A Roma, durante la Cop16 sulla biodiversità, i delegati di tutto il mondo hanno raggiunto un accordo storico per stanziare 200 miliardi di dollari all’anno entro il 2030. Questi fondi saranno destinati alla tutela della biodiversità nei Paesi più ricchi di risorse naturali ma poveri di mezzi economici.
Il Cop16 si è tenuto a Roma nella sede della Fao, dopo il fallimento dell’edizione precedente a Cali nel raggiungere un accordo concreto. La conferenza ha riunito rappresentanti di oltre 190 Paesi per discutere soluzioni globali per la tutela degli ecosistemi, con particolare attenzione alle foreste tropicali, considerate i polmoni verdi del pianeta. Ecco tutti i dettagli e le implicazioni dell’intesa raggiunta alla Cop16 di Roma.
Accordo sulla biodiversità: almeno 200 miliardi all’anno
Durante la Cop16 sulla biodiversità tenutasi a Roma, i delegati di oltre 190 Paesi hanno raggiunto un accordo senza precedenti per stanziare 200 miliardi di dollari all’anno entro il 2030. Il finanziamento sarà destinato principalmente ai Paesi ricchi di biodiversità, come quelli nelle aree intertropicali, che ospitano la maggior parte delle foreste tropicali e delle specie animali e vegetali a rischio di estinzione.
L’accordo prevede che i Paesi economicamente più avanzati, che hanno contribuito in modo significativo alla perdita di biodiversità attraverso l’industrializzazione e l’agricoltura intensiva, si impegnino a versare contributi economici per sostenere la conservazione della natura nei Paesi emergenti. Questi fondi saranno utilizzati per:
- proteggere le foreste tropicali, che assorbono grandi quantità di anidride carbonica e producono ossigeno per il pianeta;
- ripristinare ecosistemi degradati, favorendo la biodiversità locale e migliorando la resilienza climatica;
- promuovere lo sviluppo sostenibile nei Paesi poveri, garantendo mezzi di sussistenza alternativi che non danneggino l’ambiente.
Stefano Raimondi, responsabile biodiversità di Legambiente, ha commentato l’accordo definendolo “un accordo in chiaroscuro, con qualche significativo passo avanti ma ancora con molte incertezze”. Secondo Raimondi, se da un lato è positivo l’impegno a mobilitare 200 miliardi di dollari all’anno entro il 2030, dall’altro resta il dubbio sulle modalità di gestione dei finanziamenti, che verranno definite solo nel 2028.
Chi paga per la biodiversità? La sfida dei Paesi ricchi e poveri
Uno dei punti più delicati dell’accordo è stata la distribuzione dei costi per la tutela della biodiversità. I Paesi economicamente più avanzati non ospitano grandi espressioni di biodiversità nei loro territori, poiché hanno modificato i loro sistemi naturali con l’agricoltura intensiva, l’industrializzazione e l’espansione urbana. Al contrario, le regioni intertropicali, ricche di biodiversità, si trovano prevalentemente nei Paesi emergenti, spesso poveri di risorse economiche.
Sebbene l’accordo raggiunto a Roma rappresenti un passo storico nella lotta per la tutela della biodiversità, le sfide future non mancano. La Cop16 ha stabilito gli obiettivi finanziari e le responsabilità globali, ma manca come passare all’azione.
Legambiente ha commentato:
Molte delle risoluzioni appaiono solo come buone intenzioni già evidenziate dalle precedenti COP ma senza ulteriori fatti concreti.
L’associazione ha inoltre criticato l’assenza dell’Italia durante i negoziati e ha chiesto un impegno più serio per rispettare gli obiettivi fissati dalla “Strategia Europea per la biodiversità 2030”.
Che cos’è Cali Fund, l’occasione “persa” secondo Legambiente
Uno dei punti più controversi è stato il Cali Fund, un fondo comune previsto durante la prima sessione della Cop16 a Cali in Colombia lo scorso autunno, che ha l’obiettivo di mobilitare risorse finanziarie dalle aziende e multinazionali che traggono profitto dallo sfruttamento dei dati genetici di specie animali e vegetali.
L’accordo finale ha lasciato questo fondo su base volontaria, perdendo così un’opportunità per renderlo obbligatorio. Sempre Raimondi ha espresso il suo disappunto: “Occorrerà vedere quante aziende vorranno effettivamente contribuire”.
Secondo l’accordo, il 50% delle risorse del Cali Fund sarà destinato alle popolazioni indigene e alle comunità locali, ma senza un obbligo formale di partecipazione, resta da vedere quanto verrà effettivamente raccolto.