Come noto è obbligo di ogni genitore mantenere, istruire ed educare i figli. Lo sancisce la Costituzione (art. 30) ed è un dovere più volte richiamato dal Codice Civile e dal Codice Penale.
Tuttavia, cosa succede in caso di separazione, divorzio ovvero di dissoluzione dell’unione familiare tra genitori non coniugati? Cosa prevede la legge in ordine all’affidamento ed alla collocazione dei figli? Ed in ordine al loro mantenimento? Le parti possono decidere di provvedere direttamente al mantenimento dei propri figli senza dover corrispondere un assegno mensile?
Queste sono solo alcune delle domande più comuni che vengono poste quando si è in procinto di affrontare una crisi familiare.
Vediamo di fare chiarezza parlandone con l’Avv. Raffaele Coen.
Indice
L’affidamento condiviso
Prima di tutto è importante sapere che la Legge 8 febbraio 2006 n. 54 ha introdotto nel nostro ordinamento la regola dell’affidamento condiviso.
Con tale termine si intende una modalità di affidamento dei figli che privilegia e valorizza la responsabilizzazione di entrambi i genitori: quest’ultimi, infatti, anche se vivranno separatamente continueranno ad esercitare congiuntamente la potestà genitoriale sui figli ed adotteranno per loro, di comune accordo, le decisioni di maggiore interesse (salute, scuola, educazione…).
I genitori saranno invece normalmente liberi, anche singolarmente, di adottare le decisioni di ordinaria amministrazione per i figli (ad esempio le attività quotidiane o la gestione della giornata nei rispettivi periodi di frequentazione).
La legge quindi privilegia nettamente la collaborazione tra i genitori nell’interesse esclusivo dei figli e favorisce l’affidamento degli stessi ad entrambe le figure genitoriali.
Solo in casi eccezionali, ovvero in caso di gravi inadempienze genitoriali o quando uno dei genitori non possa o non voglia provvedere all’educazione ed al mantenimento dei figli o si dimostri inidoneo in tal senso, il Giudice potrà disporre l’affidamento esclusivo degli stessi all’altro genitore. Sempre tuttavia tenendo in considerazione il primario interesse dei minori, principio ispiratore di tutta la normativa in materia.
L’affidamento condiviso significa collocazione paritaria?
No. E’ bene non confondere l’affidamento dei figli con la loro collocazione.
Sebbene la Legge 8 febbraio 2006 n. 54 tenda ad una parificazione del ruolo dei genitori ed a garantire una presenza costante di entrambi nella quotidianità dei figli, l’affidamento condiviso non significa automaticamente che i figli trascorreranno la metà del proprio tempo con la mamma ed il papà.
Sul punto la Corte di Cassazione si è espressa più volte sancendo che la frequentazione del tutto paritaria tra genitori e figli ha natura “tendenziale” (Cassazione Civile, Ordinanza 4.10.2022 n. 28676). Il che equivale a dire che, sebbene sia auspicabile che i figli trascorrano tempo uguale con entrambi i genitori, nella pratica le cose possono andare anche in modo molto diverso. Ovvero il Giudice, in assenza di accordo tra le parti, può stabilire che la collocazione paritaria dei figli non sia la più opportuna per la loro crescita ed il loro benessere. Ad esempio in caso di alta conflittualità tra i genitori ovvero in caso di eccessiva distanza tra le rispettive abitazioni di quest’ultimi.
In buona sostanza ogni situazione rappresenta un caso a sé: il Giudice sarà chiamato, di volta in volta, ad una valutazione ponderata che tenga conto in primo luogo del benessere psicofisico dei minori.
Spesso il Giudice deciderà con l’ausilio di Servizi Sociali o di un Consulente nominato dal Tribunale per individuare la soluzione migliore in ordine all’affidamento ed al collocamento dei figli.
E’ sempre tuttavia auspicabile che le parti, prima di far decidere il Giudice, tentino di trovare un accordo per salvaguardare il benessere psicofisico dei figli ed evitare che gli stessi siano coinvolti in annose e pericolose battaglie giudiziarie.
E’ possibile optare per una collocazione paritaria dei figli?
Come dicevamo la collocazione paritaria dei figli è certamente possibile anche se, ad oggi, per lo più è rimessa all’accordo delle parti.
In caso di contrasto tra i genitori, sono infatti ancora rare le pronunce dei Tribunali a favore di una collocazione paritaria dei minori presso le residenze della mamma e del papà.
Eppure, come è stato acutamente osservato (Tribunale Catanzaro – sentenza n. 443/2019), “la soluzione della suddivisione paritetica dei tempi di permanenza” è da ritenersi “preferibile laddove ve ne siano le condizioni di fattibilità e, quindi, tenendo sempre in considerazione le caratteristiche del caso concreto”.
Il che, in altri termini, significa che tale soluzione potrà essere esclusa, “in presenza di figli minori molto piccoli (magari ancora in età da allattamento)” ovvero se la situazione familiare e personale delle parti non lo consenta per motivi di inidoneità delle rispettive abitazioni o di inconciliabili impegni lavorativi.
Ad avviso di chi scrive è auspicabile un deciso cambio di rotta della prassi giudiziaria che spinga verso una maggior responsabilizzazione di entrambi i genitori. In tale ottica i genitori devono essere chiamati concretamente alla condivisione reale (e non soltanto teorica) di un programma di eduzione e gestione dei figli. A tal fine è fondamentale che i genitori siano considerati in una posizione paritetica e che a ciascuno di loro sia consentito di essere presente, in modo continuativo, nella vita quotidiana dei figli.
Interessante notare che, la paritaria suddivisione dei tempi di frequentazione tra genitori e figli risulta la soluzione “in linea teorica aderente alla previsione contenuta nel citato art. 337 ter c.c. che non pare riferirsi esclusivamente all’affidamento legale condiviso, ma anche alla custodia fisica condivisa.” (Tribunale Catanzaro – sentenza n. 443/2019).
Anche da un punto di vista scientifico e psicologico non paiono esserci dubbi sull’opportunità di una collocazione paritaria dei figli presso entrambi i genitori. Una frequentazione paritaria dei minori con entrambi i genitori potrebbe infatti rinforzare e salvaguardare la relazione parentale altrimenti compromessa da un’eventuale limitazione dei tempi di visita e/o pernottamento.
Come ha osservato opportunamente il Tribunale di Catanzaro con la citata sentenza, “è principio ampiamente condiviso nella letteratura scientifica quello secondo cui entrambi i genitori necessitano di molto tempo trascorso con i propri figli per creare delle relazioni durature e consolidate e che, se questo non avviene, il tentativo di recuperare un rapporto compromesso diviene molto difficile specie con il passare del tempo”.
E’ auspicabile pertanto una sempre maggior valorizzazione del rapporto dei figli con entrambi i genitori.
In tale ottica pare sicuramente apprezzabile e pienamente condivisibile la recente ordinanza n. 1993/2022 della Corte di Cassazione secondo la quale “il regime legale dell’affidamento condiviso, in quanto orientato alla tutela dell’interesse morale e materiale della prole, deve tendenzialmente comportare, in mancanza di gravi ragioni ostative, una frequentazione paritaria dei genitori”.
E il mantenimento dei figli?
La quantificazione del contributo al mantenimento dei figli minori (o maggiorenni non economicamente autosufficienti) è influenzata da diversi fattori.
Nello specifico il Giudice (salvo diverso accordo tra le parti) dovrà decidere tenendo in considerazione:
- le attuali esigenze del figlio;
- il pregresso tenore di vita di quest’ultimo in costanza di convivenza con i genitori;
- i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
- le risorse economiche (reddito e patrimonio) di entrambi i genitori;
- la valenza economica dei compiti domestici e delle cure assunti da ognuno dei genitori.
Orbene, come già affermato anche dalla Corte di Cassazione (Ordinanza n. 3203 del 15.12.2020), l’ampliamento dei diritti di visita e frequentazione del genitore non collocatario dei figli può influire in modo diretto sul contributo al loro mantenimento mensile.
In altri termini, il contributo al mantenimento dei figli è inversamente proporzionale al tempo trascorso con il genitore obbligato al versamento.
Chi scrive condivide pienamente quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la citata ordinanza.
E’ infatti indubbio che il contributo al mantenimento mensile dei figli risponda all’esigenza di compensare il maggior sacrificio economico cui è chiamato il genitore che abbia quest’ultimi con sé per un periodo di tempo più ampio (si pensi ad esempio a tutte le spese quotidiane per il cibo, il vestiario, ecc…).
Ma se la diseguaglianza dei tempi di frequentazione tra i genitori e figli viene meno, è evidente che dovrà essere rivalutato anche l’obbligo alla corresponsione di un assegno mensile.
Ciò in quanto le parti si ritroverebbero, di fatto, in una situazione di sostanziale equilibrio provvedendo direttamente ed in egual misura al mantenimento dei figli.
Conclusioni
In ogni caso di crisi familiare, nel decidere sull’affidamento, la collocazione ed il mantenimento dei figli, il Giudice dovrà comunque preliminarmente valutare l’eventuale sussistenza di accordi tra le parti.
E’ ovviamente sempre auspicabile infatti che i genitori condividano, eventualmente anche attraverso un percorso di mediazione familiare o l’ausilio di esperti, le modalità di frequentazione, collocazione e mantenimento dei figli.
Un eventuale accordo consentirà di ridurre al minimo per i figli l’inevitabile sofferenza derivante dalla disgregazione familiare.
E’ quindi fondamentale che i genitori provino a concordare in autonomia la nuova organizzazione della famiglia e le modalità di continuazione del rapporto con i figli anche successivamente alla crisi della famiglia. Sempre nell’interesse esclusivo dei minori ed in linea con la auspicata parificazione dei ruoli e dei compiti genitoriali.
Per ulteriori informazioni o per fissare un appuntamento, rivolgersi allo Studio Legale dell’ Avv. Raffaele Coen.