Il 2024 si è chiuso con pesanti rincari sui prodotti delle festività natalizie e di Capodanno. L’inizio del 2025, purtroppo, non sembra alleggerire il costo del carrello della spesa. Tra le materie prime che hanno subito e che continueranno a subire aumenti troviamo caffè, cacao, burro, olio di palma, olio di girasole e nocciole. Le previsioni per il 2025, tra inflazione, condizioni meteorologiche avverse e stagnazione di diversi mercati, non fanno presagire nulla di buono.
Le famiglie italiane dovranno pensare non soltanto all’aumento di luce e gas, ma anche a diversi fenomeni che incideranno negativamente sul potere d’acquisto al supermercato, dalla riduzione della quantità nelle confezioni, fino alla mancanza di materie prime o di frutta e verdura fresche per via delle condizioni meteo avverse. Analizziamo il contesto.
I prodotti più costosi: male le materie prime agricole
Le materie prime agricole sono quelle che hanno subito il maggior rincaro nel 2024. Tra queste il caffè, che ha visto il proprio prezzo aumentato non soltanto nei bar e ristoranti, ma anche nei supermercati e nella produzione stessa. Il prezzo della materia prima negli ultimi due anni è triplicato a causa del cambiamento climatico che ha colpito i Paesi produttori. Nello specifico, si è registrato un aumento del +83% per la tipologia “robusta” e +48% per il tipo “arabica”. Infine, a pesare sul costo al consumatore anche il trasporto su strada e l’aumento dei costi dei trasporti via mare.
Raddoppiato anche il prezzo del cacao, che ha raggiunto un massimo storico di 5.500 euro per tonnellata. Anche in questo caso, a pesare sul consumatore finale è la riduzione dell’offerta. Gli eventi climatici estremi hanno danneggiato la produzione, che solo nella regione del Ghana è stata stimata essere meno 180mila tonnellate. Se a questo aggiungiamo la scarsità di investimenti e macchinari agricoli obsoleti, il danno è fatto.
Seguono poi il burro, arrivato a 8 euro al chilo (+50% nel 2024) per via dello stress da calore che hanno subito le mucche da latte, che ha ridotto produzione e qualità, il prezzo degli oli vegetali (olio di palma e olio di girasole) e ancora aumenti dei costi per nocciole, noci e mandorle. Ci sono dei prodotti che invece hanno visto diminuire il costo: i legumi, come lenticchie e ceci (rispettivamente -30% e -40%).
Cosa aspettarsi nel 2025?
Il settore alimentare è in affanno. La produzione italiana è fortemente danneggiata dai cambiamenti climatici, che siano allagamenti o siccità. Nel corso del 2024 sono stati segnalati prezzi record per patate, zucche e tanto altro, dall’olio d’oliva al cacao. Nel 2025 gli effetti del cambiamento climatico non svaniranno e anzi sono destinati a ripetersi o a peggiorare. È difficile fare una stima su come andrà la produzione e quali saranno i prezzi nel corso dei prossimi mesi, ma le prospettive non sono rosee. Il motivo è semplice: non è stato fatto un lavoro per prevenire danni alla produzione e le scorte sono destinate a scarseggiare.
Non ci sarà vera e propria carenza di cibo, anche se la povertà alimentare è un fenomeno diffuso in Italia. Il nostro Paese infatti acquisterà sempre maggiori prodotti dall’estero e il costo del trasporto ricadrà ancora una volta sui consumatori. Se a questo aggiungiamo tutti i rincari previsti per il 2025, dal gas alla luce, dalle assicurazioni alla scuola, è chiaro che è necessario un impegno dello Stato per ridurre le disuguaglianze e permettere l’accesso a beni e servizi al maggior numero di persone possibile. Secondo l’Osservatorio nazionale Federconsumatori, mancano misure concrete per alleviare la situazione e interventi come la carta Dedicata a te non bastano a colmare le difficoltà economiche delle famiglie.
L’Osservatorio descrive il 2025 come un “banco di prova”, una sfida per il Paese e per il governo Meloni, che è chiamato a rispondere con misure concrete e non espedienti emergenziali per ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici sulla produzione e alleviare i costi ai consumatori derivanti dalle conseguenze geopolitiche, dall’aumento del costo dei trasporti e dall’assenza di una riforma del lavoro che equipari stipendi e pensioni al costo della vita.