Il licenziamento del caregiver con 104 non è legale: la sentenza

La Suprema Corte tutela i lavoratori che assistono familiari: è illegittimo il licenziamento se l'azienda non prova alternative compatibili con la Legge 104

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

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La legge 104 è un traguardo di civiltà che, dopo decenni dalla sua entrata in vigore, mostra ancora oggi tutta la sua utilità. Parallelamente, non mancano le pronunce dei giudici mirate a difendere i diritti dei destinatari delle agevolazioni e dei benefici previsti in essa.

Con la sentenza n. 18063, la Cassazione ha nuovamente preso parola sul complesso tema e ha spiegato che non può essere validamente licenziato chi assiste un familiare non autosufficiente, perché rifiuta un differente orario di lavoro.

Di seguito chiariremo a quali condizioni questo è possibile e che cosa ogni dipendente caregiver dovrebbe sapere in anticipo, per controbattere eventualmente a provvedimenti “sproporzionati” del datore di lavoro.

Il caso del dipendente licenziato

Il caso concreto che ha generato la lite giudiziaria è simile a tantissimi altri. Un’azienda, per motivi interni, aveva deciso di sopprimere alcuni posti di lavoro – con le relative mansioni del contratto – e, in particolare, quello di un dipendente che fruiva dei benefici della legge 104 per accudire la moglie con invalidità grave.

Il datore inizialmente non mandò via il lavoratore ma gli offrì una differente sistemazione (carrellista del reparto spedizioni) con orario suddiviso in doppio turno, invece che quello a ciclo continuo applicatogli per vent’anni.

Ebbene, proprio la nuova articolazione delle ore fu alla base della disputa in tribunale. L’uomo, infatti, rifiutava il nuovo posto di lavoro perché – affermava – non era compatibile con le esigenze di cura della coniuge. Dal suo no seguì il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ossia non dovuto un gesto scorretto del dipendente ma a ragioni organizzative interne che impedivano di proseguire il rapporto.

Il dipendente fece causa e, dopo un primo grado favorevole, il giudice dell’appello diede ragione all’azienda. Alla luce di quanto emerso in secondo grado, infatti, il datore – oltre ad aver proposto un impiego differente – aveva tutto il diritto di usare discrezionalità in tema di organizzazione e gestione del luogo di lavoro e dei suoi orari.

Inoltre, secondo i magistrati del secondo grado, il rifiuto del dipendente di accettare il mutamento di orario era ingiustificato perché l’uomo non era stato in grado di provare che il rispetto degli obblighi di cura potesse essere assicurato, soltanto con l’orario a ciclo continuo – e non con il nuovo orario per doppio turno. Contro la decisione del giudice territoriale, il lavoratore si rivolse alla Cassazione.

Il demansionamento è possibile per evitare il licenziamento

Le accuse del caregiver ruotavano attorno all’asserita violazione dell’obbligo di repêchage (ripescaggio) da parte dell’azienda. Infatti il datore, prima di licenziare, è tenuto a verificare con rigore se ci siano altri posti compatibili con il lavoratore, anche meno qualificati. Secondo il lavoratore il datore poteva sì variare l’orario, ma non lo ha fatto nel modo corretto e non ha svolto attente verifiche.

La Suprema Corte ha colto l’occasione per offrire utili precisazioni in materia e, infatti, nella sentenza n. 18063 si può leggere che:

ove la collocazione alternativa al licenziamento – esistente in azienda – comporti l’assegnazione a mansioni inferiori, il datore è tenuto a prospettare al lavoratore il demansionamento, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, potendo recedere dal rapporto solo ove la soluzione alternativa non venga accettata dal lavoratore.

Inoltre, secondo l’art. 2103 Codice Civile, il datore è tenuto a ricollocare il dipendente anche in mansioni inferiori tenuto conto della organizzazione aziendale vigente al momento del licenziamento e della capacità professionale del lavoratore (Cass. n. 17036/2024).

I chiarimenti della Cassazione sull’obbligo di ripescaggio

Ma soprattutto, quando il lavoratore si avvalga della legge 104, il repêchage deve essere effettuato in modo particolarmente scrupoloso e quindi, come si legge in varie sentenze della Cassazione (n. 23857 del 2017; n. 25379 del 2016; n. 9201 del 2012):

nel rispetto di buona fede e correttezza e del bilanciamento sotteso alla disciplina di sostegno degli invalidi che richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà.

Inoltre, alla luce degli elementi emersi in causa, è compito del giudice procedere al necessario bilanciamento tra gli interessi e i diritti del lavoratore e del datore di lavoro, ciascuno meritevole di tutela:

valorizzando le esigenze di assistenza e di cura del familiare disabile del lavoratore ogni volta che le esigenze tecniche, organizzative e produttive non risultino effettive e comunque insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte.

Nella vicenda in oggetto, il caregiver si era opposto alla ricollocazione di orario, tuttavia si era offerto di lavorare in ogni altra mansione anche inferiore, a patto di mantenere l’orario di prima.

L’infondatezza del licenziamento del caregiver

L’azienda non aveva considerato, in tutta la sua ampiezza, la possibilità di una ricollocazione differente e non aveva dato al lavoratore alcun’altra alternativa, invece esistente in base agli atti – si precisa nella sentenza della Cassazione. Infatti:

al Lul depositato risultava, invero, che la società avesse assunto – prima e dopo il licenziamento del lavoratore – diversi dipendenti, utilizzando anche svariati lavoratori somministrati.

In sintesi, il datore aveva violato i principi di buona fede e correttezza perché – prima di licenziare – aveva l’obbligo di offrire al dipendente anche gli altri posti di lavoro vacanti e disponibili, nell’orario che questi già osservava, e che ha successivamente riempito con l’assunzione di nuovi lavoratori.

In altre parole, il fatto che altri dipendenti siano stati successivamente assunti con l’orario a ciclo continuo, e che lo stesso – come emerso dalle carte – fosse ancora applicato in più reparti aziendali, rivela che l’opzione era in realtà praticabile e andava considerata con attenzione. Il licenziamento è stato così invalidato dalla Cassazione.

Cosa cambia per i lavoratori

Con la sentenza n. 18063 di pochi giorni fa la Corte si è espressa favorevolmente nei confronti dei tanti dipendenti caregiver, ossia coloro che – in virtù della legge 104 – beneficiano di agevolazioni per assistere un familiare con disabilità grave. Non è di certo la prima e anzi segue tante altre, si pensi ad es. a quella recente sui permessi 104 e le ferie o a quella sull’attività fisica durante le ore di permesso.

Infatti, è potenzialmente illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di chi assiste il familiare con disabilità e si oppone a una differente ricollocazione con altro orario, perché incompatibile con le esigenze di cura. Tuttavia, l’azienda potrà giustificare l’espulsione, dimostrando dettagliatamente l’effettiva impossibilità di ricollocare il lavoratore, anche in mansioni di grado più basso, ma con lo stesso orario di prima.

In questo caso, il recesso è stato ritenuto ingiustificato dalla Suprema Corte, perché l’alternativa alla chiusura del rapporto c’era (altri posti di lavoro vacanti e disponibili nello stesso orario), ma non era stata opportunamente proposta al dipendente. Il ripescaggio era così possibile, nonostante il no al doppio turno espresso dal caregiver. Ecco perché la sentenza è di monito e orientamento per moltissimi potenziali casi analoghi.