Pensioni, il sistema previdenziale è a rischio con tanti anziani e pochi giovani a lavoro

La tenuta del sistema previdenziale italiano è a rischio, in pensione troppo presto e con assegni molto elevati: male il rapporto tra anziani e giovani

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Riccardo Castrichini

Giornalista

Nato a Latina nel 1991, è laureato in Economia e Marketing e ha un Master in Radio, Tv e Web Content. Ha collaborato con molte redazioni e radio.

Pubblicato: 16 Dicembre 2024 20:49

Il sistema previdenziale fondamentale per le erogazioni delle pensioni è, al momento, stabile in Italia, ma seriamente a rischio. Ad affermarlo è il report presentato dal Civ dell’Inps dal titolo La natura delle entrate e delle uscite dell’Inps in rapporto alla dimensione previdenziale e assistenziale delle prestazioni che ha focalizzato la propria attenzione sulla situazione previdenziale in Europa e in Italia. Il potenziale problema principale di tenuta è dato dal fatto che si registra “un peggioramento del rapporto tra pensionati e contribuenti, con rischi evidenti per l’equilibrio del sistema previdenziale, soprattutto in presenza di livelli di spesa previdenziale di per sé elevati”. Tradotto vuol dire che il forte calo della natalità, unito alla migliore speranza di vita degli individui crea un più forte rapporto di dipendenza tra anziani e giovani.

Il rapporto tra giovani e anziani in Europa

Entrando più nel dettaglio dei dati del report del Civ, tra i soggetti con un’età superiore ai 64 anni e quelli della fascia 20-64 anni nel 2022 è stato registrato in Ue un rapporto di interdipendenza previdenziale pari al 36%. I valori più alti sono stati registrati in Italia, con la percentuale che sale al 41%, e Portogallo, 41,2%.

Un focus sul sistema previdenziale in Italia

Così come spiegato dal Civ dell’Inps, in Italia nel 2023 “lo stock di pensioni è rimasto sostanzialmente invariato. Sebbene una quota crescente delle pensioni venga liquidata in regime contributivo, ed è quindi legata ai contributi versati nell’arco della vita lavorativa dai beneficiari, permane la questione della sostenibilità in quanto il sistema di finanziamento delle prestazioni è a ripartizione, ovvero i contributi ricevuti in un determinato anno sono utilizzati per erogare i trattamenti pensionistici dello stesso anno. Se l’importo delle prestazioni erogate supera i contributi versati da lavoratori e imprese si determina uno squilibrio strutturale del sistema che deve essere compensato e ciò generalmente avviene con trasferimenti dello Stato a carico della fiscalità generale”.

Occorrerebbe, dunque, cercare di non arrivare mai al punto totale di squilibrio che, ricorda sempre l’Inps “può derivare dalla generosità delle prestazioni, frequente nel caso di prestazioni determinate con il metodo retributivo e quindi slegate dall’entità dei contributi versati dal lavoratore, ma anche dall’invecchiamento demografico per cui si registra un aumento delle prestazioni pensionistiche da pagare non controbilanciato da un aumento della contribuzione”.

La crescita dell’età mediana

L’Italia, entrando più nel dettaglio, ha dei pessimi dati per quanto riguarda l’età mediana. Nel Belpaese questo dato è pari a 48,4 anni (in salita negli ultimi cinque anni), mentre la media europea è di 44,5 anni. Su tale crescita nostrana hanno influito il calo della natalità e l’aumento della speranza di vita. “L’Italia – si legge nel report del Civ – ha il terzo tasso di fecondità più basso in Ue (1,24) dopo Malta e Spagna e la speranza di vita a 65 anni più alta dopo Spagna e Francia pari a 21,5 anni”.

L’alta spesa per le pensioni italiane

C’è un altro dato del report del Civ dell’Inps che merita particolare attenzione, ovvero la spesa italiana per i trattamenti previdenziali. Il Belpaese spende, storicamente, più della media europea e di quella dei Paesi Ocse. Nel 2021 (ultimo anno di rilevazione comparativa), era pari al 16,3% del Pil, contro la media europea del 12,9%.

A influire in negativo sono principalmente due fattori:

  • l’età di pensionamento, fissata a 67 anni ma che grazie a sistemi di uscita anticipata dal mercato del lavoro si attesta in Italia a 64,2 anni;
  • la generosità del sistema, con il tasso di sostituzione rispetto all’ultima retribuzione al 58,9%, ovvero 14 punti in più rispetto alla media Ue.