Lo scorso 24 maggio, il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato un accordo politico che costringe le aziende a pensare in maniera sostenibile. Si tratta di una direttiva che vuole promuovere un comportamento responsabile rispetto agli impatti negativi sull’ambiente e i diritti umani.
Le nuove norme si applicano a società madri e imprese con oltre mille dipendenti e un fatturato superiore a 450 milioni di euro, ma anche i franchising con un fatturato di più di 80 milioni di euro (di cui 22,5 provenienti da diritti di licenza). Chi non le rispetta rischia una multa del valore fino al 5% del fatturato netto mondiale. Inoltre dovranno rispondere dei danni causati e risarcire le vittime.
Con le nuove normative, in altre parole, non si scherza. Ma cosa cambia rispetto al passato?
Indice
Il contesto della proposta: i motivi e gli obiettivi delle nuove regole
L’Ue sta cercando di immaginarsi come un’economia verde e climaticamente neutra. Il grande piano che racchiude obiettivi e condotta per riuscirci è il Green Deal. Immaginarlo però non basta.
Le società europee esistono in un sistema complesso e dipendente da catene di approvvigionamento esterne, in territori dove i diritti umani e gli impatti ambientali vengono dopo il guadagno e la sopravvivenza. Le nuove regole Ue spingono le aziende a riconoscersi in un valore nuovo, ovvero quello della responsabilità di parare e riparare gli impatti negativi sui lavoratori e sull’ambiente.
Nella dichiarazione congiunta sulle priorità legislative (in corso dal 2022), il Parlamento europeo, il Consiglio dell’Ue e la Commissione europea si sono impegnati a realizzare un’economia al servizio delle persone.
Quali sono i vantaggi delle nuove regole per cittadini e imprese?
Sul sito dell’Unione Europea si possono leggere una serie di “vantaggi” che cittadini e aziende potrebbero riscontrare in una futura applicazione delle nuove regole green.
Per i cittadini:
- una migliore tutela dei diritti umani, compresi i diritti del lavoro;
- un ambiente più sano per le generazioni presenti e future, tenendo conto delle migrazioni dovute ai cambiamenti climatici;
- maggiore fiducia nelle imprese;
- maggiore trasparenza per scelte consapevoli;
- un migliore accesso alla giustizia per le vittime.
Per le aziende:
- quadro giuridico armonizzato nell’UE, che crea certezza del diritto e parità di condizioni;
- maggiore fiducia da parte dei clienti e impegno dei dipendenti;
- maggiore consapevolezza dell’impatto negativo delle aziende sui diritti umani e sull’ambiente, minori rischi di responsabilità;
- migliore gestione del rischio, maggiore resilienza e maggiore competitività;
- maggiore attrattività per i talenti, gli investitori orientati alla sostenibilità e gli acquirenti pubblici;
- maggiori incentivi all’innovazione;
- migliore accesso ai finanziamenti.
Ma soprattutto le nuove regole avranno effetti positivi sui cosiddetti Paesi “in via di sviluppo”, perché è su questi che ricadono molti (se non tutti) degli impatti negativi delle imprese occidentali (e non solo). Tra i vantaggi che possono ricevere con una giusta applicazione delle norme troviamo:
- una migliore tutela dei diritti umani e dell’ambiente;
- investimenti sostenibili, rafforzamento delle capacità e sostegno alle aziende della filiera.
- miglioramento delle pratiche legate alla sostenibilità;
- maggiore adozione di standard internazionali;
- miglioramento delle condizioni di vita delle persone.
Quali sono gli obblighi per le aziende?
La nuova direttiva Ue sulla sostenibilità aziendale impone una serie di obblighi specifici alle imprese per garantire che le loro attività non abbiano impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente.
Tra questi le garanzie contrattuali e i piani aziendali di transizione. Ci sono anche nuovi obblighi di supporto a partner commerciali di piccole e medie dimensioni e obblighi di comunicazione trasparente. Pena: sanzioni salate. A monitorare sarò un’autorità di controllo creata appositamente per indagare e sanzionare il mancato rispetto delle norme.
Le nuove norme, nel senso più generico della loro applicazione, implicano il dover individuare, prevenire e attenuare i danni esterni derivanti dagli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente.
“Le società dell’Ue […] devono attuare processi globali di attenuazione degli impatti negativi sui diritti umani e degli impatti ambientali negativi nelle catene del valore”.
Sono anche tenute a ottenere garanzie contrattuali dai loro partner commerciali per assicurarsi che anch’essi rispettino i nuovi obblighi.
“Le società devono ottenere garanzie contrattuali dai partner per prevenire, fermare o attenuare le ripercussioni negative delle loro attività su ambiente e diritti umani”.
È in generale richiesto di adottare un piano di transizione per garantire che il loro modello sia compatibile con una transizione a un’economia sostenibile, per “allineare il loro modello di business alla soglia di 1,5 °C di riscaldamento globale” fissato dall’accordo di Parigi.
Tra le norme si legge la necessità di:
“[…] fornire sostegno ai partner commerciali di piccole e medie dimensioni per garantire la conformità agli obblighi di sostenibilità”.
E, per rispettare il principio della trasparenza:
“Le aziende devono divulgare i piani per garantire che il modello di business sia compatibile con la transizione a un’economia sostenibile”.
Come abbiamo già annunciato, in caso di mancata applicazione delle nuove direttive, le aziende rischiano una sanzione che può includere ammende fino al 5% del loro fatturato netto mondiale. Inoltre dovranno risarcire appieno le vittime dei danni causati dalla mancata osservanza del dovere di diligenza.
Cambiamenti sostenibili in arrivo: per chi e quai sono le tappe
Le nuove regole non valgono per tutte le aziende. L’attenzione è puntata sulle grandi società, ma già a partire dai 500 dipendenti è richiesta una maggiore attenzione al benessere umano e ambientale. I requisiti di obbligo dell’applicazione sono i seguenti:
- avere avuto, in media, più di 500 dipendenti e un fatturato netto a livello mondiale di oltre 150 milioni di euro;
- avere avuto, in media, più di 250 dipendenti e un fatturato netto a livello mondiale di oltre 40 milioni di euro, purché almeno il 50% di tale fatturato netto sia stato generato in uno o più dei settori seguenti: tessuti, pellami e relativi prodotti (calzature comprese), agricoltura, silvicoltura, pesca (acquacoltura compresa), fabbricazione di prodotti alimentari e commercio all’ingrosso di materie prime agricole, bestiame, legname, alimenti e bevande, estrazione di risorse minerarie indipendentemente dal luogo in cui sono estratte, fabbricazione di prodotti in metallo e commercio all’ingrosso di queste.
La direttiva si applica in maniera graduale. Le fasi sono così suddivise:
- dal 2027 per le imprese con oltre 5.000 dipendenti e un fatturato superiore a 1.500 milioni di euro;
- dal 2028 per le imprese con oltre 3.000 dipendenti e un fatturato superiore a 900 milioni di euro;
- dal 2029 per tutte le altre imprese con oltre 1.000 dipendenti e un fatturato superiore a 450 milioni di euro.
Nelle varie tappe, alle aziende sarà quindi richiesto di investire per attuare le direttive. Non mancheranno costi di transizione, ma anche investimenti per adattare le operazioni e le “catene del valore” di un’azienda. La palla passa agli Stati membri, che hanno due anni per recepire la direttiva e un ulteriore anno per iniziare ad applicare le norme, seguendo le fasi sopra riportate; e passa agli imprenditori (le donne che fanno impresa sono più sostenibili) che dovranno impegnarsi per migliorare i loro doveri verso persone e ambiente.