Aung San Suu Kyi: il Nobel contestato ma irrevocabile

Perché l'opinione pubblica globale è radicalmente mutata nei confronti di Aung San Suu Kyi. In tanti vorrebbero veder ritirato il suo Nobel ma ecco perchè non è possibile

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

La vita di Aung San Suu Kyi è stata a dir poco complessa, così come il suo percorso politico. È stato il celebre volto della lotta per la democrazia in Myanmar, figlia del generale Aung San, assassinato nel 1947.

La sua dura lotta ha avuto inizio nel 1988, quando esplosero le proteste violente per la democrazia nel Paese, sotto il gioco della giunta militare del generale Ne Win. Centinaia di manifestanti vennero uccisi dai soldati. Era l’agosto del 1988, poco prima che Aung San Suu Kyi fondasse la National League for Democracy, partito d’opposizione ai militari.

La crisi dei Rohingya

Nel 1990 il suo partito ebbe la meglio alle elezioni ma il regime militare rifiutò di cedere il potere. Arrestata a più riprese, la prima volta proprio nel 1988, è divenuta un simbolo internazionale di resistenza pacifica contro l’oppressione. Per 15 anni è stata incarcerata e poi sottoposta agli arresti domiciliari.

Nel 2015 il suo partito trionfa ed effettivamente sale al governo. La Costituzione le impedisce però d’esserne la leader, avendo familiari che sono cittadini stranieri, ovvero i suoi due figli. L’attivista ricopre però il ruolo di capo del governo de facto, incaricata come Consigliere di Stato. In questi anni però, fino al golpe militare del 2021, subisce numerose e violente critiche internazionali.

Sulla figura di Aung San Suu Kyi si è abbattuta l’ombra delle atrocità denunciate dalla minoranza di fede musulmana dello Stato Rakhine. Un rapporto delle Nazioni Unite l’ha accusata, di fatto, di non aver sfruttato la propria autorità per riuscire a prevenire le violenze inflitte ai Rohingya. Un dramma descritto come una vera e propria pulizia etnica.

Il Premio Nobel contestato

Nel 2009 aveva ricevuto il titolo di Ambasciatore di Coscienza, che Amnesty International ha provveduto poi a revocare. Contro di lei un’accusa di “tradimento vergognoso di quelli che sono i valori per cui un tempo si era battuta”.

Non soltanto non avrebbe messo in campo la propria autorità, restando dunque inerme dinanzi alle atrocità commesse. Pubblicamente ha infatti negato la gravità dei fatti nei confronti dei Rohingya: “Non rappresenta più un simbolo di speranza, coraggio ed eterna difesa dei diritti umani”.

Nel 1991 Aung San Suu Kyi aveva inoltre ricevuto il Premio Nobel per la Pace. Un gesto che venne accolto con generale clamore, per un’attivista che, rischiando la vita in prima persona, aveva saputo offrire un esempio di lotta pacifica contro la violenza armata.

Oggi, però, i sentimenti nei suoi riguardi sono ben differenti e in tanti vorrebbero vedere quel riconoscimento cancellato. Una presa di posizione in tal senso da parte del Comitato per il Nobel non è però mai giunta. Non è stato sfruttato il silenzio per evitare una situazione spinosa, anzi.

Una comunicazione ufficiale è giunta, utile però soltanto a spiegare per quale motivo nessun Nobel potrà mai essere revocato. Intervistato dalla CNN, si era espresso nel 2018 il presidente del Comitato. Ha spiegato come non esista affatto una regola interna che porti alla revoca.

Il motivo è presto spiegato. Al tempo, nel 1991, decisero di premiare la sua battaglia politica, civile e sociale. Nessuno può cancellare quella e, di conseguenza, le basi che portarono alla scelta. Quanto accaduto modifica l’opinione internazionale ma non gli eventi del passato.