Bonus Maroni per chi ritarda la pensione in Manovra, quando conviene chiederlo

Il Governo spinge i lavoratori a non andare in pensione con il Bonus Maroni in Manovra

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Matteo Runchi

Editor esperto di economia e attualità

Redattore esperto di tecnologia e esteri, scrive di attualità, cronaca ed economia

Pubblicato: 13 Novembre 2024 11:29

Il Governo sta cercando di alleggerire il peso che il sistema previdenziale avrà sulle casse dello Stato nei prossimi anni. Per questo sta tentando di disincentivare la pensione anticipata anche tramite il Bonus Maroni. Questa misura, rifinanziata nella Manovra 2025, permette a chi ha diritto di andare in pensione con Quota 103 di richiedere che la propria parte di contributi previdenziali venga versata direttamente in busta paga.

Un’analisi dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) ha però rivelato che i vantaggi di questa norma sono soltanto momentanei e che sul lungo periodo il contribuente vedrà calare il valore della propria pensione. Tutti i casi in cui conviene richiedere il Bonus Maroni.

Il Bonus Maroni in Manovra

Sono pochi i provvedimenti sulla previdenza sociale che il Governo ha inserito in Manovra. La mancanza di fondi non ha permesso riforme, ma l’esecutivo ha comunque voluto rifinanziare il Bonus Maroni. Nata nel 2004 su idea dell’allora ministro leghista, questa norma permette al lavoratore che ha maturato il diritto alla pensione di ottenere la propria porzione di contributi direttamente in busta paga se rimane al lavoro.

L’Ufficio parlamentare di Bilancio ha però spiegato che ci sono forti differenze tra il vecchio e il nuovo Bonus Maroni. Nel 2004 infatti “l’intera contribuzione (sia a carico del lavoratore che del datore di lavoro) veniva corrisposta, in esenzione di imposta, al lavoratore. Aumentava quindi la percezione immediata dello sconto contributivo, importante soprattutto quando le decisioni sono prese in un’ottica di breve periodo e/o in presenza di vincoli di liquidità” commenta l’Upb.

“L’età media dei potenziali beneficiari era decisamente più bassa allora rispetto a oggi. Questo comportava una maggiore disponibilità a continuare l’attività lavorativa. Esisteva infatti un sistema pensionistico in cui i beneficiari rientravano in grande maggioranza nel sistema retributivo.

Il contributo si sommava quindi a quello implicito nel sistema di computo retributivo della pensione, che rendeva costoso in termini attuariali il versamento dei contributi per l’accumulo della pensione nella fase finale della vita lavorativa” prosegue poi il rapporto.

Conviene chiedere il Bonus Maroni

La relazione dell’Upb ha quindi analizzato il nuovo Bonus Maroni, arrivando alla conclusione che la sua convenienza per i lavoratori è soltanto parziale.

La scelta di richiedere che i propri contributi vengano versati direttamente in busta paga infatti rischia di penalizzare chi la compie, a seconda del periodo temporale che viene preso in considerazione.

Nel breve periodo

Il lavoratore ottiene un aumento immediato dello stipendio, che ha anche il vantaggio di non essere tassato come il resto dell’importo percepito. Questa è la principale novità della Manovra 2025: il Bonus Maroni non aumenterà l’imponibile annuo ai fini del calcolo dell’Irpef. Questo cambiamento rende conveniente per molti più lavoratori scegliere questa opzione e rimanere più a lungo al lavoro.

Nel medio-lungo periodo

Il minore versamento di contributi comporta che il lavoratore riceva in futuro una pensione minore. A differenza del passato infatti, buona parte di chi ottiene un trattamento previdenziale nel 2024 e nel 2025 ha una significativa quota di calcolo contributivo che contribuisce alla formazione del proprio assegno. “L’unico vantaggio sostanziale è che i contributi che entrano in busta paga sono esenti da tassazione personale sul reddito” conclude l’Upb.