La Legge di Bilancio per il 2026, varata dal governo guidato da Giorgia Meloni, introduce un primo inasprimento dei requisiti di accesso al sistema previdenziale. Per il prossimo anno, tuttavia, restano in vigore le principali soglie ormai familiari a lavoratori e sindacati. Se il 2026 rappresenta un’ultima finestra di regole relativamente consolidate, a partire dal 2027 scatteranno i primi aumenti delle soglie contributive.
Alla pensione di vecchiaia classica si affiancano un insieme di opzioni anticipate, ciascuna con criteri specifici e stringenti, rivolte a categorie particolari o a situazioni di disagio.
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La pensione di vecchiaia nel 2026
La strada classica per il ritiro dal lavoro rimane sempre la pensione di vecchiaia. Il requisito è confermato a 67 anni di età, a cui devono essere associati almeno 20 anni di contributi versati.
Ma i lavoratori interamente nel sistema di calcolo contributivo (coloro che hanno iniziato a lavorare dal 1996 in poi) sussiste un ulteriore vincolo economico. L’assegno pensionistico maturato deve infatti essere pari o superiore all’importo dell’assegno sociale, fissato per il 2026 a 546 euro mensili. In caso contrario, la via d’uscita slitta automaticamente ai 71 anni di età, con il requisito minimo di 5 anni di contributi.
Questa clausola rappresenta un ostacolo per coloro che hanno avuto carriere discontinue o retribuzioni medio-basse, costringendoli a una permanenza nel mondo del lavoro oltre la soglia dei 67 anni.
Come andare via prima dal lavoro
La principale alternativa è la pensione anticipata, il cui accesso è governato quasi esclusivamente dall’anzianità contributiva. Per il 2026, la soglia è fissata a 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, e a 41 anni e 10 mesi per le donne.
Al raggiungimento di questi criteri, si aggiungono obbligatoriamente i tre mesi di “finestra mobile” (il periodo di attesa tra la cessazione dal lavoro e il primo pagamento della pensione). Questa porta inizierà a chiudersi con in passare degli anni:
- nel 2027 il requisito aumenterà di un mese;
- dal 2028 di ulteriori due mesi.
Una dinamica che renderà l’uscita anticipata progressivamente più difficile per le generazioni future.
Gli altri modi per andare in pensione
Accanto ai percorsi principali, il sistema previdenziale italiano offre diverse opzioni di pensionamento anticipato, rivolte a categorie particolari o a situazioni di disagio. Ecco una sintesi dei canali disponibili:
- pensione a 64 anni, che richiede 25 anni di contributi e un assegno di almeno 1.638 euro (tre volte l’assegno sociale 2026);
- Ape Sociale, per lavoratori in difficoltà che richiede 63 anni e 5 mesi e 30 anni di contributi (36 per lavori gravosi), con un assegno massimo di 1.500 euro;
- Quota 41, per chi ha maturato 41 anni di contributi, a condizione di trovarsi in una situazione di disagio documentato (licenziamento, invalidità, cura familiare).
Ci sono poi le pensioni per aver svolto lavori gravosi ed usuranti. Nel primo caso l’età è di 66 anni e 7 mesi con 30 anni di contributi, con mansioni come operai, infermieri, insegnanti dell’infanzia e molti altri. Per i lavori usuranti (es. turni notturni e catene di montaggio), i requisiti sono più agevoli.
- per i dipendenti, 61 anni e 7 mesi e 35 anni di contributi;
- per gli autonomi, 62 anni e 7 mesi e 35 anni di contributi. Questa misura è in via di esaurimento e riservata a chi è nato entro i primi mesi del 1965.
Completa il panorama la:
- pensione di invalidità, per riduzione della capacità lavorativa ≥80%, con limiti di età ridotti;
- l’isopensione, una soluzione negoziale tra azienda e lavoratore che consente un prepensionamento fino a 7 anni prima, a totale carico del datore di lavoro, inclusi i contributi previdenziali.