Pensioni, si rischia ritorno a legge Fornero: le 3 opzioni del governo

L'esecutivo di centrodestra dovrà decidere che fare con Quota 102, Opzione donna e APE Sociale. Nel frattempo, la spesa pensionistica cresce per colpa dell'inflazione

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Redazione

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Da un lato la maggiore spesa per l’indicizzazione di tutte le pensioni all’inflazione galoppante, dall’altro le decisioni da prendere su misure in scadenza come Quota 102, Opzione donna e APE Sociale. Sono le due grandi sfide, sul fronte pensioni, che il nuovo governo di centro-destra si troverà ad affrontare nei prossimi mesi. Mentre la prima è già scritta, e prevede un’impennata del 7,9% per la spesa pensionistica nel 2023 rispetto al 2022, la seconda dipenderà molto dalle scelte dell’esecutivo a guida Meloni, che però inevitabilmente si dovrà scontrare con dei vincoli di finanza pubblica assai stretti. Oltre alle storiche pressioni del debito pubblico italiano, vanno considerate le spese aggiuntive per combattere la crisi energetica, che avrà il suo picco proprio questo inverno.

I moniti, su questo fronte, sono già cominciati ad arrivare. “La spesa pubblica sarà pressata dall’indicizzazione delle prestazioni sociali (comprese le pensioni) e da misure discrezionali per far fronte agli elevati costi energetici, mentre i rendimenti dei titoli di Stato a 10 anni hanno toccato il massimo degli ultimi nove anni a fine settembre”, ha scritto Fitch Ratings in un nuovo report sull’Italia pubblicato in questi giorni, dove ha evidenziato le varie sfide per il nuovo esecutivo di centro-destra.

Le cifre

Nonostante i passi avanti fatti all’inizio del nuovo millennio con tutte le riforme fino alla Fornero del 2012, la situazione negli ultimi anni è ritornata a essere allarmante. Come si legge nella Nota di aggiornamento al DEF (la cosiddetta NADEF), approvata dal governo lo scorso 28 settembre, “a partire dal 2010, il rapporto tra spesa pensionistica e PIL, già in crescita negli anni precedenti a causa alla fase acuta della recessione, continua ad aumentare in ragione dell’ulteriore fase di contrazione” della crescita. E così, “dal 2019 e fino al 2022, il rapporto tra spesa pensionistica e PIL aumenta, prima repentinamente, raggiungendo un picco pari al 16,9% nel 2020, e poi si riduce nei due anni seguenti, attestandosi al 2022 su un livello pari al 15,7%, mezzo punto percentuale di PIL al di sopra del dato del 2018″.

Nel 2022 per gli assegni pensionistici si spenderanno 297,4 miliardi di euro (15,7% del PIL). Questa spesa salirà nel 2023 a 320,8 miliardi di euro, ed è destinata a salire a 338,2 miliardi di euro nel 2024 e 349,8 miliardi di euro nel 2025. In sostanza, con le uscite previdenziali in netto aumento, si restringono gli spazi di finanza pubblica per eventuali nuovi interventi destinati a evitare il ritorno da gennaio alla legge Fornero in versione integrale.

L’allarme dei sindacati

Il 31 dicembre arriveranno infatti a conclusione le misure Quota 102, Opzione donna e APE Sociale, con i sindacati già preoccupati per le conseguenze. Per Cgil, Cisl e Uil, il simultaneo stop di questi tre canali d’uscita provocherà un aumento secco della soglia di pensionamento dai 62 anni di quella che era Quota 100 (poi diventati 64 con Quota 102) ai 67 anni del requisito di vecchiaia.

Le richieste, che presentano un costo non indifferente per le casse pubbliche, sono di procedere subito con Quota 41, una misura tra l’altro cara alla Lega, o di garantire per tutti uscite con 62 anni. Bisognerà attendere la formazione del nuovo Governo, oltre che le interlocuzioni con i tecnici del Ministero delle Finanze, per capire quale sentiero è percorribile.

Le misure in dettaglio

La cosiddetta Quota 102 è la sperimentazione annuale introdotta dal Governo Draghi dopo la conclusione della sperimentazione triennale di Quota 100. Si tratta della possibilità di pensionamento anticipato con almeno 64 anni d’età e 38 di contributi. La misura, stimano gli esperti, finirà l’anno con meno adesioni di quelle originariamente stimate.

La cosiddetta pensione “Opzione donna” è un trattamento pensionistico calcolato secondo le regole di calcolo del sistema contributivo ed erogato, a domanda, in favore delle lavoratrici dipendenti e autonome. In sostanza, permette di andare in pensione alle lavoratrici con 58 anni d’età (59 le autonome) e 35 anni di contributi raggiunti nel 2021.

L’indennità cosiddetta “APE Sociale” è corrisposta, a domanda, fino al raggiungimento dell’età prevista per la pensione di vecchiaia. Si tratta di un’indennità a carico dello Stato erogata dall’INPS, entro dei limiti di spesa, a soggetti in determinate condizioni previste dalla legge che abbiano compiuto almeno 63 anni di età e che non siano già titolari di pensione diretta in Italia o all’estero. Permette di uscire a 63 anni d’età e 30 o 36 anni di versamenti, secondo i casi.