L’azienda svedese Northvolt è in crisi e con la sua vicinanza al fallimento si interrompe anche il grande sogno dell’Unione europea di non arrendersi alla dipendenza industriale cinese nella produzione di batterie per le auto elettriche. Si complica, dunque, il percorso di transizione green nel Vecchio Continente, con l’azienda fin qui simbolo del processo che accusa ora fortemente la crisi dell’interno mercato dell’elettrico nel 2024. Northvolt, dopo aver già annunciato nel corso degli scorsi mesi il licenziamento di 1.600 persone (20% della propria forza lavoro) e aver ridotto al minimo i propri progetti di espansione, cerca ora dei nuovi finanziamenti che le permettano di sopravvivere.
Northvolt: l’ascesa, i problemi e la crisi
Fino a qualche mese fa pensare che Northvolt potesse essere sull’orlo del fallimento rappresentava qualcosa di impensabile. La società co-fondata dall’ingegnere italiano Paolo Cerruti, ex Tesla, infatti, ha attirato nel corso degli anni ingenti finanziamenti, dalla Bei, dal governo tedesco così come da alcune importanti realtà del settore automotive (Bmw e Volkswagen).
Una startup dalla grande attrattiva, dunque, tanto che solo a gennaio 2024 Northvolt aveva annunciato la chiusura di un nuovo importante finanziamento verde (5 miliardi di euro) – garantito dalla Banca europea degli investimenti e da un gruppo di istituti di credito, tra cui anche Intesa Sanpaolo – necessario per espandere la Gigafactory a Skellefteå, in Svezia. Sempre in quello stesso periodo la Commissione europea aveva autorizzato il pacchetto di aiuti di Stato – 902 milioni – necessario per la costruzione di un secondo impianto nella regione dello Schleswig-Holstein.
Da questo roseo scenario si è però usciti molto presto a causa della combinazione di più fattori. In primis ci sono le difficoltà produttive dell’impianto di Skellefteå, dimostratosi nello specifico incapace di accelerare la propria attività. A questo si aggiungono le morti sospette di tre dipendenti, collassati sul lavoro e a casa (sulle quali è ancora aperta un’indagine) e il venir meno di importanti ordini, come quello da 2 miliardi di Bmw. Vi è poi la crisi di Volkswagen, altra azienda che come Bmw fa parte del capitale di Northvolt, e il calo drastico della domanda da parte dei consumatori di auto elettriche in Europa.
La società è alla ricerca di fondi
Dopo i già citati licenziamento e il ridimensionamento delle attività in precedenza accennato, Northvolt si trova ora nella non facile condizione di dover trovare fondi per evitare il fallimento. All’attivo ci sarebbero delle trattative con i creditori, così come riferisce la Repubblica, anche se la parola finale spetterà agli azionisti della società. Tra questi spiccano nomi importanti, da Goldman Sachs a Blackrock passando per uno dei più grandi fondi pensione canadesi.
La crisi di Northvolt colpisce tutta l’Unione europea
Il probabile fallimento di Northvolt colpisce, in maniera molto marcata, l’intera Unione europea che proprio su questa azienda aveva posto le basi della sua transizione green nel settore dei trasporti. Ad avvantaggiarsi della situazione descritta è, in maggior modo, la Cina, con la recente guerra dei dazi incrociati tra la stessa e l’Ue che rende ancora più complicato risolvere la situazione in maniera vantaggiosa per il Vecchio Continente.