Stop alla disparità uomo-donna: la Consulta boccia le regole nei concorsi per ispettori

Con la sentenza n. 181 la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di alcune importanti norme, con riflessi diretti sull'accesso ai concorsi pubblici

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Pubblicato: 21 Dicembre 2024 16:00

Le regole dei concorsi pubblici sono individuate dalla legge e dai singoli bandi che, di volta in volta, indicano nel dettaglio i requisiti di partecipazione, le materie da studiare, l’iter di svolgimento delle prove e le modalità per fare domanda.

In caso di disputa giudiziaria, solitamente non sono le norme dei singoli bandi ad essere contestate, bensì le concrete modalità di svolgimento della selezione. Ma non sempre è così. In un recente caso, finito all’attenzione della Corte Costituzionale, sono state dichiarate illegittime – perché non rispondenti ai principi della Costituzione – le regole di un concorso pubblico da cui emerge una discriminazione di genere in relazione ai criteri di individuazione dei partecipanti. Alla base di questo ci sono alcuni decreti legislativi che non avrebbero rispettato il principio di eguaglianza tra i sessi.

Il concorso finito nel bersaglio della Consulta mirava a reclutare ispettori di Polizia Penitenziaria, ma la sentenza n. 181 di quest’anno – a ben vedere – è utile a fare chiarezza per una pluralità di potenziali casi simili.

Vediamo allora più da vicino cosa è successo e il perché della decisione della Consulta.

La vicenda, le norme contestate e il ruolo del Consiglio di Stato

Con ordinanza, il Consiglio di Stato ha ritenuto di richiedere l’intervento della Corte Costituzionale, perché si è trovato a che fare con regole di legge in grado di violare i principi di uguaglianza e ragionevolezza sanciti dalla Costituzione.

Al contempo, secondo la massima autorità della giustizia amministrativa, queste norme contrastavano con il principio di parità di trattamento tra uomo e donna previsto dal diritto dell’Unione Europea.

Ecco perché nella sentenza n. 181 si parla espressamente di:

un giudizio di legittimità costituzionale promosso dal Consiglio di Stato in sede di parere sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.

L’intervento della Consulta era infatti stato chiesto nell’ambito di un procedimento, in precedenza proposto da alcune persone contro il Ministero della giustizia, riguardante i criteri di accesso al concorso pubblico ispettori Polizia Penitenziaria.

In particolare, il ricorso straordinario era stato proposto da alcune assistenti del Corpo di Polizia Penitenziaria contro l’approvazione della graduatoria definitiva del concorso interno a 606 posti della qualifica iniziale del ruolo maschile di ispettori della Polizia Penitenziaria.

Il Consiglio di Stato ha messo in dubbio la legittimità costituzionale:

  • dell’art. 44, commi da 7 a 11, del d. lgs n. 95 del 2017 in materia di revisione dei ruoli delle Forze di polizia e di riorganizzazione delle Amministrazioni Pubbliche e dell’allegata Tabella 37;
  • della Tabella A allegata al d. lgs. n. 443 del 1992, recante l’ordinamento del personale del Corpo di Polizia Penitenziaria.

Le regole appena citate, applicate al concorso, violerebbero gli artt. 3 e 117 Costituzione:

nella parte in cui distinguono, in dotazione organica, secondo la differenza di sesso, i posti da mettere a concorso nella qualifica iniziale degli ispettori del Corpo di Polizia Penitenziaria.

Per questi motivi ne è seguita la sentenza dei giudici di piazza del Quirinale, non nuovi ad affrontare temi sociali legati al lavoro, come dimostra la recente pronuncia sulle imprese familiari, ma anche alla previdenza.

Le violazioni accertate dalla Corte Costituzionale

La Consulta ha ritenuto ammissibile la questione di legittimità costituzionale, posta dal Consiglio di Stato, e ha quindi proceduto con l’esame vero e proprio, per capire se le regole contestate fossero effettivamente in contrasto con la Costituzione.

E, confermando quanto ipotizzato dal giudice amministrativo, la Corte ha stabilito che le regole di legge che prevedono una distinzione di genere nei concorsi per la qualifica di ispettore del Corpo di Polizia Penitenziaria sono costituzionalmente illegittime.

Infatti il requisito della differenza di genere per l’accesso alla qualifica di ispettore non sarebbe giustificato – si legge nella sentenza – dalle:

funzioni effettivamente e prevalentemente esercitate nello svolgimento delle mansioni ordinarie da assegnare in esito alla procedura concorsuale.

Con la sentenza n. 181, i giudici hanno quindi dichiarato costituzionalmente illegittime le regole dei due decreti legislativi sopra citati, perché in contrasto con la Costituzione (art. 3 e 117) e le fonti del diritto dell’Unione Europea. Queste disposizioni erano infatti state redatte senza rispettare il principio di parità di genere, privilegiando – immotivatamente – i candidati di sesso maschile.

Ruolo e mansioni degli ispettori di Polizia Penitenziaria

Il trattamento differenziato non trova una valida giustificazione nelle peculiarità del ruolo degli ispettori e non mira quindi ad un obiettivo tale da giustificare la regola. Infatti:

 il diretto e continuativo contatto con i detenuti non assurge a connotazione qualificante e indefettibile del lavoro prestato.

L’ispettore di Polizia Penitenziaria è una importante figura, con funzioni che spaziano dalla gestione operativa alla supervisione e coordinamento delle attività nelle carceri e alla formazione del personale dell’istituto. Ma questa figura non ha compiti chiave, per quanto riguarda i rapporti con i detenuti.

Il diritto delle donne alla parità di trattamento nel concorso

Ricapitolando, per la Corte la distinzione uomo-donna non trova una giustificazione ragionevole nelle caratteristiche del ruolo degli ispettori e non mira a un obiettivo legittimo – come quello di preservare la funzionalità e l’efficienza del Corpo – violando così il principio costituzionale di proporzionalità e la parità tra i sessi.

Perciò questa discriminazione vìola:

il diritto delle donne di partecipare, a parità di requisiti, alle attività conformi alle loro capacità e alle loro scelte, contribuendo al progresso della società.

Anzi il sistema in oggetto risulta contrario alla meritocrazia, escludendo da una collocazione utile in graduatoria:

anche donne che abbiano conseguito una votazione più elevata, sol perché gli uomini sono rappresentati in misura più consistente nella dotazione organica e nei posti messi a concorso.

Una disparità di trattamento che oltre a danneggiare la singola candidata, si ripercuote sull’efficienza stessa dell’amministrazione. Ecco perché va salvaguardata l’ottica meritocratica e:

rimossa ogni irragionevole disparità di trattamento, le differenze saranno determinate dal punteggio che ciascun candidato di volta in volta ottiene e non da un meccanismo aleatorio, condizionato dalla più cospicua presenza maschile.

Che cosa cambia

Con questa importante sentenza, la Corte Costituzionale ha ribadito l’importanza di assicurare la parità di trattamento tra uomini e donne nelle regole di svolgimento dei concorsi pubblici (in verità oggi con meno appeal rispetto al passato), prevenendo ogni possibile discriminazione di genere e favorendo – anzi – l’uguaglianza sostanziale nell’accesso agli impieghi nella PA.

La decisione ha una portata generale, rafforza la certezza del diritto e promuove un’ottica meritocratica nella selezione del personale, che dovrà avvenire – ove possibile – tenendo conto dell’effettiva preparazione e competenza, indipendentemente dal genere maschile o femminile.