Correva l’anno 2002 quando, dopo oltre un secolo di utilizzo, la lira faceva la sua scomparsa.
Il passaggio all’Euro
I più affezionati probabilmente ricorderanno quel momento con un pizzico di nostalgia, ma avranno anche memoria di come il passaggio dalla lira all’euro avvenne in maniera graduale. Le prime banconote e monete in euro avevano infatti iniziato a fare capolino sul mercato già dal 1° gennaio del 2002, un modo come un altro per facilitare la loro entrata in vigore e per permettere ai cittadini di iniziare a prendere confidenza.
Lo scetticismo nei confronti della nuova valuta aveva generato non poche polemiche, ma nonostante ciò dal 1° marzo 2002 la lira veniva definitivamente considerata fuori corso. L’euro non rappresentava una novità assoluta: era già stata introdotta nel 1999, ma come moneta per gli scambi virtuali.
Per due mesi, lira ed euro convivono: era possibile infatti effettuare qualsiasi acquisto pagando in euro o in lira. Anche se dal 1° marzo la vecchia lira non era più considerata come moneta di scambio, per diversi anni è stato possibile cambiare le ultime banconote e monete in proprio possesso presso gli sportelli bancari.
Perché l’Euro
Perché l’euro? Il suo simbolo prende ispirazione dalla lettera epsilon dell’alfabeto greco, un omaggio alla culla della civiltà occidentale per eccellenza, ma rimanda anche alla prima lettera di “Europa”. Ed è questo che le autorità politiche dei Paesi membri dell’Ue hanno voluto favorire: ovvero un processo di unificazione monetaria che ponesse fine alle crisi finanziarie e valutarie che avevano caratterizzato il Novecento. La promozione di una moneta europea unica prende ufficialmente il via nel 2002, in dodici dei quindici stati membri di allora, per poi proseguire negli anni successivi con la sua adozione da parte di altri Paesi membri.
Per poter aderire alla nuova moneta, l’euro, i Paesi appartenenti all’Ue dovevano però rispettare criteri precisi quali:
- appartenenza al Sistema monetario europeo per un minimo di due anni;
- avere un rapporto debito/PIL (Prodotto Interno Lordo) inferiore al 60%;
- avere dei tassi di interesse a lungo termine di non oltre due punti percentuali, rispetto alla media generata dai tre stati membri con inflazione più bassa;
- avere un deficit inferiore o pari al 3% del PIL.
Ad oggi l’Italia è in recessione e si continua a parlare di crisi su più fronti, senza contare che uno studio tedesco pubblicato dal “Centro per la politica europea”, afferma che l’Italia è il Paese che ha subìto maggiori perdite a quasi vent’anni dall’entrata in vigore dell’euro. Il rapporto, che ha preso in analisi solo 8 Paesi su 19 dell’area euro, ha rivelato che il Bel Paese ha perso circa 4.300 miliardi di euro.