Stalking condominiale: quali sono i presupposti?

Dalla molestia agli atti persecutori: analisi di un fenomeno complesso come lo stalking condominiale.

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Andrea Cattaneo

Avvocato

Avvocato, iscritto all'Ordine degli Avvocati di Verbania dal 17 novembre 2003, dal 22 gennaio 2016 patrocinante in Consiglio di Stato e Cassazione

Pubblicato: 8 Marzo 2022 10:38

Il reato di stalking (dall’inglese to stalk: cacciare in appostamento, inseguire) è fattispecie normativa relativamente recente essendo stata introdotta nel nostro ordinamento da poco più di due lustri mutuando analoghi provvedimenti già adottati in numerosi paesi di common law.

Inquadramento legislativo

Era stata infatti avvertita l’inadeguatezza delle previsioni incriminatrici di cui agli artt. 612 e 660 del Codice Penale soprattutto alla luce di alcuni fatti di cronaca afferenti ad episodi di violenza grave preceduti da condotte che, seppur penalmente rilevanti, potevano ascriversi a reati di natura quasi bagatellare e, conseguentemente, difficili da arginare e reprimere.

Occorreva quindi uno strumento nuovo idoneo a reprimere tutti quei comportamenti, che per le loro intrinseche caratteristiche, potevano degradare e sfociare in reati particolarmente esecrabili.

Tale lacuna è stata colmata tramite l’art. 7 del D.L. 23 febbraio 2009, convertito senza modificazioni dalla Legge 38/2009 «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori», che ha introdotto nel Codice Penale l’articolo. 612 bis.

La previsione legislativa in parola “ATTI PERSECUTORI” punisce condotte di insistita interferenza nell’altrui sfera privata:

“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.

Il reato è stato inserito nel capo III del titolo XII, parte II del Codice Penale (subito dopo il reato di “minaccia” che ne costituisce uno dei presupposti), nella sezione relativa ai delitti contro la libertà morale ed è caratterizzato da una condotta tipica costituita dalla reiterazione di minacce o di molestie.

La prima condotta, prevista e punita dall’art. 612 c.p., consiste – com’è facile intuire – dalla prospettazione di un male ingiusto futuro.

La seconda condotta è disciplinata dall’art. 660 c.p. che mira a prevenire il turbamento della pubblica tranquillità attuata mediante l’offesa alla quiete privata.

Pene previste e misure cautelari

Ciò che distingue i precitati elementi tipici mutandone la gravità elevandoli ad un grado superiore di pericolosità sociale è la loro reiterazione.

Tale elemento, caratterizzante lo stalking, è di fondamentale importanza per l’individuazione del reato atteso che la contestazione dell’art. 612 bis c.p. in luogo del reato di minaccia o di molestia comporta sostanziali differenze sia in termini di pene (si pensi che il reato di cui al primo comma dell’art. 612 c.p. è punito semplicemente con una multa) che nel caso meno grave partono da un anno di reclusione, sia per quanto attiene la possibile applicazione di misure cautelari applicabili.

Infatti i limiti edittali del reato di stalking consentono, ex art. 280 c.p.p., l’emissione di provvedimenti tesi ad evitare la possibilità di reiterazione del reato o comunque ad aggravarne le conseguenze.

Oltre a ciò il Legislatore del 2009, al fine rafforzare la tutela delle vittime, ha incrementato lo spettro delle misure cautelari coercitive, attraverso l’introduzione della nuova previsione (art. 282 ter c.p.p.) del “divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa” e del divieto di comunicazione con la persona offesa o i suoi prossimi congiunti (cfr. comma III della richiamata previsione legislativa) che pare assolutamente acconcia alla condotta che il legislatore ha inteso reprimere.

La giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione

Per tali motivi appare quindi doveroso approfondire, tramite la giurisprudenza formatasi in questo decennio di entrata in vigore della norma, ciò che è da intendersi per “reiterazione”.

Bene. La Suprema Corte di Cassazione, in costanza di giudicato, ha avuto modo di osservare che anche due sole condotte sono sufficienti a concretare la reiterazione quale elemento costitutivo del reato di atti persecutori.

Tra le pronunce più recenti si segnala quella della V Sezione, n. 6207, del 17 novembre 2020, che di seguito di riporta:
“Integrano il delitto di atti persecutori di cui all’articolo 612-bis del codice penale anche due sole condotte di minacce, molestie o lesioni, pur se commesse in un breve arco di tempo, idonee a costituire la “reiterazione” richiesta dalla norma incriminatrice, non essendo invece necessario che gli atti persecutori si manifestino in una prolungata sequenza temporale”.

É quindi corretto affermare che la norma è interpretata in modo assolutamente rigoroso con piena adesione alla volontà del Legislatore che con questa disposizione legislativa ha fortemente voluto contrastare la crescita di episodi di violenza, anche di natura sessuale.

Gli effetti sulla vittima

Va poi ricordato che il delitto di atti persecutori è un reato che prevede eventi alternativi.
Ai fini della sua consumazione risulta necessaria, oltre alla condotta materiale dell’agente, la realizzazione di almeno una delle tre distinte conseguenze che devono verificarsi in capo alla persona offesa:

  • Il grave e perdurante stato di ansia e di paura;
  • Il fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto;
  • L’alterazione delle abitudini di vita della vittima.

Sulla base di riportati elementi costitutivi del reato, anche con riferimento alle conseguenze generate sulla persona offesa che, come abbiamo visto, sono specificamente individuati nella norma, è ammissibile sostenere la possibile consumazione del reato anche nei rapporti di vicinato ed in condominio

Tra queste, dal punto di vista statistico, le più frequente è l’alterazione delle abitudini di vita, che deve essere accertata tenendo conto delle conseguenze emotive delle costrizioni sulla vita della persona offesa e non sulla base di una valutazione, puramente quantitativa, delle variazioni apportate.

Lo stalking nei confronti dei vicini

In numerosi casi detto evento è stato ravvisato nel cambio degli orari di entrata e di uscita dalla propria abitazione da parte del condomino vittima degli atti persecutori, nell’adozione da parte di quest’ultima di percorsi alternativi, sino ad arrivare nella ricerca di ospitalità da parti di amici onde non incontrare il condomino autore del reato.

Nondimeno, sempre nell’ambito degli effetti del reato, in un recente ed oltremodo grave caso giudicato dal Tribunale di Verbania, a cagione delle condotte dell’imputato, tutti i condomini di un’intera palazzina versando in un perdurante stato di ansia e di paura, temendo seriamente per la propria incolumità, si erano determinati, esasperati per le continue angherie, non solo a modificare le proprie abitudini di vita, iniziando a sottoporsi reciprocamente a vigilanza, per tutelarsi vicendevolmente, nel caso di temuto incontro con lo stalker (quando ciascuno doveva uscire entrare dallo stabile, contattava telefonicamente gli altri per aver conferma della presenza o meno dell’imputato o per richiamare l’attenzione dei condomini presenti, affinché si affacciassero sul balcone o sul pianerottolo per richiedere per poter richiedere prontamente l’intervento delle Forze dell’Ordine, in caso di emergenza), evitando di uscire di casa la sera e di invitare nell’abitazione terzi, ma, altresì di munirsi di dispositivi di autodifesa (bomboletta spray al peperoncino) per fronteggiare l’aggressività del soggetto attivo del reato.

Infine, sempre in ambito di stalking condominiale la Suprema Corte di Cassazione, Sez. VI, 7 aprile 2011, n. 20895, è arrivata ad affermare il principio secondo il quale integra il delitto di cui all’art. art. 612 bis c.p., la condotta di colui che compie atti molesti ai danni di più persone, costituendo per ciascuna motivo di ansia, non richiedendosi, ai fini della reiterazione della condotta prevista dalla norma incriminatrice, che gli atti molesti siano diretti necessariamente ad una sola persona, quando questi ultimi, arrecando offesa a diverse persone di genere femminile abitanti nello stesso edificio, provocano turbamento a tutte le altre.

È quindi evidente l’ampio ambito di applicazione della norma incriminatrice.