Orario di lavoro, le novità del decreto Trasparenza: cosa cambia

Il decreto Trasparenza pone una maggiore attenzione al dettaglio in termini di orario di lavoro in base alla prevedibilità o meno dell’attività lavorativa

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Claudia Garretta

Consulente del lavoro

Laureata, ha collaborato con importanti studi di consulenza del lavoro dal 2004. Assiste aziende italiane e internazionali nella gestione delle risorse umane.

In seguito a quanto stabilito dal c.d. Decreto Trasparenza (D.Lgs. 104/2022) e ai successivi chiarimenti dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro e del Ministero del Lavoro, fra gli obblighi di comunicazione ai dipendenti risulta anche quella relativa all’orario di lavoro e alla sua programmazione.

Nozione

Facciamo un passo indietro e vediamo innanzitutto cosa si intende per orario di lavoro. A tal proposito ci viene in aiuto il D.Lgs. 66/2003 che lo definisce come qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni.
Escludiamo, pertanto, le ore in cui il lavoratore è in reperibilità e non si trova fisicamente sul lavoro, i riposi intermedi e le pause e il tempo impiegato  per recarsi sul luogo di lavoro e tornare alla propria abitazione.
Sono invece da includere nell’orario di lavoro le ore di formazione obbligatoria e il c.d. tempo tuta per indossare l’eventuale divisa obbligatoria.

Durata

Secondo il regime generale, l’orario normale di lavoro è pari a 40 ore settimanali, ma i contratti collettivi possono stabile una durata inferiore, superiore e prevedere il c.d. orario multiperiodale.
In questo ultimo caso, per esigenze legate all’attività della società, l’orario settimanale può variare in aumento e in diminuzione purché la media delle ore lavorate sia pari a 40 nell’arco di un determinato periodo.
La distribuzione dell’orario è su 6 giorni o 5 giorni nel caso della c.d. settimana corta.

Vi sono dei lavoratori che non sono soggetti all’orario normale di lavoro per la loro tipologia di attività e responsabilità in quanto non può essere determinato a priori. Fra questi rientrano ad esempio i dirigenti e il personale direttivo.

Nel caso in cui la prestazione sia svolta per una durata ridotta rispetto all’orario normale, si parla di contratto a tempo parziale. Il rapporto part-time può trasformarsi a tempo pieno su accordo tra le parti.

Per quanto riguarda la durata massima settimanale, la stessa è stabilita in 48 ore, compreso il lavoro straordinario, per ogni periodo di 7 giorni. In ogni caso il limite è calcolato come media in un arco temporale di 4 mesi o più in base a quanto stabilito dal CCNL.
Al contrario, non è previsto un numero massimo giornaliero di ore lavorabili. Tuttavia, considerando che le ore consecutive di riposo giornaliero  sono pari a 11, un lavoratore può prestare servizio nel limite di 13 ore al giorno.

Oltre al riposo giornaliero, occorre tenere presente anche quello settimanale pari a 24 ore consecutive da cumularsi con quello giornaliero e da calcolarsi come media in un periodo non superiore a 14 giorni. Vi sono comunque una serie di deroghe in materia di pause e riposi legate a determinati settori o attività (ad esempio industrie stagionali, servizi di pubblica utilità, vendita al minuto, attività di manutenzione o a ciclo continuo, settore dello spettacolo).

Chi stabilisce l’orario e le pause

La programmazione dell’orario è determinata dal datore di lavoro in base alle esigenze aziendali in primis e del lavoratore nel rispetto delle disposizioni previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva di riferimento.
E’ possibile applicare un regime di orario fisso stabilendo l’ora di entrata e di uscita, anche per categorie di lavoratori, oppure più flessibile specificando delle fasce orarie.
In merito alle pause intermedie, è generalmente la contrattazione collettiva a definire le modalità di fruizione al fine del recupero delle energie psicofisiche o per la consumazione dei pasti. E’ poi il datore di lavoro a stabilire, anche in un regolamento aziendale, la distribuzione delle pause e dell’orario di lavoro.
In ogni caso qualora l’orario sia superiore alle sei ore, al dipendente spetta una pausa di almeno dieci minuti.

Ultime novità del decreto Trasparenza

Il decreto Trasparenza pone una maggiore attenzione al dettaglio in termini di orario di lavoro in base alla prevedibilità o meno dell’attività lavorativa.
In particolare, laddove sia prevedibile, obbliga il datore di lavoro a informare il dipendente dell’articolazione dell’orario normale di lavoro e delle condizioni del lavoro straordinario, compreso il trattamento economico, e dei cambiamenti di turno.
Sono considerati nell’ambito del lavoro prevedibile anche il lavoro a turni, il multi-periodale e quello discontinuo.

Se, invece, le modalità organizzative risultano imprevedibili e non è possibile stabilire a priori l’orario di lavoro, il datore di lavoro deve almeno comunicare che lo stesso è variabile indicando il numero minimo delle ore retribuite garantite e il trattamento economico del lavoro straordinario, le ore e i giorni in cui la prestazioni deve essere svolta, il periodo minimo di preavviso e il termine entro cui si può annullare l’incarico.

Se il datore di lavoro viola le disposizioni relative all’annullamento, deve comunque pagare la retribuzione inizialmente prevista secondo il contratto collettivo o, in mancanza, una somma non inferiore al 50% per la prestazione annullata.
Il lavoratore che non riceve adeguata informativa in merito, può rifiutarsi di svolgere l’incarico e non subisce alcun danno economico o richiamo disciplinare.
Le informazioni relative all’orario di lavoro devono comunque essere comunicate entro sette giorni dall’assunzione.

La violazione degli obblighi di informazioni è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da € 250 a € 1.500 per ogni lavoratore interessato.

Le informazioni hanno carattere generale e sono in riferimento al settore privato. Si consiglia sempre di verificare in base alla situazione specifica, al settore di appartenenza e al CCNL applicato.