Quali sono le agevolazioni fiscali che spettano ai contribuenti, nel momento in cui investono nella previdenza complementare? Quali sono le agevolazioni a cui è possibile accedere? Sotto il profilo fiscale, quando è conveniente effettuare questo tipo di investimento? Ma soprattutto quali tasse è necessario pagare, quando si andrà a percepire la rendita o si richiede il capitale investito?
La previdenza complementare – o previdenza integrativa, che dir si voglia – è uno strumento finanziario che permette di integrare il sistema pensionistico obbligatorio. Possono accedere a questi particolari tipi di prodotto:
- i lavoratori dipendenti;
- i liberi professionisti.
Il legislatore, nell’intento di dare una mano a quanti intendono costruirsi una pensione integrativa, ha deciso di introdurre alcune agevolazioni fiscali. Soffermandosi unicamente alla previdenza complementare – o previdenza integrativa – le agevolazioni fiscali coinvolgono direttamente questi aspetti:
- i versamenti dei contribuenti;
- i rendimenti positivi generati dalla gestione;
- le prestazioni offerte dalle forme pensionistiche. In questo caso le agevolazioni hanno un duplice aspetto: durante il periodo del versamento, con le anticipazioni ed i riscatti, che avvengono quando il lavoratore è in pensione, con la rendita pensionistica o il capitale maturato.
Cerchiamo di comprendere, quindi, come sia trattata ai fini fiscali e quali siano le agevolazioni che coinvolgono direttamente la previdenza complementare.
Indice
Previdenza complementare: di cosa parliamo
Cos’è la previdenza complementare? Cerchiamo di comprenderlo brevemente: la previdenza integrativa – o previdenza privata – è, a tutti gli effetti, un sistema di protezione sociale, attraverso il quale viene permesso ai lavoratori di accumulare delle risorse finanziarie per la pensione. Questo al di là del sistema previdenziale pubblico, che è obbligatorio.
Alla base dell’idea sulla quale si fonda la previdenza complementare c’è una realtà preoccupante: il sistema previdenziale pubblico potrebbe non essere sufficiente per garantire un reddito adeguato a chi andrà in pensione. Grazie alla previdenza integrativa, quindi, si permette ai lavoratori di integrare la loro pensione con delle risorse finanziarie private, che passano, nella maggior parte dei casi, da dei fondi pensione o da dei piani pensionistici aziendali.
Nel momento in cui i lavoratori dovessero decidere di aderire alla previdenza complementare si impegnano ad effettuare dei versamenti periodici, che possono essere dedotti fiscalmente. Queste somme vengono investite in vari strumenti finanziari, il cui scopo è quello di andare ad accumulare un capitale pensionistico nel corso degli anni. Quando il lavoratore andrà in pensione, i fondi accumulati possono essere convertiti in una rendita o in un capitale, attraverso il quale il pensionato potrà garantirsi un reddito supplementare.
Le agevolazioni fiscali
Nel momento in cui si procede con la sottoscrizione di una qualsiasi formula di previdenza complementare, il primo aspetto a cui è necessario prestare attenzione è la contribuzione annua. Con questo termine si intende a quanto ammontano e come sono versati i contributi. A seconda della situazione lavorativa e del tipo di forma pensionistica che contraddistingue ogni singola persona, la contribuzione può avvenire:
- attraverso contributi propri, che derivano dai propri risparmi;
- da dei contributi versati dal datore di lavoro, quindi trattenuti dalla busta paga;
- attraverso il versamento del Trattamento di fine Rapporto (TFR).
Il legislatore ha previsto per il versamento dei contributi a forme di previdenza complementare la deducibilità ai fini Irpef: in estrema sintesi, gli eventuali contributi versati determinano una riduzione del reddito imponibile ai fini Irpef. Questo significa che il primo risparmio che riesce ad ottenere il lavoratore è costituito dalle minori imposte Irpef che deve versare.
L’entità del guadagno che riesce ad ottenere, però, è variabile. Il vantaggio fiscale, infatti, viene determinato dall’aliquota Irpef marginale che ogni singolo contribuente raggiunge attraverso i propri redditi. In altre parole, maggiore è il reddito imponibile Irpef, maggiore sarà il risparmio fiscale che riuscirà ad ottenere grazie al versamento dei contributi a forme di previdenza complementare.
La deducibilità massima dei contributi versati è pari a 5.164,57 euro: in questa cifra vi rientrano sia i contributi personali, che quelli che sono a carico del datore di lavoro. Il reddito da cui dedurre i contributi, può essere di qualsiasi tipo: da lavoro dipendente, autonomo o d’impresa. È necessario che ci sia un reddito imponibile Irpef.
La tassazione dei rendimenti annui
Ricordiamo che nel momento in cui vengono versati dei contributi ad una qualsiasi forma di previdenza complementare, questi fondi vengono gestiti e producono un rendimento. Tutti i rendimenti finanziari – indipendentemente dalla forma di investimento scelta – vengono regolarmente tassati, anche se con delle aliquote differenti.
L’aliquota di tassazione, dal 2015, per la previdenza complementare è pari al 20%, ma vi è un’agevolazione particolare. Per la quota di rendimento che deriva dagli investimenti in Titoli di Stato, l’imposta del 20% viene calcolata solo sul 62,5% del rendimento. Questo significa, in estrema sintesi, che viene applicato il 12,5% sul rendimento complessivo derivante dai Titoli di Stato.
Nel caso in cui il fondo abbia optato di investire anche in immobili, per questa parte di patrimonio si applica un’imposta sostitutiva pari allo 0,5% del patrimonio relativo agli immobili. L’aliquota sale all’1,5% per gli immobili ad uso abitativo.
Come viene tassata la rendita pensionistica
Nel momento in cui il lavoratore ha diritto a percepire la pensione – rispettando la normativa in vigore – ed ha provveduto a versare almeno cinque anni di contributi ad una forma di previdenza complementare, matura questi diritti:
- chiedere il diritto al pagamento della pensione integrativa;
- ottenere il rimborso del capitale versato, fino ad un massimo del 50%.
Andare a calcolare la tassazione sulla rendita pensionistica risulta essere complesso, perché varia a seconda del periodo nel quale il capitale è maturato. Per quanto riguarda i capitali maturati dal 1° gennaio 2007 una parte dell’importo della rendita risulta essere esente da imposte. È la parte che deriva dai rendimenti maturati dalla gestione o dai contributi non dedotti. Sulla parte restante viene applicata un’imposta sostitutiva pari al 15%.
Volendo semplificare al massimo, il soggetto che erogherà la rendita o il capitale applicherà una tassazione sostitutiva a titolo d’imposta con aliquota:
- del 15%;
- riducibile di 0,30 punti percentuali per ogni anno di iscrizione eccedente il quindicesimo di partecipazione con un limite massimo di riduzione di 6 punti;
- del 9%, dopo 20 anni di iscrizione successivi ai primi 15 (per un totale quindi di 35 anni di iscrizione).
I contributi maturati dal lavoratore al momento del pensionamento continuano ad essere gestiti anche mentre si percepisce la pensione integrativa. Questo particolare vantaggio genera dei rendimenti che fanno crescere nel tempo la pensione integrativa percepita.
La tassazione del rimborso del capitale
Nel momento in cui il lavoratore matura il diritto di andare in pensione ha la possibilità di scegliere che una parte dei contributi gli vengano versati direttamente, sotto forma di capitale.
Per le somme che vengono percepite sotto forma di capitale la tassazione funziona in un modo molto simile a quello previsto per la rendita. Per i contributi maturati a partire dal 2007 in poi si applica un’imposta sostitutiva massima del 15% e minima del 9% (in base al numero di anni di partecipazione alla forma pensionistica).