Secondo i dati ufficiali pubblicati dall’Istat il 22 settembre 2025, la pressione fiscale in Italia è aumentata. Da quanto risulta dal report sui Conti economici nazionali, relativo al periodo 2023/2024, la quantità di soldi che lo Stato preleva (tramite tasse e contributi) rispetto a tutta la ricchezza che l’Italia produce (Pil) è salita, passando dal 41,2% nel 2023 al 42,5% nel 2024. In un solo anno, quindi, la fetta di reddito che va allo Stato è cresciuta di oltre un punto percentuale.
Indice
Di quanto sono aumentate le tasse in Italia
Come si legge dai dati ufficiali, le entrate da tasse e contributi per lo Stato sono cresciute molto velocemente (+5,8%) rispetto alla crescita generale dell’economia italiana (Pil, +2,7%).
Il punto è che la pressione fiscale sui cittadini e sulle aziende è aumentata anche se l’economia italiana non sta correndo a ritmi elevati. Bisogna segnalare infatti un meccanismo di rigidità che non riesce a premiare la crescita economica.
Lo Stato così si appropria di una fetta sempre maggiore della ricchezza prodotta, senza che una corrispondente maggiore disponibilità di risorse si traduca automaticamente in servizi pubblici più efficienti.
Al contrario, questo aumento va in direzione opposta a quanto si sente spesso dire e promettere in politica, ovvero all’intenzione di alleggerire il peso delle tasse su famiglie e imprese.
E inoltre, guardando ai dati storici, anche se è vero che la pressione fiscale in Italia ha oscillato negli ultimi anni sempre su livelli elevati (42,3% nel 2021, 41,7% nel 2022), solo nel 2023 era arrivata al minimo del 41,2%.
Il 2024 quindi ha segnato un nuovo balzo, ripercorrendo il trend del rialzo e riportando l’indicatore al 42,5%.
Perché cresce la pressione fiscale?
Il rialzo della pressione fiscale deriva da una combinazione di fattori:
- l’aumento dell’inflazione ha determinato un aumento nominale delle basi imponibili, facendo crescere il gettito Iva e quello delle imposte sul reddito;
- un maggiore incasso per via dei prezzi più alti determina anche un aumento delle imposte sui redditi, a prescindere dall’effettivo potere d’acquisto, che anzi in questi anni è andato a diminuire.
Quando i prezzi di beni e servizi sale anche il valore su cui si calcola l’Iva (l’imposta che paghiamo su ogni acquisto), insomma, ma anche l’ammontare dell’Irpef.
L’inflazione agisce come una sorta di tassa nascosta, gonfia i numeri sulla carta, fa aumentare gli incassi dello Stato (che vede basi imponibili più grandi) ma, allo stesso tempo, erode il valore reale dei soldi (il potere d’acquisto).
La quantità di beni e servizi che si possono comprare a fine mese, rispetto al reddito disponibile, dunque è sempre minore. E questo perché ogni piccolo scostamento nei redditi produce un incremento proporzionalmente maggiore del gettito fiscale e non in linea con l’aumento del costo della vita.
Anche i contributi sociali (per la pensione e l’assistenza sanitaria) sono rimasti molto alti.
Le conseguenze sull’economia
Un aumento della pressione fiscale in un contesto di crescita del Pil limitata (+2,7% a prezzi correnti nel 2024) solleva diverse preoccupazioni.
Prima di tutto, rischia di comprimere ulteriormente la capacità di spesa delle famiglie. Già provate dall’inflazione degli anni recenti, le famiglie italiane vedono scemare il reddito disponibile e devono destinare una quota crescente delle entrate alle imposte.
Per le imprese, invece, il problema si traduce in minori risorse da reinvestire. In un momento in cui la competitività internazionale richiede innovazione e capitale, un carico fiscale elevato rischia di scoraggiare gli investimenti e alimentare la tendenza alla delocalizzazione o alla contrazione delle attività.
È un circolo vizioso: più la crescita economica ristagna, più il peso fiscale appare sproporzionato, più difficile diventa rilanciare il ciclo produttivo.
Il confronto con gli altri Paesi in Europa
Non si può analizzare la pressione fiscale italiana senza un confronto con il resto d’Europa.
L’Italia si colloca stabilmente tra i Paesi con la tassazione più alta rispetto al Pil, vicino alla Francia, che è messa peggio, e al Belgio, e ben al di sopra della media dell’Eurozona.
A differenza di altri sistemi, tuttavia, la nostra pressione fiscale non si traduce in servizi pubblici percepiti come di qualità superiore.
Il paradosso italiano sta tutto qui: un livello di prelievo comparabile a quello dei Paesi nordici, ma con un welfare meno inclusivo e con una Pubblica Amministrazione indebitata e meno efficiente.