Aziende italiane nel caos: i numeri che spaventano Giorgia Meloni

Dal 1980 ad oggi il nostro Paese è l’unico tra i grandi partner europei ad aver perso produttività nel nostro comparto industriale: ancora oggi siamo in ritardo

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Federico Casanova

Giornalista politico-economico

Giornalista professionista specializzato in tematiche politiche, economiche e di cronaca giudiziaria. Organizza eventi, presentazioni e rassegne di incontri in tutta Italia.

Da una parte ci sono le frasi pronunciate dai più stretti collaboratori di Ursula von der Leyen, che rivelano come il rapporto tra le istituzioni europee e il governo italiano non siano poi così logori come si potrebbe pensare. Dall’altra però ci sono i dati che riguardano la produttività delle imprese, numeri tutt’altro rassicuranti sulla capacità delle nostre aziende di creare ricchezza. Una tensione tra due poli opposti che certamente non può lasciare tranquilli i mercati e gli investitori internazionali: se è vero che tra Roma e Bruxelles l’intesa non sembra mancare, il problema sta nella messa a terra delle risorse che l’Unione europea sta concedendo all’Italia grazie al Piano nazionale di ripresa e resilienza.

La questione dunque si può dividere in due tronconi, tra loro strettamente collegati ma che – per il momento – viaggiano su due binari distinti. La grande sfida a cui è atteso l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni è quella di sfruttare a pieno l’occasione della vita, rappresentate da quei 191,5 miliardi di euro che devono arrivare entro il 2026 e che dovranno essere spesi con tempestività e precisione. La volontà di farlo c’è tutta, rimarcata a più riprese dal ministro Raffaele Fitto, che detiene proprio la delega al PNRR. Vedremo se il comparto imprenditoriale del nostro Paese sarà all’altezza di questa enorme partita.

PNRR, l’Italia arranca ma l’Ue porge la mano al governo Meloni

Nonostante la polemica sul ridimensionamento del ruolo della Corte dei Conti (con l’emendamento presentato dalla maggioranza al decreto sulla Pubblica amministrazione in cui viene tolto ai magistrati il potere di verifica e controllo sullo stato di avanzamento del PNRR), i funzionari della Commissione europea che si occupano di seguire le vicende italiane hanno parlato di “scambi costruttivi con le autorità italiane“, che “forniscono ulteriori informazioni ove necessario”.

Il riferimento – oltre alla bagarre sui giudici – è alla possibile richiesta di modifiche che Palazzo Chigi dovrà avanzare qualora capisse di non poter rispettare la deadline per accedere ai finanziamenti. Dopo le difficoltà per l’ottenimento dei 21 miliardi della terza rata di fine 2022 (con i soldi che non sono ancora arrivati, anche se tutti gli obiettivi sono stati raggiunti), ora lo stesso copione si sta ripresentando per la quarta tranche da 18,4 miliardi di euro prevista per questo mese. Anche in questo caso il governo sembra arrancare, ma ancora una volta il dialogo con le istituzioni comunitarie potrebbe garantire una maggiore flessibilità.

Incapacità di spesa e crescita a rilento: sul PNRR l’Italia ce la farà?

Il tutto, come si diceva all’inizio, mentre il nostro Paese continua a soffrire di un’incapacità strutturale nell’utilizzo delle risorse provenienti dall’Europa. A supporto di questa tesi ci sono due “fotografie”, una di recente realizzazione, l’altra che trova fondamento addirittura negli anni Ottanta del secolo scorso. È da quel periodo infatti che l’Italia ha iniziato a segnare il passo rispetto ai partner continentali a noi più affini. Come riportato in un recente studio realizzato dall’Eurostat, dal 1980 ad oggi, a livello di imprese e aziende, la nostra nazione ha perso 28 punti su cento di produttività rispetto alla Francia e ben 60 punti su 100 se paragonata alla Germania.

A questo si aggiunge il secondo “scatto”, quello relativo all’incapacità di spesa del nostro sistema. Un vulnus tanto amministrativo quanto burocratico, che risiede in particolar modo nel ping pong di responsabilità tra comuni, provincie, regioni e governo centrale. Anche in questo caso, basta un dato: su 91 miliardi di euro che il PNRR prevede siano spesi in opere pubbliche, al 31 dicembre scorso ne erano stati usati appena 7, cioè l’8%. Un segnale preoccupante, considerando che nei prossimi 3 anni bisognerebbe spendere i rimanenti 84.