L’incendio del Vesuvio è dramma non soltanto ambientale, ma anche economico, sociale e identitario. Oltre 500 ettari di boschi, vigneti e frutteti secolari ridotti in cenere, un paesaggio unico al mondo trasformato in un deserto di fumo e cenere. Le immagini satellitari diffuse dal programma europeo Copernicus mostrano chiaramente l’enormità del disastro, visibile persino dallo spazio.
L’area colpita è soprattutto il versante sud-orientale, tra Terzigno, Boscotrecase, Trecase e Ottaviano. Qui intere comunità agricole si sono ritrovate in ginocchio in pochi giorni.
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Viti secolari in cenere e la vendemmia cancellata
Tra le vittime illustri del fuoco ci sono le viti di Lacryma Christi Dop, uno dei simboli enologici della Campania e conosciuto a livello internazionale. L’uva, praticamente pronta per la vendemmia 2025 in anticipo, è andata persa.
La ricostituzione dei vigneti richiederà anni. In alcuni casi si parla di piante centenarie, frutto di selezione manuale e adattamento al terreno vulcanico, che non possono essere semplicemente “ripiantate” come fossero colture ordinarie.
Gli esperti stimano che per riportare la produzione ai livelli precedenti occorreranno non meno di 5 o 7 anni, con un danno economico che non si limita al mancato raccolto, ma che colpisce la redditività futura delle aziende.
Per molte cantine, il rischio concreto è di non sopravvivere a questo stop prolungato, soprattutto per quelle che puntavano quasi esclusivamente su produzioni DOC e DOCG vesuviane.
Un’economia in ginocchio
Il danno è a catena: non si perdono solo raccolti, ma un intero sistema economico legato alle produzioni tipiche. Gli agriturismi, per esempio, che proponevano degustazioni di vini Lacryma Christi e piatti a base di prodotti locali perderanno la loro principale attrattiva.
I ristoranti e le trattorie che basavano parte del menù su materie prime a km 0 vedranno i costi lievitare per acquistare ingredienti altrove.
I percorsi enoturistici, già duramente colpiti dal calo del turismo internazionale durante la pandemia, rischiano di essere cancellati o ridimensionati per anni.
Parliamo di una rete economica che dava lavoro a centinaia di persone, direttamente e indirettamente, e che ora si trova priva della propria linfa. Il Vesuvio non è solo un parco naturale: è un brand agricolo e turistico, una fonte di reddito radicata nella storia e nel paesaggio. Distruggerlo significa colpire il cuore economico di un territorio.
Intanto, il ministro per la Protezione Civile Nello Musumeci ha firmato il decreto per lo stato di mobilitazione straordinaria, che permette di coinvolgere uomini e mezzi anche da altre Regioni. Ma l’impressione diffusa tra gli operatori locali è che, ancora una volta, si stia agendo tardi e solo per tamponare.
Perché l’impatto economico sarà devastante
Il mercato del vino vesuviano ha un forte orientamento premium.
Le bottiglie di Lacryma Christi possono raggiungere prezzi al dettaglio da 10 a oltre 40 euro, grazie alla loro unicità legata al terroir vulcanico.
Con l’azzeramento della produzione 2025 e un calo sensibile nei prossimi anni, è probabile che i prezzi salgano per scarsità di prodotto, rendendo il vino ancora più di nicchia e che aumentino le importazioni di vini simili da altre aree vulcaniche italiane o straniere, con un effetto di sostituzione che può erodere quote di mercato.
Il rischio è poi che le cantine più piccole chiudano, incapaci di sostenere i costi di ricostituzione del vigneto senza reddito sufficiente.