Adozione e diritto all’origine genetica: chi può richiedere di conoscere i propri genitori biologici?

Se sei stato adottato, la legge consente, in presenza di specifici requisiti, di accedere alle informazioni sulle origini biologiche

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Giorgia Dumitrascu

Avvocato civilista

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Non si nasce due volte, ma chi è stato adottato spesso deve vivere come se ciò accadesse. In Italia, l’adozione cancella ogni traccia del passato: cambia il nome, il certificato di nascita, il legame giuridico con la famiglia d’origine. Ma nessuna norma è tanto forte da spegnere la domanda: da chi provengo e quali sono le mie origini? Un dubbio che non appartiene solo al diritto, ma alla condizione umana quella che Paul Gauguin riassunse con forza primitiva in tre parole: da dove veniamo, chi siamo, dove andiamo.
Negli ultimi anni la Corte Costituzionale ha aperto spiragli, i tribunali hanno cominciato a interrogare madri biologiche un tempo inaccessibili, e i confronti con il diritto europeo — più aperto, più flessibile, più attento alla persona — hanno spinto il legislatore a ripensare l’equilibrio tra riservatezza e verità.

Chi può richiedere di conoscere i propri genitori biologici?

Il diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini è una materia delicata, che coinvolge l’identità personale e i limiti posti dalla legge a tutela della riservatezza. Il fulcro normativo si trova nell’art. 28 l. n. 184 del 1983, come modificato dalla l. n. 149 del 2001.

Un adottato può chiedere di conoscere l’identità dei propri genitori biologici una volta compiuti 25 anni. Tuttavia, al compimento dei 18 anni, l’adottato può presentare domanda se dimostra gravi motivi legati alla salute psico-fisica.”

Si parla di “accesso alle informazioni riservate”. Tuttavia, la riservatezza non è una barriera immutabile, ma una soglia da attraversare con cautela, sotto la supervisione del giudice minorile. Infatti, emerge il diritto alla verità genetica e la necessità di tutelare genitori biologici che hanno esercitato un diritto all’anonimato o si sono allontanate dalla genitorialità.

Una donna adottata alla nascita, oggi ventisettenne, se vuole sapere chi siano i suoi genitori naturali. Può presentare istanza al Tribunale per i Minorenni. Il Tribunale verifica i fascicoli dell’adozione, accerta che la madre non si è avvalsa del diritto all’anonimato e autorizza la visione degli atti. Non sempre, però, il percorso è così lineare. Talvolta, il fascicolo è incompleto, oppure la madre non ha riconosciuto il figlio alla nascita, aprendo la strada alla questione dell’anonimato e alla procedura di interpello, che tratteremo nei prossimi paragrafi.

Se la madre ha partorito in anonimato è possibile conoscere le proprie origini?

La possibilità per una donna di partorire senza essere identificata – prevista dall’art. 30, co. 1, DPR n. 396/2000 – è stata introdotta come strumento di tutela per le madri in condizione di grave vulnerabilità, spesso per tutelare sé stesse e il neonato da contesti di pericolo, stigmatizzazione o povertà estrema.”

Ma cosa accade, anni dopo, se quel figlio adottato vuole conoscere le proprie origini?

In linea generale, quando la madre ha esercitato il diritto all’anonimato, il figlio adottivo non può accedere alle informazioni relative alla sua identità, nemmeno al compimento dei 25 anni. Tuttavia, questa preclusione non è più assoluta. La Corte Costituzionale ha dichiarato la parziale incostituzionalità dell’art. 28, co. 7, l. n. 184/1983 nella parte in cui escludeva, in modo automatico e irrevocabile, ogni possibilità di accesso (Corte Cost. sent. n. 278/2013). È stato a seguito del caso Godelli c. Italia (2012) esaminato dalla Corte di Strasburgo, a stimolare tale cambiamento. Infatti, La CEDU ha stabilito che la disciplina italiana violava l’art. 8 della CEDU – che tutela la vita privata – per la sua rigidità, priva di ogni meccanismo di bilanciamento.

Pertanto, un adottato che ha compiuto 25 anni può chiedere al giudice di interpellare la madre biologica per verificare se quest’ultima conferma o meno la volontà di rimanere anonima. Tale procedimento costituisce un punto di bilanciamento tra due diritti: il diritto all’identità personale del figlio e il diritto all’anonimato della madre. Il giudice non forzerà la volontà della donna: se la madre mantiene il diniego, il figlio non potrà comunque accedere ai dati.

Quali documenti posso richiedere per risalire alla mia origine genetica?

L’istanza deve essere presentata al Tribunale per i Minorenni del luogo di residenza dell’adottato, indipendentemente da dove sia avvenuta l’adozione.

Tra i documenti accessibili vi è innanzitutto l’atto integrale di nascita, che può contenere elementi dirimenti per la ricostruzione della propria storia familiare. L’atto viene rilasciato solo previa autorizzazione giudiziale, ai sensi dell’art. 28, co. 3, l. n. 184/1983.

L’atto di nascita integrale differisce dal semplice estratto di nascita: quest’ultimo non contiene alcuna informazione sull’identità dei genitori naturali. Solo l’atto completo può rivelare dati utili, qualora non vi sia stato il ricorso al parto in anonimato.”

Il secondo passo è l’accesso agli atti del procedimento di adozione. Si tratta di fascicoli riservati, contenenti relazioni sociali, provvedimenti giudiziari, e a volte elementi di identificazione dei genitori biologici. L’autorizzazione all’accesso è concessa solo se il giudice ritiene che ricorrano i presupposti previsti dalla legge (compimento del 25° anno di età o gravi motivi di salute psico-fisica).

La domanda comporta il versamento di un contributo unificato pari a 98 euro, cui si aggiungono 27 euro per i diritti di cancelleria. Entrambi i pagamenti devono essere effettuati tramite il sistema pagoPA, e nella domanda va allegata la ricevuta con il relativo codice IUV (Identificativo Unico di Pagamento).

Se la richiesta viene accolta, il Tribunale può autorizzare l’interessato a ottenere i documenti desiderati oppure a visionarli in presenza del giudice. In alcuni casi, viene anche disposta la consegna parziale degli atti, oscurando le parti che coinvolgono terzi o elementi non rilevanti per l’identificazione. Il diniego all’accesso può essere impugnato: il soggetto interessato può proporre reclamo alla Corte d’Appello, se ritiene che il Tribunale abbia errato nella valutazione.

È vero che con l’adozione si perdono per sempre i legami con la famiglia d’origine?

L’adozione legittimante o adozione piena, comporta la recisione totale e automatica di ogni legame giuridico tra il minore e la sua famiglia d’origine.

Infatti, l’art. 27, co. 3, l. n. 184 del 1983 stabilisce che:

Con l’adozione cessano i rapporti dell’adottato verso la famiglia di origine, salvi i divieti matrimoniali.”

Si tratta di una norma rigida, che prevede una sostituzione integrale del nucleo familiare, per garantire al minore una “nuova nascita” nel contesto adottivo. L’adottato assume il cognome dei nuovi genitori, ne eredita i diritti e i doveri familiari, e instaura legami giuridici solo con loro. Da quel momento, i genitori biologici e i parenti fino al quarto grado non esistono più giuridicamente nella vita del figlio adottato.

Tuttavia, negli ultimi anni tale impostazione ha mostrato evidenti limiti, specie nei casi in cui la recisione dei legami ha effetti traumatici per il minore.

La Corte di Cassazione si è occupata del caso di due minori orfani di madre, uccisa dal padre (poi condannato), i quali si trovavano in una situazione di abbandono. Il Tribunale per i Minorenni di Milano aveva disposto l’adozione legittimante, ma la Corte d’Appello, pur confermando la misura, ha previsto che i minori potessero mantenere un rapporto selezionato e tutelato con alcuni parenti materni e paterni, in funzione di rielaborazione del trauma e conservazione della memoria identitaria (Corte Cost. sent. n. 230/2023).

La giurisprudenza ha più volte sollecitato il legislatore a rivedere il modello unico dell’adozione legittimante, proponendo alternative più flessibili. La c.d. adozione in casi particolari”, ex art. 44 l. n. 184/1983, costituisce una via intermedia: consente l’adozione anche a single o parenti, senza recidere i legami con la famiglia d’origine, e con effetti giuridici più attenuati rispetto all’adozione piena.

È proprio questa forma, definita anche “adozione mite”, che si sta rivelando un modello più adatto in certe situazioni: ad esempio, quando un bambino viene accudito stabilmente da un nonno o da uno zio, o quando l’allontanamento dai genitori naturali non implica una rottura totale con il resto della famiglia. Il diritto si sta orientando verso un approccio fondato sul preminente interesse del minore, che deve prevalere su automatismi normativi.

Quali sono i limiti e le nuove aperture della legge italiana sull’origine genetica?

La principale barriera giuridica è costituita dal fatto che l’adozione piena recide ogni legame col passato. A ciò si aggiunge la difficoltà oggettiva di accedere all’identità del padre biologico, spesso non indicato né nell’atto di nascita né nel fascicolo d’adozione, specie nei casi di riconoscimento unilaterale o di genitorialità non dichiarata. Non esiste, al momento, un procedimento autonomo volto all’accertamento del padre biologico a fini meramente identitari. L’azione di accertamento della paternità, di cui agli artt. 269 e ss. c.c., è confinata a profili patrimoniali o relazionali, e non può essere attivata da un adottato adulto solo per conoscere le proprie origini genetiche.

Nel panorama internazionale, l’Italia si trova in una posizione intermedia. In alcuni Paesi, come la Francia, il Conseil National pour l’Accès aux Origines Personnelles (CNAOP) consente un accesso più semplificato alle informazioni sui genitori biologici, pur nel rispetto dell’anonimato. In altri, come la Svezia e la Norvegia, l’adozione non prevede recisioni assolute e consente contatti periodici con la famiglia d’origine. In Germania, la giurisprudenza costituzionale ha stabilito che il diritto all’origine è parte integrante della dignità umana.