La provincia più ricca resta Milano ma Trieste decolla e le siciliane alzano la testa

Milano si conferma al top nella classifica delle province per valore aggiunto pro-capite, ma qualcosa si muove sul fronte di piccole realtà insospettabili

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Mauro Di Gregorio

Giornalista politico-economico

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

Pubblicato: 18 Novembre 2024 18:42

È un ritratto in chiaroscuro quello tracciato dal Centro Studi Tagliacarne e da Unioncamere in merito alla situazione economica dell’Italia. Le differenze fra la distribuzione della ricchezza fra il Nord e il Sud vengono confermate, ma con importanti novità rappresentate da significativi segnali di crescita.

Vola il Nord-Ovest, che cresce in media più del resto d’Italia: +6,73% rispetto alla media nazionale del +6,55%. Milano, da 22 anni consecutivi, si conferma al primo posto per valore aggiunto pro-capite con 62.863 euro per abitante, seguita da Bolzano (52.811 euro) e Bologna (43.510 euro).

Per “valore aggiunto pro-capite” si intende la differenza tra il valore della produzione e i consumi di materie prime e servizi nel periodo considerato.

E mentre diverse aree del Sud si distinguono con segnali incoraggianti, il Nord-Ovest e il Centro soffrono un incremento delle disparità interne. Oltre la metà delle province italiane, poi, registra un valore aggiunto pro-capite inferiore alla media nazionale.

Segnali incoraggianti al Sud

In fondo alla classifica c’è Agrigento con 17.345 euro a testa. La città siciliana finì all’ultimo posto della graduatoria anche nel 2022. Ma ciò nonostante ad Agrigento, e non solo, qualcosa si muove: la città che sarà Capitale della Cultura nel 2025 registra insieme a Chieti una crescita del valore aggiunto del +7,85% rispetto al 2022, mentre seguono a brevissima distanza Caltanissetta e Catania (+7,83%). Si tratta dei maggiori incrementi relativi. È il segnale che qualcosa si muove, soprattutto grazie all’industria (+5,46%) e alla Pubblica amministrazione (+3,24%), settori che stanno dando un contributo cruciale al dinamismo economico del Sud.

Sul lungo periodo, emergono significative variazioni nelle classifiche provinciali: guardando agli ultimi due decenni, Trieste emerge come una delle province più resilienti, scalando 29 posizioni nella classifica generale dal 39° al 10° posto. Al contrario, Pavia arretra drammaticamente, perdendo 24 posizioni, seguita da Varese e Ragusa (-23) e Como (-22). Questo quadro evidenzia le difficoltà strutturali che alcune aree italiane stanno affrontando, in particolare i distretti produttivi del tessile e dell’abbigliamento: Fermo e Prato, rispettivamente prima e seconda provincia italiana per addetti in questi settori, hanno perso competitività in modo significativo.

Le province in sofferenza

65 province su 107 hanno visto peggiorare il loro valore aggiunto pro-capite rispetto alla media nazionale. Nel ricco Nord-Ovest il fenomeno ha riguardato l’84% delle province, ovvero 21 su 25, tra cui tutte quelle piemontesi e 10 province lombarde su 12. Ma anche nel Centro il tema è ben presente riguardando il 68% delle province (15 su 22). Meno complesso appare il quadro nel Sud, con la metà delle province in “sofferenza” (19 su 38 per l’esattezza) e il Nord-Est con il 45% delle province (10 su 22).

Politiche per lo sviluppo

“I dati mostrano una complessiva tenuta del sistema Italia, ma cogliamo l’eterogeneità con la quale si sta affermando lo sviluppo all’interno delle diverse aree territoriali”, spiega il presidente di Unioncamere, Andrea Prete. Il dato mostrato dallo studio fa emergere quasi “un Nord e un Sud all’interno dello stesso Meridione”. Ma la diversità riguarda anche il Settentrione, locomotiva economica d’Italia, che sta mostrando un significativo aumento delle disuguaglianze soprattutto al Nord-Ovest. “Per questo è fondamentale mettere a punto politiche di sviluppo che consentano una progressione più estesa ed equilibrata dei diversi territori. In questa direzione, le Camere di commercio possono essere un’importante cinghia di trasmissione tra Stato ed economie locali”, commenta Prete.