Perché il Cnel boccia il salario minimo: che succede adesso

Con la bocciatura (non vincolante) del Cnel il governo trova una sponda tecnica per il suo no al salario minimo. Ora il braccio di ferro per alzare gli stipendi tocca ai sindacati

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Mauro Di Gregorio

Giornalista politico-economico

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

Sfuma il salario minimo: il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro ha messo nero su bianco che la “mera introduzione” della misura “non risolverebbe né la grande questione del lavoro povero né la pratica del dumping contrattuale né darebbe maggior forza alla contrattazione collettiva”.

No del Cnel al salario minimo

La paga minima a 9 euro l’ora era stata spinta da Elly Schlein e Giuseppe Conte. In estate la premier Giorgia Meloni ha passato la palla al Cnel guidato da Renato Brunetta per le valutazioni del caso. L’organo consultivo dello Stato ha prodotto un documento votato a maggioranza in cui viene praticamente bocciata la proposta, in favore della contrattazione collettiva. Ciò che ha deliberato il Cnel è solo un parere non vincolante, che tuttavia dà un assist al Governo.

Sui 62 consiglieri presenti, 8 si sono astenuti e 39 hanno votato di sì al documento (e quindi di no alla proposta Pd-M5S). Secondo il Sole 24 Ore hanno votato no (e quindi sì al salario minimo) i rappresentanti di Cgil, Uil e Usb e i cinque consiglieri nominati dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Pd e M5S sul salario minimo

“Li aspettiamo al varco”, ha detto la leader del Pd Elly Schlein non nascondendo la propria delusione. “Non ci stancheremo di incalzarli se decideranno di fuggire, ancora una volta, rimandando il disegno di legge in commissione. Abbiano il coraggio di dire ‘no’ sui 9 euro l’ora che abbiamo proposto per i 3,5 milioni di lavoratrici e lavoratori poveri in Italia”.

Il leader pentastellato Giuseppe Conte ha invece parlato di un “delitto perfetto” con un Cnel guidato da Brunetta che “ha fatto da sponda” al governo di centrodestra.

Salario minimo: che succede adesso

Rimandare la questione alla contrattazione collettiva significa tirare fuori il governo dalla questione. La patata bollente passa ora ai sindacati (e in particolar modo alle più forti sigle Cgil, Cisl e Uil) che dovranno combattere la battaglia per gli adeguamenti salariali ad ogni scadenza di contratto per ogni categoria rappresentata.

Gioiscono gli imprenditori che avrebbero dovuto sobbarcarsi lo sforzo di adeguare immediatamente la paga oraria a un minimo di 9 euro l’ora. A tal proposito Brunetta ha aggiunto una critica parlando con i giornalisti in conferenza stampa: “E chi” il tetto salariale “non può permetterselo che fa? Si perde il lavoro e chiude l’azienda?”

Giorgia Meloni plaude alla valutazione del Cnel: “Il salario minimo non è lo strumento adatto per contrastare il lavoro povero. Dall’analisi tecnica del Cnel emerge che l’Italia rispetta i parametri della direttiva Ue, visto che la contrattazione collettiva copre il 95% dei lavoratori privati. Ma prima possibile faremo un intervento organico sui salari”.

Le proposte del Governo sul lavoro

Ad agosto c’erano state delle prove di dialogo fra governo e opposizione, forse dovute al fatto che i sondaggi vedevano gli italiani favorevoli al salario minimo

La premier aveva infine presentato cinque controproposte al salario minimo.

La prima: “Estendere la contrattazione collettiva applicando, laddove non c’è, il contratto di categoria che può essere considerato di riferimento”, come ha spiegato al Corriere della Sera il senatore leghista Claudio Durigon.

La seconda: scardinare la logica del massimo ribasso dagli appalti pubblici andando a scorporare la quota che riguarda gli stipendi degli operai. Lo scopo sarebbe quello di impedire alle aziende di vincere le gare tagliando su stipendi e sicurezza.

La terza: far lavorare insieme Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni) per “controbilanciare gli effetti dei cosiddetti contratti pirata”.

La quarta: far crescere gli stipendi da gennaio 2024.

La quinta: premiare quelle realtà aziendali che riescono a rinnovare tempestivamente i contratti scaduti onde evitare che migliaia di lavoratori restino al lavoro con contratti obsoleti.