Motherhood penalty, in Italia la retribuzione delle donne diminuisce una volta diventate mamme

Anche in Italia, più o meno da sempre, il motherhood penalty è un realtà radicata: quando le donne lavoratrici diventano mamme aumenta il gender pay gap

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

In Italia, una donna lavoratrice su cinque lascia il lavoro dopo essere diventata madre. Il 2023 ha registrato un nuovo minimo storico delle nascite in Italia, ormai stabilmente ferme sotto le 400mila unità, con un calo del 3,6% rispetto all’anno precedente. Le donne scelgono di non avere figli o ne hanno meno di quanti ne vorrebbero: il numero medio di figli per donna è di 1,20. Una contrazione, quella della natalità, che accompagna l’Italia da decenni, e che ormai coinvolge persino la parte straniera della popolazione: nel 2023, da genitori stranieri sono nati 3mila bambini in meno rispetto al 2022.

Una questione atavica, ormai, su cui alcune realtà stanno cercando di agire, da tempo. Ad esempio Save the Children Italia, attraverso i suoi programmi dedicati alla prima infanzia e rivolti ai bambini tra 0 e 6 anni, realizzati in partenariato con organizzazioni territoriali competenti e qualificate, punta fin dalla gravidanza delle mamme a sostenere le situazioni più critiche e a tutelare i diritti dei bambini, per promuovere il loro benessere.

Altre realtà creano progetti e attività direttamente nelle aziende, per supportare il lavoro delle donne, con un’attenzione particolare per quelle vittime di violenza, lavorando ad esempio sulla decostruzione degli stereotipi, sull’empowerment delle donne, lo sviluppo di un ambiente di lavoro inclusivo, la promozione della Diversity, Equity & Inclusion e uno sguardo attento al linguaggio.

Ma l’Italia, come altri Paesi, sconta un crescendo pesantissimo di quel fenomeno che in gergo è chiamato motherhood penalty, uno svantaggio per le donne lavoratrici che sono anche mamme, per farla breve. “In Italia la retribuzione delle donne diminuisce una volta diventate madri, accentuando il problema del gender pay gap” spiega a QuiFinanza Debora Moretti, Presidente e Fondatrice di Fondazione Libellula, una delle realtà più attente e presenti in Italia su questi temi. In più, solo 1 donna su 3 è mediamente soddisfatta del proprio lavoro.

Moretti, quali sono i numeri di questo fenomeno in Italia?

Il trend globale, che vede le madri guadagnare 75 centesimi per ogni dollaro pagato ai padri, si conferma anche a livello nazionale: la Survey L.E.I. (Lavoro, Equità, Inclusione) 2024 diffusa recentemente da Fondazione Libellula, che ha coinvolto 11.201 donne, evidenzia come in Italia l’84% delle madri con figli o figlie al di sotto dei 3 anni sia toccato dal gender pay gap, dichiarando comunque il 60% delle donne di avere una retribuzione inferiore rispetto al collega uomo, a parità di ruolo, responsabilità e anzianità di servizio. Tuttavia, il divario non è solamente economico, ma anche professionale, in quanto il 75% delle madri vede rallentato il proprio percorso di crescita, con una percentuale maggiore se minore è l’età dei figli e delle figlie e maggiore il numero dei figli stessi.

Dunque un divario retributivo e professionale che è prima di tutto responsabilità della società in cui viviamo?

Certamente possiamo affermare che i vecchi stereotipi di genere fanno la loro parte. La narrazione dice che le donne sono per natura “multitasking”, guarda caso però, quando diventano madri, si pensa che non possano essere anche brave professioniste e che possa esistere solo una o l’altra cosa. Questo comporta una serie di discriminazioni che frenano il percorso lavorativo delle donne che hanno figli, spesso costrette o molto sollecitate a scegliere di lavorare meno o a non puntare sulla carriera e la crescita professionale. Spesso infatti le madri optano per impieghi part-time che permettano loro di prendersi cura dei figli, o addirittura lasciano il lavoro se i bambini sono troppo piccoli. Infatti, come emerge dalla nostra survey, sono perlopiù le donne ad occuparsi della gestione e della cura dei figli – il 51% circa delle intervistate -, il che conferma gli stereotipi che rendono la genitorialità condivisa qualcosa di ancora molto lontano. Uno scenario sicuramente aggravato dalle discriminazioni sul posto di lavoro, con quasi il 70% delle donne che riportano di aver subito allusioni o commenti negativi legati alla maternità in azienda.

Quali sono le azioni che un’azienda potrebbe realisticamente intraprendere per rendere il workplace più inclusivo per le mamme?

Sicuramente sarebbe bene adottare politiche aziendali che favoriscano un buon equilibrio tra vita privata e lavoro, come l’estensione dei congedi parentali, l’offerta di benefit economici o la flessibilità lavorativa. Inoltre, si potrebbe creare una community attraverso cui le persone possono attivare colleghi e colleghe per cercare la risoluzione di problemi pratici o un confronto su specifiche esperienze, o ancora organizzare workshop formativi per manager ed HR. La formazione può essere fondamentale per superare stereotipi, facilitare la comunicazione e sviluppare capacità di supporto specifico per i neogenitori.

Voi state portando avanti diverse iniziative per supportare la genitorialità condivisa…

Sì, ci stiamo impegnando molto in questo senso. Lo facciamo nello Spazio Libellula di Milano, la nostra antenna aperta a tutta la cittadinanza, con percorsi di accompagnamento alla nascita, incontri di sostegno nei primi 100 giorni di vita e counseling per genitori. Ma supportiamo la genitorialità anche nelle aziende, dove facciamo group coaching e organizziamo webinar per mamme e papà, per rispondere alle tante domande su come crescere figli e figlie nella cultura del rispetto e dell’equità. E per le domande più burocratiche, come per esempio congedi, bonus mamme o bebè, bonus nidi e tutti gli aiuti per le madri, abbiamo regalato alle aziende del Network Libellula per tutto il 2024 l’Help Desk Genitorialità, uno sportello gestito da Zeta Service.