È una tentazione che conosce bene chi vive una relazione: il telefono del partner lasciato sbloccato sul tavolo o illuminato da una notifica. Una curiosità, una punta di gelosia – cosa si cela dietro quella chat su Instagram?
Non sono pochi i casi di partner che, spinti dal sospetto scoprono conversazioni intime, scambi di foto, iscrizioni a servizi di dating o la presenza di un profilo segreto su OnlyFans.
Sotto il profilo psicologico, il controllo del telefono proviene da insicurezza, mancanza di fiducia o paura dell’abbandono. Le conseguenze? Dinamiche tossiche, gelosia ossessiva e allontanamento del partner. Ma c’è di più: accedere senza consenso allo smartphone del partner è una violazione della privacy, può costituire reato e ci possono essere ripercussioni anche nelle cause di separazione o affidamento dei figli.
Indice
Controllare il telefono del partner è legale?
Anche tra coniugi, la privacy non si sospende. Il diritto alla riservatezza, sancito dagli artt. 2, 13 e 15 della Costituzione e dall’art. 8 della CEDU, tutela ogni individuo anche all’interno del matrimonio.
“Ciascun coniuge mantiene il pieno diritto al rispetto della propria vita privata e delle proprie comunicazioni, che si tratti di conversazioni telefoniche, messaggi WhatsApp o email.”
L’ordinamento civile non prevede un obbligo di “trasparenza digitale” nei rapporti tra marito e moglie. Infatti, il codice civile pur richiedendo fedeltà e collaborazione reciproca (art. 143 c.c.), non consente di esigere l’accesso a dispositivi personali. La fiducia non giustifica l’intrusione: consultare lo smartphone del partner senza permesso non è solo una questione morale, ma può configurare una vera e propria violazione di legge.
L’elemento dirimente è il consenso. Accedere al telefono del coniuge è lecito solo se avviene con un consenso espresso e libero. La mancanza di tale consenso trasforma il controllo sul telefono in un comportamento illecito, anche se l’intento nasce da una semplice gelosia o dal sospetto di infedeltà.
Quando non è reato vedere messaggi lasciati incustoditi?
Capita spesso di trovarsi davanti allo smartphone del coniuge, magari acceso e senza blocchi, con notifiche che compaiono a schermo. In questi casi, la semplice “occhiata” a un messaggio non sempre configura un reato.
“Il reato di accesso abusivo a sistema informatico si realizza se si supera una barriera di sicurezza, ad esempio digitando la password o utilizzando sistemi di sblocco non autorizzati (Cass. sent. n. 2905/2022).”
Tuttavia, il confine resta sottile. Anche se il telefono è lasciato incustodito o non protetto, la legge non considera ciò come una licenza generale ad accedere liberamente ai dati. Il fatto che il dispositivo sia sbloccato non equivale, di per sé, a un consenso automatico da parte del titolare.
Pertanto, se il marito lascia il telefono sul tavolo, acceso e senza blocco, e la moglie visualizza una notifica arrivata in quel momento, il semplice sguardo non costituisce di per sé reato. Se invece la moglie si mette a scorrere conversazioni o accede a contenuti riservati, la situazione cambia specie in assenza di un consenso espresso o di una consuetudine consolidata di condivisione.
Spiare il telefono del coniuge influisce su separazione e affidamento?
La tentazione di controllare il telefono del partner, oltre a esporre a rischi penali, può avere ripercussioni anche in una causa di separazione. In sede giudiziale, l’illecito accesso allo smartphone viene valutato dal giudice come possibile violazione dei doveri coniugali (art. 143 c.c.)
“Spiare il telefono del coniuge, soprattutto in modo sistematico, può essere considerato un comportamento grave, contrario ai principi di rispetto e lealtà che devono caratterizzare il rapporto di coppia. (Cass. sent. n. 3459/2019)”
Dal punto di vista pratico, chi raccoglie prove di un eventuale tradimento o di altri comportamenti del partner tramite “spionaggio digitale” deve sapere che queste prove sono utilizzabili in giudizio soltanto se ottenute in modo lecito. Screenshot, chat private o registrazioni raccolte senza consenso rischiano di essere dichiarate inutilizzabili e, in alcuni casi, possono addirittura portare a un addebito della separazione in capo a chi ha violato la privacy. Infatti, il giudice può infatti valutare la violazione della privacy come una causa di grave pregiudizio per la dignità dell’altro coniuge.
Non va poi sottovalutato l’impatto che simili condotte possono avere sulla gestione dei figli. Se lo spionaggio digitale si accompagna a comportamenti ossessivi, controlli continui o vere e proprie pressioni psicologiche, il giudice può tenerne conto ai fini dell’affidamento. L’art. 337 ter c.c. stabilisce il superiore interesse e benessere della prole: condotte che minano l’ambiente familiare o che denotano incapacità di garantire uno sviluppo sereno ai figli possono incidere in modo significativo sulle decisioni relative all’affidamento.
Installare app spia o software di controllo è reato?
Installare una app spia sullo smartphone del partner è una delle violazioni più gravi della privacy integranti reato. Gli artt. 615 bis c.p. e 617 bis c.p., puniscono:
“Chiunque, senza il consenso dell’interessato, intercetti o registri comunicazioni private altrui, anche se si tratta di rapporti tra marito e moglie.”
È il caso della moglie che installa un’applicazione che consente di leggere messaggi, ascoltare chiamate o tracciare la posizione del marito senza il suo consenso, compie un’azione illecita che può essere perseguita penalmente. È bene sottolineare che il reato non riguarda solo l’installazione, ma anche l’uso o detenzione di strumenti idonei a intercettare comunicazioni private.
In questo senso, la Cassazione ha ribadito che l’uso di software in grado di ascoltare, registrare o duplicare in modo occulto le conversazioni sul telefono del partner è sempre illecito, indipendentemente dalla titolarità dell’apparecchio: la riservatezza personale resta tutelata anche se il dispositivo è intestato a entrambi (Cass. sent. n. 15071/2021).
Spesso chi si affida a queste app crede di potersi tutelare invocando motivi di gelosia, sospetti o necessità di protezione dei figli. In realtà, ogni forma di spyware installata a insaputa dell’altro costituisce reato e può portare non solo a un processo penale, ma anche a una richiesta di risarcimento danni in sede civile. L’introduzione di queste tecnologie nel contesto familiare rischia di aggravare i rapporti già compromessi e, nei casi più gravi, può determinare provvedimenti restrittivi da parte del giudice.
Che sanzioni rischia chi spia il telefono del marito?
L’art. 615 ter c.p. prevede la reclusione da 1 a 5 anni per chiunque si introduca in un sistema informatico altrui senza permesso, fattispecie che si applica anche agli smartphone. Se l’accesso avviene nell’ambito familiare, ad esempio tra marito e moglie, trova applicazione anche l’art. 617 septies c.p., che prevede un aggravamento di pena. Se la condotta degenera in una vera e propria persecuzione, può configurarsi anche il reato di atti persecutori (art. 612 bis c.p.). Oltre al penale, chi spia il telefono del partner viola le norme in materia di privacy previste dal GDPR e dal Codice Privacy (D.lgs. n. 196/2003). Non è raro che la parte lesa promuova anche un’azione civile per il risarcimento del danno, soprattutto se la lesione della riservatezza ha inciso sulla reputazione personale o professionale.
Ecco uno specchietto riepilogativo di tutte le possibili conseguenze:
|
condotta |
norma violata |
pena edittale |
conseguenze |
| accesso al telefono senza consenso | art. 615-ter c.p. | reclusione da 1 a 5 anni | querela, procedimento penale, possibile condanna |
| installazione di app spia o software di controllo | art. 617-bis e 617-septies c.p. | reclusione da 1 a 4 anni (fino a 5 se aggravato) | querela, procedimento penale, possibile condanna |
| lettura di messaggi/chat/email private senza consenso | art. 616 c.p. | reclusione fino a 1 anno o multa fino a 516 euro | querela, procedimento penale, possibile condanna |
| trattamento illecito di dati personali (privacy) | art. 167 D.lgs. n. 196/2003 | reclusione da 6 mesi a 1 anno o multa da 10.000 a 50.000 euro | sanzioni penali e amministrative, intervento Garante Privacy |
| uso in giudizio di prove raccolte illecitamente | art. 191 c.p.p. | inutilizzabilità della prova | le prove non vengono ammesse in giudizio |
| comportamenti persecutori (stalking digitale) | art. 612-bis c.p. | reclusione da 1 a 6 anni e 6 mesi | querela, procedimento penale, possibile condanna |
| violazione della privacy nella causa di separazione | art. 143 c.c. e art. 337 ter c.c. | possibile addebito della separazione | effetti su separazione, risarcimento del danno. |