Martedì 14 maggio è stato presentato l’ottavo Rapporto Nazionale sul Riutilizzo, una testimonianza dell’evoluzione significativa che sta interessando il settore del riutilizzo, riassunta nel sottotitolo “Dalla nicchia al mainstream”.
Pietro Luppi, Presidente dell’Osservatorio sul Riutilizzo e autore del Rapporto, spiega: “Sono oltre 100.000 gli addetti italiani della ‘seconda mano’. Il grande flusso dei decisori, il mainstream, si interessa finalmente al riutilizzo e lo pone al centro delle sue politiche e strategie. Per gli operatori si è aperta un’epoca di sfide, che riguardano gli standard operativi e ambientali, gli obiettivi, le scale industriali e la legalità”. Il Rapporto descrive questo scenario con contenuti, dati e interviste originali e include articoli pubblicati sul tema negli ultimi due anni.
Il documento si apre con una prospettiva europea, riportando i dati sul riutilizzo che Ispra e i suoi omologhi di altri paesi europei devono fornire dal 2023 all’Agenzia Europea per l’Ambiente, prendendo come primo anno di riferimento i numeri del 2022. Secondo i dati emersi dal rapporto Ispra, sono state intercettate 232.000 tonnellate di beni dai vari operatori, una cifra che potrebbe raddoppiare se venisse considerato l’intero settore.
Abbiamo chiesto a Pietro Luppi, Direttore dell’Osservatorio Nazionale sul Riutilizzo, e ad Alessandro Stillo, Presidente di Rete ONU, di illustrarci i punti salienti del Rapporto.
Indice
Luppi, Stillo, cosa ci dicono i dati sul riuso in Italia e qual è lo stato di salute?
L’Italia per la prima volta, a livello ufficiale, e su richiesta europea, ha prodotto dei dati sullo stato del riuso nel nostro paese, e questo è stato il risultato di un tavolo tecnico con Rete ONU, l’associazione di categoria degli operatori dell’usato, che ha messo a disposizione sia i numeri riguardanti il settore del riuso più formalizzato, ossia i negozi dell’usato conto terzi, che quelli relativi alla parte più informale del settore, che è rappresentata dagli ambulanti. I dati più oggettivi e riscontrabili, ovviamente, riguardavano la parte formale, che emette scontrino e usa software gestionali; e così, per questo primo anno di reportistica all’Europa, Ispra, che è l’agenzia di studi del nostro Ministero all’Ambiente e allo Sviluppo Energetico, ha dichiarato per il 2022 una performance di riutilizzo di 232.000 tonnellate riferite esclusivamente a questi operatori.Quando si troverà il sistema per quantificare anche la parte degli ambulanti, il volume salirà almeno del doppio, raggiungendo probabilmente il mezzo milione di tonnellate. Il riuso in Italia ha un buono stato di salute e tendenzialmente sta crescendo: l’online e l’offline vanno di pari passo, e questo dimostra che, in realtà, i due fenomeni sono agganciati, ossia molti dei venditori delle piattaforme sono in realtà operatori del riutilizzo professionali. La crescita del nostro settore avviene nonostante un quadro legislativo completamente sfavorevole. Al di là delle dichiarazioni di principio, il riutilizzo in Italia va avanti non perché è aiutato dall’istituzione pubblica, ma va avanti nonostante sia ignorato dall’istituzione pubblica.e grazie al mercato e all’intraprendenza e resilienza dei nostri operatori.
Come si posiziona il nostro Paese rispetto agli atri stati europei e in che cosa potremmo migliorare?
Il sottotitolo del Rapporto è “Dalla nicchia al mainstream” come mai questa scelta? Significa che c’è sempre più attenzione al tema del riuso?
Uno dei settori industriali più inquinanti è quello tessile, in che modo il riutilizzo può rendere questo settore più sostenibile?
Il riutilizzo allunga la vita dei beni tessili, e lo fa con il minimo impatto ambientale; per funzionare alla massima scala deve però essere un riutilizzo di esportazione, perché la domanda locale non basta mai ad assorbire la disponibilità di beni usati di un territorio; e nel caso dei vestiti usati, la domanda internazionale si trova soprattutto in paesi dove lo smaltimento dell’invenduto, così come del prodotto a fine vita, potrebbe essere inadeguato andando a vanificare il buon risultato ambientale della parte, maggioritaria, che invece è effettivamente riutilizzata. Il riutilizzo è quindi fondamentale, ma bisogna trovare sistemi per migliorare lo smaltimento in Africa, attraverso la responsabilità estesa del produttore, il coinvolgimento produttivo degli attori di filiera, e di una cooperazione internazionale impostata in modo diverso, ossia basata sulle soluzioni che può offrire il settore dei waste pickers africani e del resto del mondo.
Sì è da poco concluso a Buenos Aires un importante incontro, l’International Alliance of Waste Pickers, che cosa è emerso da questo incontro?
Cosa chiedete in particolare alle Istituzioni Italiane?
La prima e più importante richiesta è una legge di riordino del settore, scritta in concorso con le associazioni che si occupano di riutilizzo in Italia. Durante la scorsa legislatura in Parlamento furono presentati tre differenti Progetti di Legge che non sono stati neppure calendarizzati in Commissione Ambiente: sarebbe sufficiente recuperarli, attualizzarli e porterebbero certezze e ancora più respiro ad un settore con grande vitalità ma scarsi strumenti legislativi e tecnici.