C’è una vicenda giudiziaria, esaminata quest’anno dalla Corte di Cassazione, che riguarda un delicatissimo tema per i cittadini che versano contributi previdenziali: che cosa accade quando Inps riconosce una pensione, il lavoratore cessa l’attività e poi, a distanza di tempo, quell’assegno viene revocato? E soprattutto: l’assicurato ha diritto al risarcimento dei danni subiti a causa dell’affidamento riposto nell’ente previdenziale?
Sono domande ben giustificate se pensiamo che una decisione Inps sul diritto alla pensione incide direttamente su scelte esistenziali, economiche e professionali del lavoratore, ma è vero che una recente pronuncia della Suprema Corte, l’ordinanza 18821/2025, ricostruisce in modo chiaro i criteri che i giudici applicano quando c’è un errore dell’istituto e il pensionato subisce una perdita economica.
Indice
Dalla pensione riconosciuta alla revoca: il caso in tribunale
Il protagonista della vicenda aveva ottenuto il riconoscimento della pensione di vecchiaia da parte dell’ente previdenziale. E, proprio sulla base di tale provvedimento, aveva cessato il rapporto di lavoro ritenendo di aver raggiunto ormai l’agognato traguardo.
In un secondo tempo, però, l’istituto di previdenza gli aveva comunicato la revoca della pensione per un indebito, chiedendogli la restituzione delle somme già versate.
Dalla scomoda situazione scaturì una disputa legale fra pensionato ed ente. In estrema sintesi, il giudice competente a decidere nel merito accolse la tesi dell’uomo che negava l’indebito, ritenendo, quindi, non dovuta la restituzione delle somme già incassate sul proprio conto corrente.
Al contempo, condannava Inps a restituire quanto nel frattempo trattenuto, ma respingeva la correlata domanda di risarcimento del danno, giudicando insufficiente la prova del danno subìto dal cittadino.
Evidentemente non soddisfatto dell’esito giudiziario, il pensionato impugnò la sentenza in appello. Proprio in secondo grado, la tutela nei suoi confronti si estese perché la magistratura affermò che:
doveva tutelarsi, ex art. 1175 c.c., l’affidamento dell’assicurato, atteso che gli enti previdenziali erano tenuti a condotte di diligenza, nella comunicazione dei dati in loro possesso, quindi, ha determinato in suo favore il risarcimento del danno.
In sostanza la corte ha indicò un principio giuridico molto importante, ossia che gli enti previdenziali devono sempre agire secondo correttezza e buona fede nei confronti degli assicurati, soprattutto quando comunicano dati e informazioni in loro possesso.
Questo vuol dire che nel momento in cui l’ente riconosce una pensione e l’assicurato, fidandosi, lascia il lavoro, il suo affidamento sul conseguimento del diritto a pensione deve essere comunque tutelato.
Quando si ha diritto al risarcimento dei danni
Proprio per il ragionamento appena visto, il giudice di secondo grado aveva attribuito il risarcimento del danno patrimoniale a favore dell’uomo, commisurandolo ai ratei mensili di pensione non incassati dopo la revoca e fino alla successiva liquidazione della pensione anticipata.
Tuttavia, la magistratura respingeva altre voci di danno richieste dal lavoratore, ossia quello legato ai contributi volontari pagati per ottenere la pensione anticipata, alla differenza tra il maggior importo della pensione originariamente liquidata e quello della pensione anticipata e il danno da mancate retribuzioni per il periodo in cui il rapporto di lavoro era terminato per il legittimo affidamento.
Confermato il danno patrimoniale in Cassazione
L’accesa disputa è proseguita presso i giudici di piazza Cavour con il ricordo di Inps contro la sentenza d’appello. L’istituto sosteneva l’imprecisione dal punto di vista logico-giuridico e dell’applicazione delle norme di legge.
Al contempo, anche l’uomo lamentava delle inesattezze nella pronuncia, chiedendo di ottenere l’ulteriore liquidazione di più di 30mila euro per retribuzioni perse a causa del suo affidamento sull’operato dell’ente.
A suo dire, aveva abbandonato il lavoro proprio in seguito al riconoscimento della pensione, e il precedente giudice, nello stabilire l’importo complessivo del risarcimento, non aveva quantificato correttamente la somma.
Ebbene, a porre fine alla lite è stata la citata ordinanza n. 18821 di quest’anno, con cui la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di Inps e, parallelamente, infondato quello del lavoratore.
In breve, la Suprema Corte ha stabilito che:
- la corte d’appello non aveva riconosciuto alcun danno esistenziale, che quindi non andava risarcito;
- il danno liquidato era, invece, un danno patrimoniale legato alla mancata percezione della pensione dopo la revoca, cui il lavoratore aveva fatto affidamento avendo cessato il rapporto di lavoro.
Siccome l’istituto non si era correttamente confrontato con il contenuto della sentenza impugnata, il suo ricorso era destinato a naufragare.
Ma, allo stesso tempo, la Cassazione ha respinto le ulteriori richieste dell’ex lavoratore, perché:
- non c’era alcuna motivazione illogica o contraddittoria nella sentenza di secondo grado;
- la corte territoriale aveva esaminato il tema delle retribuzioni perdute in modo sufficiente e coerente.
Di conseguenza, ha negato il versamento del risarcimento ulteriore.
Che cosa cambia per chi si vede revocare la pensione
Quello delle pensioni è sempre un argomento delicatissimo, per le implicazioni dirette che ha sull’esistenza della collettività. L’ordinanza 18821/2025 è molto importante per tutti i lavoratori ed è di monito anche per lo stesso ente previdenziale.
Ribadisce il principio chiave per cui l’assicurato ha diritto a fare affidamento sulle decisioni Inps, specialmente quando queste decisioni comportano fondamentali scelte di vita, come l’uscita dal lavoro e la rinuncia a un reddito certo.
D’altronde si parla proprio di assicurato, perché il sistema previdenziale italiano funziona come un’assicurazione sociale: il lavoratore versa contributi e, in cambio, matura un’aspettativa e il diritto a determinate prestazioni future, come pensioni o indennità.
Inps deve sempre agire con correttezza e diligenza e, infatti, errori nella comunicazione dei dati o nel calcolo dei requisiti possono generare responsabilità. Ma, in ogni caso, il danno risarcibile deve essere patrimoniale, provato e quantificato nella misura vista sopra. Perciò, non tutte le conseguenze della revoca della pensione sono automaticamente rimborsabili.
Concludendo, la pronuncia è di orientamento per gli enti previdenziali, perché – di fatto – raccomanda loro di garantire certezza e affidabilità ai lavoratori, che si trovano in procinto di andare in pensione. Allo stesso tempo, delimita con precisione quali danni possono essere risarciti, ossia solo quelli direttamente collegati alla condotta dell’istituto.