Il riutilizzo da nicchia a mainstream, presentato l’ottavo Rapporto Nazionale

Abbiamo intervistato Pietro Luppi, Direttore dell'Osservatorio Nazionale sul Riutilizzo, e ad Alessandro Stillo, Presidente di Rete ONU per raccontarci il Rapporto

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Matteo Paolini

Giornalista green

Nel 2012 ottiene l’iscrizione all’Albo dei giornalisti pubblicisti. Dal 2015 lavora come giornalista freelance occupandosi di tematiche ambientali.

Martedì 14 maggio è stato presentato l’ottavo Rapporto Nazionale sul Riutilizzo, una testimonianza dell’evoluzione significativa che sta interessando il settore del riutilizzo, riassunta nel sottotitolo “Dalla nicchia al mainstream”.

Pietro Luppi, Presidente dell’Osservatorio sul Riutilizzo e autore del Rapporto, spiega: “Sono oltre 100.000 gli addetti italiani della ‘seconda mano’. Il grande flusso dei decisori, il mainstream, si interessa finalmente al riutilizzo e lo pone al centro delle sue politiche e strategie. Per gli operatori si è aperta un’epoca di sfide, che riguardano gli standard operativi e ambientali, gli obiettivi, le scale industriali e la legalità”. Il Rapporto descrive questo scenario con contenuti, dati e interviste originali e include articoli pubblicati sul tema negli ultimi due anni.

Il documento si apre con una prospettiva europea, riportando i dati sul riutilizzo che Ispra e i suoi omologhi di altri paesi europei devono fornire dal 2023 all’Agenzia Europea per l’Ambiente, prendendo come primo anno di riferimento i numeri del 2022. Secondo i dati emersi dal rapporto Ispra, sono state intercettate 232.000 tonnellate di beni dai vari operatori, una cifra che potrebbe raddoppiare se venisse considerato l’intero settore.

Abbiamo chiesto a Pietro Luppi, Direttore dell’Osservatorio Nazionale sul Riutilizzo, e ad Alessandro Stillo, Presidente di Rete ONU, di illustrarci i punti salienti del Rapporto.

Luppi, Stillo, cosa ci dicono i dati sul riuso in Italia e qual è lo stato di salute?

L’Italia per la prima volta, a livello ufficiale, e su richiesta europea, ha prodotto dei dati sullo stato del riuso nel nostro paese, e questo è stato il risultato di un tavolo tecnico con Rete ONU, l’associazione di categoria degli operatori dell’usato, che ha messo a disposizione sia i numeri riguardanti il settore del riuso più formalizzato, ossia i negozi dell’usato conto terzi, che quelli relativi alla parte più informale del settore, che è rappresentata dagli ambulanti. I dati più oggettivi e riscontrabili, ovviamente, riguardavano la parte formale, che emette scontrino e usa software gestionali; e così, per questo primo anno di reportistica all’Europa, Ispra, che è l’agenzia di studi del nostro Ministero all’Ambiente e allo Sviluppo Energetico, ha dichiarato per il 2022 una performance di riutilizzo di 232.000 tonnellate riferite esclusivamente a questi operatori.Quando si troverà il sistema per quantificare anche la parte degli ambulanti, il volume salirà almeno del doppio, raggiungendo probabilmente il mezzo milione di tonnellate. Il riuso in Italia ha un buono stato di salute e tendenzialmente sta crescendo: l’online e l’offline vanno di pari passo, e questo dimostra che, in realtà, i due fenomeni sono agganciati, ossia molti dei venditori delle piattaforme sono in realtà operatori del riutilizzo professionali. La crescita del nostro settore avviene nonostante un quadro legislativo completamente sfavorevole. Al di là delle dichiarazioni di principio, il riutilizzo in Italia va avanti non perché è aiutato dall’istituzione pubblica, ma va avanti nonostante sia ignorato dall’istituzione pubblica.e grazie al mercato e all’intraprendenza e resilienza dei nostri operatori.

Come si posiziona il nostro Paese rispetto agli atri stati europei e in che cosa potremmo migliorare?

Il nostro paese nella realtà, e senza contare i rifiuti da demolizione e costruzione, che sono stati inclusi nelle reportistiche di riutilizzo di altri paesi, raggiunge già gli 8 kg ad abitante. Di questi 8 kg, Ispra ne sta registrando circa 3. E’ un ottimo passo, perché prima il livello di riconoscimento era a zero, e quando si cercava di quantificare il riuso si andavano a chiedere ai Comuni i risultati dei Centri di Riuso che, per quanto meritevoli, non rappresentano neanche lo 0,5% della realtà del riutilizzo in Italia. Se gli 8 kg fossero tracciati e riconosciuti, e se il conteggio ufficiale includesse anche il riutilizzo da demolizioni e costruzione, questo basterebbe a portarci al top della classifica europea del riuso. Se poi l’istituzione pubblica, invece che castigarci o ignorarci, cominciasse a sostenerci, probabilmente saremmo di gran lunga i primi in Europa. A oggi i lavoratori del settore in Italia sono circa 100.000, se invece di essere bistrattati dalle norme cominciassero a essere appoggiati, il riutilizzo volerebbe davvero in alto.

Il sottotitolo del Rapporto è “Dalla nicchia al mainstream” come mai questa scelta? Significa che c’è sempre più attenzione al tema del riuso?

Il titolo è stato scelto perché il riutilizzo è al centro delle politiche ambientali europee, e in un momento in cui le politiche ambientali promettono di riformare l’intero sistema economico. I grandi decisori, così come la grande industria, hanno deciso che il riutilizzo debba diventare una cosa importante, e questo riflette sicuramente anche la volontà ecologista dei consumatori ed elettori. Finora il riutilizzo è stato una nicchia, che copriva pochi punti percentuali nel mercato nazionale dei beni durevoli, ora invece è sotto i riflettori. Resta da capire se il mainstream, per raggiungere i propri obiettivi, opterà per un reset e una riorganizzazione del settore, come sta facendo la Francia. Quest’ultima, nei suoi report ufficiali, ha deciso di conteggiare solo il riutilizzo legato ai sistemi formali di responsabilità estesa del produttore, escludendo tutto il resto. Oppure, se sceglierà di far emergere e migliorare il settore esistente, che rappresenta attualmente l’anima, il cuore, il corpo e la spina dorsale del riutilizzo, sia in Italia che in Europa.

Uno dei settori industriali più inquinanti è quello tessile, in che modo il riutilizzo può rendere questo settore più sostenibile?

Il riutilizzo allunga la vita dei beni tessili, e lo fa con il minimo impatto ambientale; per funzionare alla massima scala deve però essere un riutilizzo di esportazione, perché la domanda locale non basta mai ad assorbire la disponibilità di beni usati di un territorio; e nel caso dei vestiti usati, la domanda internazionale si trova soprattutto in paesi dove lo smaltimento dell’invenduto, così come del prodotto a fine vita, potrebbe essere inadeguato andando a vanificare il buon risultato ambientale della parte, maggioritaria, che invece è effettivamente riutilizzata. Il riutilizzo è quindi fondamentale, ma bisogna trovare sistemi per migliorare lo smaltimento in Africa, attraverso la responsabilità estesa del produttore, il coinvolgimento produttivo degli attori di filiera, e di una cooperazione internazionale impostata in modo diverso, ossia basata sulle soluzioni che può offrire il settore dei waste pickers africani e del resto del mondo.

Sì è da poco concluso a Buenos Aires un importante incontro, l’International Alliance of Waste Pickers, che cosa è emerso da questo incontro?

E’ emerso un movimento in grado di rappresentare venti milioni di waste pickers di tutto il mondo, che sono raccoglitori informali che lavorano nelle strade o nelle discariche, producendo reddito con la rivendita dei materiali riciclabili e riutilizzabili. In Italia ne abbiamo almeno 70.000. Un mondo trascurato, disprezzato e ignorato, e finora non ascoltato. Rete ONU ne rappresenta una parte, che più desidera emergere ed essere regolarizzata, e per questa ragione ha posto un proprio rappresentante nel board dell’alleanza internazionale, a lato di africani, asiatici e nord e latinoamericani. L’alleanza è presa molto sul serio dall’Onu, dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro e dalle massime istituzioni internazionali. Questo potrebbe essere l’inizio di un maggiore riconoscimento di questo settore anche nel nostro territorio nazionale, dove, soprattutto a livello locale, gli operatori hanno fortissime difficoltà a vedere riconosciuto il proprio lavoro. Spesso a frustrare le loro aspirazioni di regolarizzazione sono ignoranza e demagogia delle amministrazioni comunali che, come sta accadendo in questo momento a Torino da parte della Regione Piemonte, cercano di cancellare un’esperienza storica e pilota come il Libero Scambio. Le Amministrazioni italiane dovrebbero invece lavorare all’unisono per favorire e accompagnare la regolarizzazione ma soprattutto l’uscita dall’invisibilità di un fenomeno che ha fortissimi aspetti umani, sociali e ambientali, sottraendo alla discarica migliaia di tonnellate di beni destinati ad una seconda vita.

Cosa chiedete in particolare alle Istituzioni Italiane?

La prima e più importante richiesta è una legge di riordino del settore, scritta in concorso con le associazioni che si occupano di riutilizzo in Italia. Durante la scorsa legislatura in Parlamento furono presentati tre differenti Progetti di Legge che non sono stati neppure calendarizzati in Commissione Ambiente: sarebbe sufficiente recuperarli, attualizzarli e porterebbero certezze e ancora più respiro ad un settore con grande vitalità ma scarsi strumenti legislativi e tecnici.