Contratto a termine: caratteristiche e durata

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Pubblicato: 3 Aprile 2024 16:33

Per contratto a termine o contratto a tempo determinato si intende un contratto di lavoro subordinato, che prevede una durata predefinita e predeterminata, a seguito dell’indicazione espressa di una data di conclusione dell’esperienza lavorativa.

Tipicamente il tempo determinato costituisce la fase iniziale di un rapporto di lavoro che, in seguito, potrebbe trasformarsi in tempo indeterminato, senza cioè la precisa menzione di una data di conclusione.

Per sua natura, il contratto a termine è uno strumento più flessibile che, in alcune circostanze, può venire incontro sia ai datori di lavoro che ai lavoratori.

Vediamo insieme come funziona tale contratto, alla luce dei più recenti aggiornamenti normativi.

Contratto a termine: nozione

Come appena accennato, il contratto a tempo determinato consiste in un contratto di lavoro subordinato, in cui è presente una durata prefissata – tramite l’apposizione di un termine.

Esso, da stipularsi sempre in forma scritta, si caratterizza per la preventiva determinazione della sua durata, estinguendosi in modo automatico allo scadere del termine inizialmente fissato dalle parti.

L’apposizione del termine è dunque priva di effetto se non risulta da atto scritto, fatta eccezione per i rapporti di lavoro di durata non superiore a 13 giorni.

Si precisa altresì che il termine può essere fissato con una data precisa, oppure in relazione ad un evento futuro e certo – ma di cui è incerta la data esatta.

La forma classica del rapporto di lavoro dipendente rimane il contratto a tempo indeterminato e, conseguentemente, la fissazione di un termine – seppur permessa dalla legge – è sottoposta al rispetto di alcune condizioni, con particolare riferimento alle causali del contratto.

Fonti normative di riferimento

Come ricorda il Ministero del Lavoro nel proprio sito web ufficiale, il contratto è regolato dal d. lgs. n. 81 del 2015 (articoli 19-29), provvedimento recante la disciplina organica dei contratti di lavoro e la revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’art. 1, comma 7, della legge n. 183 del 2014.

La normativa sul contratto a termine è cambiata alcune volte nel corso degli ultimi anni, anzitutto con l’appena citato Jobs act (d.lgs. 81/2015). Il provvedimento, eliminando l’obbligo di causale, mirava a facilitare l’occupazione negli anni di maggiore crisi per il paese.

Di seguito il varo del cd. Decreto Dignità (decreto legge n. 87 del 2018 convertito dalla legge n. 96 del 2018) ha disposto alcune restrizioni alle causali, che dovevano da quel momento essere più specifiche. L’intenzione del legislatore era infatti quella di favorire la stabilizzazione dei contratti di lavoro, dopo un periodo di forte flessibilità.

Successivamente, il decreto Lavoro n. 48 del 4 maggio 2023 ha modificato ulteriormente la normativa, e di ciò tra poco diremo.

Come funziona oggi il contratto a tempo determinato

Il meccanismo del contratto a tempo determinato si basa sui seguenti punti cardine:

  • durata massima complessiva pari a non più di 24 mesi;
  • obbligo di causale dopo i primi 12 mesi di durata del contratto e in caso di rinnovi o proroghe;
  • aumento del contributo aggiuntivo dovuto dai datori di lavoro, con un +0,50% ad ogni rinnovo.

Si tratta chiaramente di aspetti essenziali a favorire, ove possibile, il passaggio al tempo indeterminato. Da notare altresì che la normativa di cui al Jobs Act – su cui è recentemente intervenuta la Consulta -è rimasta invariata altresì su altri aspetti, come ad esempio, sulle comunicazioni obbligatorie, sul diritto di precedenza, sulla parità di trattamento economico rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato o sugli intervalli fra contratti (il cd. stop and go).

Le norme vigenti indicano anche i casi in cui è vietato ricorrere ai contratti a termine. Ad esempio non possono essere usati per la sostituzione di lavoratori che si avvalgono del fondamentale diritto di sciopero, oppure da parte di datori di lavoro che non hanno effettuato la cd. valutazione dei rischi.

Al contempo tali contratti non possono essere applicati ad unità produttive nelle quali sono attive una sospensione del lavoro oppure una riduzione dell’orario in regime di Cig.

Che succede in ipotesi di mancato rispetto di queste prescrizioni? Ebbene, violare i divieti significherà per il datore veder trasformati i contratti a termine in contratti a tempo indeterminato.

Le novità introdotte dal decreto Lavoro 2023

Il provvedimento ha rivisto la disciplina delle causali, in quanto oggi al termine dei 12 mesi infatti troviamo – per legge – l’obbligo di indicare la causale, ossia la motivazione che giustifica il ricorso al lavoro a tempo determinato.

Prima del decreto Lavoro, ossia il decreto n. 48 del 2023, l’obbligo era previsto in ipotesi di rinnovo del contratto e dopo i primi 12 mesi in ipotesi di proroga. Oggi il dovere è stato esteso a garanzia del lavoratore e della lavoratrice dipendente.

Ebbene, alla luce degli aggiornamenti dello scorso anno, disposti dal citato decreto – convertito poi in legge n. 85 del 4 luglio 2023 –  il contratto a termine o a tempo determinato:

  • può essere sottoscritto e sottoposto a rinnovo fino a 12 mesi senza causali, e quindi in maniera assolutamente libera;
  • può avere una durata maggiore, ma comunque non maggiore dei 2 anni soltanto:
    • in sostituzione di altri lavoratori;
    • nei casi di cui ai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali, sottoscritti dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale e dai contratti collettivi aziendali stipulati da RSA / RSU;
    • in assenza di previsioni da parte degli accordi collettivi, per le casistiche di natura tecnica, organizzativa o produttiva che giustificano il ricorso al contratto a termine sopra i 12 mesi. Esse devono essere indicate dalle parti (datore di lavoro e lavoratore subordinato).

Attenzione però: quest’ultima fattispecie è circoscritta ai meri contratti sottoscritti entro il 31 dicembre di quest’anno. Si tratta di un termine da poco esteso rispetto alla anteriore scadenza del prossimo 30 aprile, per effetto della conversione nella legge n. 18 del Milleproroghe, approvato con decreto legge dello scorso anno.

Importante ricordare altresì che la legge di conversione del decreto Lavoro specifica che – ai fini del controllo del superamento dei dodici mesi per il contratto a termine senza causale – ha rilievo meramente il lasso di tempo successivo al 5 maggio 2024 (giorno di entrata in vigore del decreto Lavoro). E ciò ovviamente sempre nel rispetto del limite massimo di ventiquattro mesi, previsto per i contratti a tempo determinato dalle norme aggiornate.

Limite percentuale alle assunzioni

Tranne i casi di differenti regole di cui alla contrattazione collettiva, i contratti a tempo determinato non possono oltrepassare il tetto del 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato, in forza al primo gennaio dell’anno di assunzione. Anche questa è una norma di legge che va intesa come strumento di tutela per i lavoratori e le lavoratrici.

La legge precisa altresì che nelle circostanze di inizio dell’attività nel corso dell’anno, il limite percentuale si calcola sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza alla data di assunzione.

Utile ricordare che, alla luce delle novità di cui al decreto Lavoro dello scorso anno, il limite quantitativo percentuale del 20% non include i lavoratori assunti con contratto di apprendistato. Questo aggiornamento tende a favorire quindi sia il ricorso al tempo determinato sia il ricorso all’apprendistato.

Trattamento economico del tempo determinato

Al dipendente assunto a tempo determinato va conferito lo stesso trattamento economico e normativo, anche in materia di formazione, applicato nell’impresa ai lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili.

Si tratta di un’applicazione pratica del cd. principio di non discriminazione, che intende mettere sullo stesso piano i lavoratori in azienda. Ovviamente l’applicazione va fatta in proporzione al periodo lavorativo prestato.

La violazione, da parte del datore di lavoro, del divieto di discriminazione, comporterà l’applicazione di una sanzione amministrativa.

Proroga e rinnovo: distinzione

Grazie al Decreto Dignità – il decreto n. 87 del 2018 – il numero di proroghe o rinnovi possibili e per cui è sempre richiesto il sì del lavoratore, è calato da 5 a 4, sempre entro una durata massima totale pari a 2 anni. Nel caso in cui il numero delle proroghe sia maggiore, il contratto si trasforma in modo automatico in contratto a tempo indeterminato dal giorno di decorrenza della quinta proroga.

Per legge la cd. proroga consiste nell’accordo di prosecuzione del contratto senza interruzioni del rapporto, mentre il cd. rinnovo si ha se un nuovo contratto è sottoscritto in data posteriore alla fine del precedente.

In caso di rinnovo del contratto a termine, la legge impone la presenza – tra i due contratti – di un lasso di tempo (10 o 20 giorni in base alla durata del contratto a tempo determinato). Si intendono ovviamente i contratti sottoscritti tra le stesse parti, con le stesse mansioni e nella stessa azienda. La regola prende il nome di Stop and Go.

Non rispettare questi intervalli implicherà la trasformazione del secondo contratto da tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato.

La proroga è libera alla scadenza, ma con il consenso del lavoratore e soltanto laddove la durata iniziale del contratto sia al di sotto dei 24 mesi e, comunque, per un massimo di 4 volte nell’arco di un biennio – al di là del numero dei contratti sottoscritti dalle parti.

Diritto di precedenza

Infine ricordiamo che – salvo diversa disposizione del Ccnl di riferimento, il lavoratore che ha prestato attività lavorativa per un periodo maggiore di 6 mesi ha diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato compute in azienda entro i posteriori 12 mesi, con riferimento alle mansioni già svolte grazie al contratto a termine.