirut.

Netanyahu ha lasciato un briefing con i giornalisti israeliani dopo che il suo segretario militare, il maggiore generale Roman Gofman, gli si è avvicinato e gli ha sussurrato qualcosa all’orecchio. Secondo quanto riferito dall’ufficio del premier israeliano, Netanyahu ha approvato l’attacco a Beirut al telefono dal suo hotel di New York. E ha successivamente deciso di anticipare il rientro in Israele. Stando a quanto riferito da una fonte israeliana ad Axios, sarebbero stati avvisati del raid pochi minuti prima che avvenisse. Diversa la versione fornita da un portavoce del Pentagono, secondo il quale non c’era stato nessun preavviso e il segretario alla Difesa Lloyd Austin ha parlato con il suo omologo israeliano Yoav Gallant mentre l’operazione era già in corso.

Le parole di Netanyahu all’Onu non sono state concilianti, anzi ha ribadito che Israele andrà avanti a Gaza e in Libano e ha minacciato l’Iran, attaccando poi le Nazioni Unite definite una “palude di bile antisemita”. “Non avevo intenzione di venire qui”, perché “il mio Paese è in guerra e sta combattendo per la sua vita, ma dopo avere sentito bugie su Israele da molti speaker su questo podio ho deciso di venire mettere le cose in chiaro”, ha detto, sostenendo che lo Stato ebraico “brama la pace” ma “deve difendersi”. Mentre alcune delegazioni, fra cui quelle di Turchia e Iran, avevano lasciato l’aula, Netanyahu ha detto che la guerra a Gaza può finire adesso se Hamas si arrende e libera gli ostaggi. Se però questo non si verificherà, Israele “combatterà fino a raggiungere la vittoria, una vittoria totale”.

La reazione dell’Iran

Mentre gli Stati Uniti, per bocca del Segretario di Stato Antony Blinken, mettono le mani avanti avvertendo che risponderanno a qualunque attacco contro loro basi in Medio Oriente, l’Iran reagisce con grandi minacce. Stavolta paventando davvero una risposta diretta all’ennesimo (tentativo di) assassinio nei confronti di ufficiali di alto rango, leader di gruppi sciiti e negoziatori. Una tattica che Israele mette in campo dagli Anni Settanta. L’ambasciata iraniana in Libano è stata la prima a veicolare la promessa di vendetta persiana. Gli attacchi israeliani nel sud di Beirut rappresentano una “pericolosa escalation” e “cambiano le regole del gioco”, ha tuonato. Israele e gli autori del massacro “riceveranno una giusta punizione”, ha aggiunto.

In un’intervista trasmessa dalla televisione di Stato iraniana, il generale iraniano Ahmed Vahidi, ex comandante delle Forze Quds del Corpo delle guardie della Rivoluzione islamica, ha dichiarato che “Hezbollah ha addestrato un gran numero di comandanti”. Per ogni comandante ucciso, “c’è qualcuno pronto a prenderne il posto”.