Il voto del 25 settembre “salva” i vitalizi parlamentari? Cosa c’è di vero

Camere sciolte, pensione e fine mandato: quanto incasseranno deputati e senatori? Ecco perché la data delle elezioni non è stata calcolata a tavolino

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Pubblicato: 22 Luglio 2022 21:32

La caduta del Governo Draghi e l’annuncio di nuove elezioni, che si terranno il 25 settembre, ha portato alla ribalta un tema tra i più discussi in ambito politico: quello dei vitalizi dei parlamentari. Per deputati e senatori si prospettano ancora mesi di lavoro sui dossier ancora aperti (ecco come funziona il cosiddetto disbrigo degli affari correnti), ma è già tempi di bilanci e progetti per il “dopo”.

Come funziona la norma sui vitalizi

La domanda che in molti si stanno ponendo in questi giorni (ma anche prima) è: cosa prevede il trattamento economico del deputato e del senatore una volta finito l’incarico parlamentare? In poche parole: come funzionano i vitalizi? Cominciamo col dire che parlare di vitalizio per i parlamentari non è corretto, perché è una formula che non esiste più. Dal 2012 per i rappresentanti del popolo è stato infatti introdotto un trattamento pensionistico basato sul sistema di calcolo contributivo, analogo a quello vigente per i dipendenti pubblici.

In altre parole: una volta in pensione, deputati e senatori percepiscono una somma mensile legata ai contributi versati. Per accedere alla forma previdenziale, i parlamentari devono soddisfare due requisiti:

  • aver compiuto 65 anni di età;
  • aver svolto un mandato parlamentare di almeno 5 anni. Per ogni anno di mandato ulteriore, la soglia di età per il conseguimento del diritto alla pensione si abbassa di un anno, fino al limite di 60 anni di età.

La bufala della data “salva pensioni”

La regola è però meno rigida di quanto si pensi: per deputati e senatori al primo mandato il diritto alla pensione matura infatti dopo “soli” 4 anni, 6 mesi e un giorno di legislatura. È considerando questi numeri che si è definita la data del voto del 25 settembre come limite calcolato dagli attuali parlamentari (alla prima esperienza nelle Camere) per salvarsi la pensione. Parliamo del 65% circa dell’intero arco parlamentare mentre Draghi lascia e mette in guardia i ministri su come sbrigare gli affari correnti.

La “bufala” della data “salva vitalizio” nasce da una considerazione banale, ma travisata. L’attuale legislatura è iniziata il 23 marzo 2018: calcolando 4 anni, 6 mesi e un giorno si arriva al 23 settembre 2022. Fare 2+2 è risultato semplice a molti complottisti, ma anche fallace. Sì, perché non è la data delle nuove elezioni che pone fine al mandato di un parlamentare.

Il diritto alla pensione sarebbe stato maturato anche nel caso in cui il voto si fosse svolto il 18 settembre, l’altra data ipotizzata. Lo si evince chiaramente dall’articolo 61, comma 2 della Costituzione: “Finché non siano riunite le nuove Camere, sono prorogati i poteri delle precedenti”. Il nuovo Parlamento si insedierà il 15 ottobre, cioè 21 giorni dopo la fatidica (e falsa) data “salva pensioni”.

L’assegno di fine mandato

Resta da capire come funziona l’altro imperituro “bersaglio” delle critiche degli elettori: l’assegno di fine mandato parlamentare. Ciascun deputato versa mensilmente, in un apposito fondo, una quota della propria indennità lorda, pari a 784,14 euro.

Al termine del mandato, il parlamentare riceve l’assegno di fine mandato, che è pari all’80% dell’importo mensile lordo dell’indennità, per ogni anno di mandato effettivo (o frazione non inferiore ai sei mesi). Ai senatori è invece trattenuto mensilmente il 6,7% dell’indennità lorda.