Nel caso in cui non vengono documentate in modo analitico e preciso, i rimborsi delle spese chilometrici sostenuti dai liberi professionisti vengono considerati a tutti gli effetti reddito da lavoro autonomo. A fornire questo chiarimento è stata l’Agenzia delle Entrate, attraverso la risposta all’interpello n. 270/2025.
I lavoratori autonomi hanno la possibilità di beneficiare dell’esclusione dal reddito solo quando riescono a dimostrare, in modo analitico e preciso, gli indennizzi ottenuti.
Indice
Come funzionano i rimborsi chilometrici
Il datore di lavoro ha la possibilità di pagare delle indennità economiche ai dipendenti e ai collaboratori – anche quando hanno la partita Iva – per coprire i costi che sostengono per utilizzare il veicolo personale per i viaggi di lavoro: questi, in estrema sintesi, sono i rimborsi chilometrici.
Gli importi che le aziende versano ai collaboratori hanno lo scopo di compensare:
- il costo del carburante;
- l’usura del veicolo: in questa voce rientrano manutenzione generale, olio e pneumatici;
- tasse automobilistiche ed assicurazione;
- eventuali costi di parcheggio e pedaggi autostradali.
Come vengono calcolati
Generalmente i rimborsi chilometrici vengono calcolati sulla base delle Tabelle Aci (Automobile Club d’Italia), che vengono aggiornate annualmente e pubblicate sul portale dell’Agenzia delle Entrate.
Le Tabelle Aci indicano in modo dettagliato il costo chilometrico suddiviso per ogni modello e tipo di veicolo (con la distinzione tra quelli benzina, diesel, Gpl, metano, elettriche e così via): ovviamente gli importi variano a seconda del tipo di alimentazione e della potenza del motore.
Modalità di rimborso
Generalmente le modalità di rimborso avvengono in due modi differenti:
- a piè di lista o a costo reale – Il collaboratore presenta scontrini e fatture, dimostrando i costi sostenuti (avviene principalmente per pedaggi e parcheggi);
- forfettario o analitico – Si moltiplicano i km percorsi per la tariffa Aci. Modalità più diffusa e conveniente (entro i limiti Aci, i rimborsi sono esentasse).
Professionisti, quando i rimborsi chilometrici diventano reddito
I rimborsi chilometrici erogati ai liberi professionisti sono esentasse, purché vengano rispettate alcune regole. A fare il punto della questione è stata l’Agenzia delle Entrate, attraverso la risposta n. 270 del 23 ottobre 2025. È stata evidenziata l’importanza della documentazione analitica per la gestione di questo tipo di operazioni.
Solo quando viene presentata una precisa e dettagliata documentazione analitica, con una netta separazione tra compensi e rimborso spese, è possibile escludere i rimborsi dalla base imponibile del reddito professionale.
L’Agenzia delle Entrate ha fornito questi chiarimenti a seguito di un quesito posto da un contribuente. Questi ha chiesto espressamente come debbano essere trattate fiscalmente le somme percepite a titolo di rimborso chilometrico dopo l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 192/2024. Ciò ha introdotto alcune modifiche al regime fiscale, da applicare ai rimborsi spese che vengono effettuati nel lavoro autonomo.
I dubbi del contribuente
Il professionista ha domandato se fosse possibile far rientrare i rimborsi chilometrici (per i quali ci sono degli scontrini oggettivi per misurare le distanze percorse e i pedaggi autostradali) tra le spese che non concorrano alla formazione del reddito da lavoro autonomo. È quanto previsto dall’articolo 54, comma 2, lettera b del Tuir, successivamente modificato dal Decreto Legislativo n. 192/2024.
Nel caso oggetto dell’interpello, il contribuente ha provveduto a emettere una fattura nei confronti del cliente. Sono stati indicati il compenso per la prestazione svolta e il rimborso delle spese chilometriche. Il tutto assoggettato a Iva. Il rimborso, però, era stato preventivamente concordato con il committente ed è stato calcolato sulla base dei km percorsi e una tariffa pattuita tra le parti.
Il dubbio del contribuente è se tale rimborso – che non era supportato da giustificativi fiscali di terzi – potesse essere escluso dalla ritenuta d’acconto. Così come se fosse sufficiente documentare i chilometri percorsi e i parametri di calcolo per evitare l’obbligo di ulteriori giustificativi, come gli scontrini del carburante.
È necessaria una documentazione analitica
Il Dlgs n. 192/2024 ha introdotto il principio di onnicomprensività nella formulazione del reddito da lavoro autonomo, il quale prevede che tutte le somme e i valori percepiti nel periodo d’imposta per l’attività professionale siano imponibili.
Il legislatore ha però introdotto alcune esclusioni dal reddito: tra queste ci sono le somme percepite a titolo di rimborso spese, purché siano state addebitate in modo analitico al committente. Questa regola prevede, nel dettaglio, che tutte le spese debbano essere indicate in modo analitico dal professionista in fattura, in modo separato dai compensi. Ma soprattutto devono essere comprovate da una valida documentazione, dalla quale sia possibile evincere in modo puntuale e preciso la tipologia di spesa sostenuta.
Per rendere un rimborso spese non imponibile, dunque, non è sufficiente fornire una semplice indicazione forfettaria sui chilometri percorsi e la tariffa pattuita. È necessario che le spese vengano documentate in modo puntuale e preciso e siano riferibili all’attività professionale: devono essere presenti degli elementi che permettono un controllo di coerenza e correttezza. Nel momento in cui questa documentazione dovesse mancare, il rimborso chilometrico non può essere escluso dalla formazione del reddito e, quindi, deve essere assoggettato alla ritenuta d’acconto.
Nel caso preso in esame, benché il rimborso chilometrico sia stato concordato e calcolato sulla base di una serie di parametri oggettivi, non è stato sufficientemente analitico e documentato: concorre alla formazione del reddito.